8. Another Man's Face

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Giada, nonostante il gesto potesse risultare piuttosto scortese, dando in effetti un risvolto fin troppo confidenziale ai suoi rapporti con Raphael, aveva chiesto solamente a lui di restare a cena, ma Raphael si sentiva stordito e aveva rifiutato preferendo tornare a casa con Duccio. L'idea che la sua casa coincidesse con quella di Duccio, per la prima volta da anni, lo infastidì.

Duccio non sembrava invece né infastidito dal fatto che Giada non avesse invitato anche lui, né tantomeno stufo di quell'amicizia che tutto insieme stava a Raphael un po' stretta. Mentre la gondola col felze, su cui erano saliti da quando avevano lasciato il burchiello a punta della Dogana, li accompagnava a Palazzo Vivanti, Raphael sentì il bisogno di guardare fuori.

Scostò appena la tendina nera tirando uno dei piccoli pon pon rossi che erano stati cuciti alla fine del tessuto. La bella città era illuminata come tutte le sere, un gruppo di amici ubriachi si trovavano sul molo poco distante e adesso imprecavano contro Donato, il barcaiolo, accusandolo di avergli sporcato i vestiti con l'acqua zozza che gli era schizzata addosso. Ridevano mentre con l'intento di vendicarsi del torto subito indicavano fieri a Duccio e Raphael il cavallo dei pantaloni e gli indirizzavano contro, in uno stretto dialetto, parole che Raphael fu abbastanza contento di non capire bene. Ce l'avevano con le loro madri, a occhio e croce.

Decisero di scendere prima del tempo per fare due passi, Duccio avvertì il barcaiolo di lasciarli di fronte a palazzo Gritti e che avrebbero continuato a piedi.

Non avevano fatto in tempo a scendere che subito li avevano fermati alcune cortigiane sguaiate, le più malfamate, quelle che non potevano contare neppure sul riparo di una delle tante case di piacere e che, puntuali come la morte, erano già schierate ai loro posti.

Ce n'era una che calamitava da sempre l'attenzione di Raphael perché gli ricordava sia una statua della Madonna che aveva visto in una chiesa a Londra sia la sua Isabella. Tutto sembrava la ragazza fuorché una prostituta, né tantomeno faceva niente per adescare i clienti. Se ne stava ferma col viso pulito e dimesso e le vesti semplici davanti alla chiesa di San Vidal. Anche quella sera si strinse in quei cenci, l'umidità, ne era certo, in quel momento le faceva battere i denti.

Non si era mai avvicinato a lei e sapeva bene perché. Non era perché era giovane, né perché avesse qualcosa da invidiare alle donne con cui si accompagnava al Ridotto, persino confrontata con Caterina non avrebbe in fondo sfigurato. L'unica cosa che le rendeva diverse erano le vesti, ricche quelle della sua puttana preferita, ben misere quelle della madonnina.

Non era la mancanza di voglia che l'aveva tenuto lontano, era stato il fatto che somigliasse tanto a lei, ed era certo che togliersi quello sfizio l'avrebbe fatto rimpiombare di botto in un'epoca che era ansioso di lasciare dov'era.

Tuttavia gli piaceva saperla lì, immobile nello stesso punto da che ne aveva memoria, che occhieggiava con interesse al vecchio Raphael, rendendolo, per il breve tempo di una passeggiata, di nuovo presente a sé stesso. Ma in quel momento Duccio si aspettava che il nuovo Raphael lo intrattenesse, del vecchio il suo amico non sapeva che farsene, no, il vecchio l'avrebbe allontanato come faceva coi bambini sporchi di terra che gli chiedevano un soldo. In questa esistenza era a tutti gli effetti un giullare, un menestrello senza orgoglio, e in fondo, gli andava bene così.

IL PRECETTOREWhere stories live. Discover now