33. Silky Fan

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Mentre si avvicinava al gruppetto sentiva qualcosa che assomigliava alla paura

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Mentre si avvicinava al gruppetto sentiva qualcosa che assomigliava alla paura. Raphael si sorprese non poco di quel sentimento netto che si stagliava vivido contro lo scenario sfocato e confuso di tutte quelle anime veneziane.

L'insicurezza era talmente reale, d'altronde, da assomigliare a mille piccoli, insistenti aghi che continuavano a trafiggerlo senza donargli un po' di requie.

Ripensò a sé stesso come spesso faceva, si immaginava placido e stagnante in quella seconda esistenza come l'acqua puzzolente della laguna, si figurava mosso da mille correnti contraddittorie e tuttavia restava immobile, incapace di confluire nel mare, di liberarsi.

Sentiva i bisbigli delle donne che lo avevano riconosciuto, immaginava quanto si riempissero la bocca del suo nuovo fidanzamento, quanto godessero a saperlo incatenato una di loro.

L'istinto gli suggeriva che una buona parte di quei corpi li aveva posseduti, a modo suo, e che li aveva lasciate andare.

Non era mai difficile, anzi, gli donava una certa tranquillità sapersi incapace di volere davvero qualcosa per sé.

Lo rendeva certo che avrebbe galleggiato per sempre, anche se a stento.

Quelle donne gli avevano donato immagini sfocate di nudità simili, identici gli sembravano pure i gemiti, le moine, le preghiere.

Si chiese se la piccola Marta Vivanti lo avrebbe sorpreso in qualche modo, ma i suoi occhi ribelli non gli diedero neppure la requie di quel pensiero, subito passarono alla figura accanto, all'imperfezione dell'arto di Arianna, alla perfezione della mente.

Arianna Foscari era la più insignificante tra tutte, il suo corpo di bambina non sembrava fatto per soddisfare i piaceri di un uomo, eppure Raphael non era riuscito a resistere e quasi l'aveva pregata di concedersi, quasi l'aveva presa nonostante le proteste.
Si odiava per averla spaventata ma soprattutto si odiava per aver provato quel terrore strano di essere sul punto di perdere il controllo.

Era incapace di ragionare quando si trattava di lei, diventava un altro, un uomo che nemmeno la sua Isabella aveva mai conosciuto.

Avrebbe desiderato che quella smania di starle accanto, parlarle, averla, fosse in grado di renderlo un uomo migliore, avrebbe voluto che si trattasse di un sentimento puro, buono, positivo come quello che lo aveva legato ad Isabella.

Ma così non era, non c'era niente di buono in quell'attrazione malsana che provava per lei, in quell'incapacità di contenersi.

Attraversò il salotto sfarzoso con lentezza, mollemente, insicuro. Avvertì una mano fredda, senza guanto, fermare la sua, poco prima che giungesse a destinazione.

<<È proprio vero?>> gli domandò Camilla Trevisan. Si voltò distrattamente, registrò i capelli scuri e il biancore del viso sotto cui si intravedevano le vene viola.

IL PRECETTOREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora