13. Revulsion

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Raphael era nervoso, da quella specifica mattina in cui aveva parlato dei sentimenti di Otello si sentiva in difficoltà di fronte ad Arianna come se avesse parlato dei suoi.

In fondo però non era così, era quello che si era ripetuto mentre si spingeva nel corpo familiare e caldo di Caterina con violenza, come era abituato a fare, con la consueta freddezza che lo rassicurava e con una punta di nostalgica malinconia.

Pensava con tristezza alla madonnina che si era inchinata di fronte a lui scorgendovi l'ombra tenera del passato, era stato lo sguardo segnato dalla fame, le labbra screpolate dal freddo, la veste lurida di quel blu indefinito, piena di sozzure, sporca di vita.

E subito aveva rivisto le mani che leste tirano su il secchio dalla vera di cemento, la corda che s'impliglia, una risata, il veneziano schietto del popolo: "che ci fai fermo lì? Aiutami no?", il sorriso gentile di un'altra donna diversa e tuttavia simile, più giovane, che divertita, con una mano si copre gli occhi dal sole e con l'altra si accarezza il ventre. La felicità per Raphael aveva il sapore delle cose imperfette, si trovava nei vuoti più che nelle presenze, non poteva che inseguirne la scia nelle storture, nella sfortuna minacciosa che una volta faceva la magia di rendere tutto più vivido, più reale e infinitamente più bello. Dove non la sentiva era invece nel violento strappo che l'aveva fatto nascere di nuovo, fortunato stavolta, ricco, anche se alla mercé del suo amico.

Non sapeva più cos'era la fame, la paura del domani, la sensazione di poter essere spazzato via all'improvviso.

Mai si era sentito tanto solido, ben piantato a terra, indistruttibile. Eppure non sapeva più in cosa consistesse la gioia, aveva perso d'un colpo tutto e ora voleva disperatamente essere uno dei tanti come lo era per Caterina, l'onesta Caterina che pensava solo al denaro, che non fingeva di godere dei suoi assalti, che gridava quando le faceva male, quando le mordeva il collo e le diceva che era una cagna, che la scopava solo perché era a buon mercato. Quella sera era stato particolarmente ingiusto, si era spinto violentemente dentro di lei fissando il ghirigoro geometrico della cortina pesante che copriva uno dei tanti letti di Lorenzo Gritti. La punta di quei disegni gli era sembrata insidiosa come la lama che impugnava Duccio sul burchiello il giorno che aveva ferito la cameriera, Duccio che ora si trovava nell'altra stanza e gridava divertito in mezzo agli ospiti di Lorenzo, Duccio che voleva sempre essere il migliore, che se non avesse vinto quella sera sarebbe stato insopportabile tutta la settimana.

E Caterina si era comportata bene, era stata in silenzio, come sempre non avvertiva l'umiliazione dei suoi modi, non era fragile, prendeva dalla vita quello che la vita le concedeva ancora speranzosa, la bocca storta in un sorriso sciocco, infantile, lo stesso col quale l'aveva seguito scodinzolante per piazza san Marco.

Si era accorto presto non solo che Marta non aveva avuto modo di osservare da vicino molte cortigiane ma che il suo amico Duccio era infastidito e nervoso perché aveva perso un bel bottino da Lorenzo e soprattutto perché i Foscari ancora non si vedevano.

IL PRECETTOREWhere stories live. Discover now