La mano del diavolo, come diceva il suo maestro privato, Girolamo della Noce con bonaria schiettezza. Le era sembrato così vecchio la prima volta che lo aveva visto, così fragile, antico come il mondo. Ogni volta che si piegava per deliziarla con i suoi inchini rispettosi, Arianna temeva seriamente che si sarebbe spezzato, era sicura di poter sentire la consistenza delle ossa friabili che scricchiolavano.

Non l'avrebbe più visto, non avrebbe più udito lo schiocco sordo di quel corpo vecchio e gentile, quella era la sua prima vera giornata della sua nuova vita da adulta, e sua madre era stata chiara su quello che ci si aspettava da lei e soprattutto su quello che non ci si aspettava più.

Per sicurezza aveva nascosto i colori a cera dietro alla toeletta, mischiati ai trucchi con cui si rifiutava di farsi riempire il viso. Sapeva quello che Giada Foscari pensava di quei disegni, che contribuissero a farle avere perennemente la testa tra le nuvole e l'aria trasognata.

Questa del resto era l'unica piccola ribellione che si fosse mai concessa, era il solo modo che aveva per esorcizzare i suoi incubi.

Sentì bussare alla porta, le era stato proibito di continuare quell'esercizio artistico macabro persino da suo padre, il buon Bertuccio Foscari le aveva consigliato di lasciare quello che aveva nella testa, dov'era. Il viso nascosto dalla maschera che disegnava in continuazione, in particolare, era in grado di far fremere il placido Bertuccio accendendolo come un prospero.

Sapeva che il padre non tollerava di trovarsi davanti gli occhi dardeggianti di quell'uomo, solo per amor suo si era decisa a nascondere tutto.

Si guardò la mano offesa. Non se n'era preoccupata finché aveva vissuto quasi segregata nella villa. Ma la madre l'aveva già informata che quell'anno sarebbe andata a Venezia con la famiglia, dove ci si aspettava il suo ingresso ufficiale in società.

Si lisciò le semplici trecce di bambina, le piaceva portare i capelli così, le dava l'illusione che il tempo fosse un'inezia, che le fosse concesso di tornare indietro. I colpi alla porta si fecero più frequenti, per un riflesso condizionato portò la mano sana al centro del petto mentre correva ad aprire, Giada Foscari l'avrebbe incenerita con lo sguardo.
Ma non le interessava, non si sarebbe prestata a farsi conciare la testa come se fosse stata una gabbia per uccelli piena di roba.

Non si era sbagliata, quando la luce del corridoio rischiarato dalle candele l'accecò e lo sguardo di sua madre si fece sottile come una feritoia, rimpianse di non poter tornare nel buio e nel silenzio protetto della sua camera.

Si sentiva nervosa, come sempre accadeva quando si trovava al cospetto di Giada Foscari, del resto le sue visite erano così rade che non poteva affidarsi nemmeno al conforto che una consolidata abitudine le avrebbe concesso. Chiuse la mano buona su quella guasta, sperando in questo modo di infierire il meno possibile sulla sensibilità della madre.

<<Oh, mia cara, cos'è? Sei diventata sorda per caso? Ho bussato per ben due volte.>>

<<M-mi dispiace, madre.>>

<<Sono arrivati tutti gli ospiti, è disdicevole che tu non li abbia accolti insieme a me e a tuo padre. Devi assolutamente migliorare le tue maniere figlia mia, non possiamo rischiare che il visconte di Roin abbia da dire sulla tua educazione. C'è anche il tuo nuovo precettore stasera, puoi approfittarne per fare la sua conoscenza.>>

Giada Foscari aveva alzato la voce quando aveva parlato della presenza del precettore, si era portata una mano ai capelli e poi nervosamente aveva grattato una porzione di pelle del braccio destro come se fosse stata appena punta da un insetto invisibile.

La nota acuta con cui Giada aveva presentato la notizia si era trasformata presto in un risolino isterico, aveva poi afferrato sua figlia per un gomito e aveva iniziato a trascinarla per il corridoio quasi con violenza.

IL PRECETTOREWhere stories live. Discover now