E questo lo aveva reso ancora più inquieto.

L'unica ragione per cui era rimasto, era perché voleva fare arrivare un messaggio a Giada, mostrarle quello che era, non un damerino che l'avrebbe corteggiata tra un dolcetto e un ballo, non certo un romantico zerbino com'era Lorenzo e come sembrava anche Duccio, dolce con le donne, ruffiano. Voleva onorare il patto che aveva fatto con la figlia, dirle che si sarebbe inserito volentieri in quell'unione tanto invidiata nella Laguna, che con immenso piacere si sarebbe approfittato delle grazie allettanti di Giada e che non si sarebbe dispiaciuto troppo che avrebbero riso alle spalle di suo marito, il povero placido Bertuccio ma che non era interessato ad ottenere altro. Che i loro ruoli sociali erano destinati ad essere ben spartiti, che c'erano dei confini.

Giada doveva rendersi conto che tutto in Raphael era aspro, inospitale perché di fatto non voleva offrire riparo a nessuno.

La verità però era che aveva iniziato a sentirsi sempre più nervoso, tra le richieste di Caterina che voleva assaggiare ora le mele caramellate, ora le frittelle e le domande di Marta Vivanti, incalzanti, odiosamente petulanti in mezzo alle maschere disgustose e a quei corpi ammassati che lo facevano sentire a corto d'aria.

La peste aveva lasciato un segno indelebile anche nella festa, non era raro vedere uomini vestiti da malati purulenti, disgustosi, che calati nel ruolo si lagnavano dei mali che sentivano per scherzo.

Si prendevano gioco di qualcosa che non erano riusciti ad addomesticare, lo schermivano, lo impersonavano perché stavolta sarebbe bastato uscir fuori dai cenci per ritrovare la salute.

Eppure quella visione gli faceva ancora torcere le viscere, lo agitava, lo scaraventava rapido in un sogno ad occhi aperti odiosamente vivido.

Si era concentrato su Marta, dolce e assolutamente insignificante, vestita da larva, che si mischiava col resto delle persone presenti, non contrastava affatto, i suoi confini si confondevano già con altre cento facce uguali, vestite allo stesso modo, con la mascherina nera e la gonna larga.

Aveva ringraziato il cielo più e più volte, prima che l'angelo in tutta risposta fracassasse al suolo, rompendosi come un uovo troppo maturo e il rosso del sangue sgorgasse rapido dagli arti scomposti.

L'aveva ringraziato per non aver deciso di portare la Madonnina, quello sì che sarebbe stato strano, quello sì che l'avrebbe fatto sentire diviso in due, col passato alle spalle e il futuro davanti.

Appena aveva visto Arianna lì in mezzo, senza chiedersi il perché, aveva cercato la sua mano guasta che quella sera era coperta da vistosi guanti bianchi e si era dispiaciuto che l'avesse celata, l'aveva sentito come un tradimento personale, il fastidio era cresciuto alimentato dall'ulteriore ostile occhiata che gli aveva lanciato Giada Foscari, conciata come una bambola di coccio, vistosa, splendente di una bellezza accecante fatta di eleganza e prepotenza.

Gli occhi di Giada Foscari lo minacciavano, quelli di Arianna Foscari lo avevano giudicato bugiardo e inaffidabile.

Stretto tra il giudizio delle due aveva messo una mano intorno a Caterina.

Arianna si era allora avvicinata, coraggiosa come Raphael non immaginava potesse essere per ricordargli della promessa e gli aveva mostrato l'orologio, era vestita d'azzurro, una tinta calda, fuori stagione, che ricordava il sole e l'estate e che aumentò senza posa tutta la malinconia che sentiva.

La treccia di Arianna era sfatta, il vento aveva fatto uscire da quella piega forzata qualche capello, le sue labbra rosa e infantili, piccole e tonde non gli avevano mai sorriso, nemmeno una volta ma serie gli avevano indicato prima il moro giovane e quello vecchio poi.

IL PRECETTOREWhere stories live. Discover now