Capitolo 14

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I giorni passarono e mentre Cerys provava in tutti i modi ad incontrare Darren, per non sentirsi completamente sola e abbandonata, d'altronde egli era l'unico a conoscere tutta quella storia e con il quale poteva confidarsi pienamente; quest'ultimo peró si faceva vedere sempre meno nei dintorni, come se la evitasse: la mattina usciva troppo presto e la sera tornava troppo tardi, altre volte non tornava affatto e se, per puro caso, incontrava Cerys, in corridoio o in ascensore, si dileguava velocemente.

La giovane ancora una volta si ritrovava confusa e ferita dal suo atteggiamento inspiegabile: prima Darren le diceva di non rimanere sola, poi lui stesso la teneva lontana da sè.

Non lo capiva.

Per l'ennesima volta avrebbe voluto urlare, scappare e piangere: per quanto tempo fosse passato, i suoi comportamenti da ragazzina e a volte sciocchi continuavano a persistere.

Cerys stessa, peró, non poteva farci niente e, vittima della propria mente, accettó di isolarsi gradualmente dalla famiglia Donovan fingendosi ammalata.

Nulla di grave: solo un forte mal di gola che non le permetteva di parlare e di prendere troppo freddo.

Si trattava di una scusa banale, sciocca, ma fu comunque sufficiente per non uscire dall'hotel e andare alle prove degli abiti, Allyson, dopotutto, si era arresa alle parole di Edison.

Ecco, un altro colpo basso: Edison che non era ancora tornato, proprio nel momento in cui aveva più bisogno di lui.

Generalmente era abituata alla sua assenza, a quei viaggi d'affari che le facevano sentire così tanto la sua mancanza, a quel vuoto nello stomaco ogni volta che a letto si ritrovava a dover stringere il cuscino e non Edison.

Era abituata a tutte le sensazioni spiacevoli che qualsiasi essere umano provava non avendo la persona amata al suo fianco; ma in quel momento, l'abitudine non bastava.

La paura era diventata la sua migliore amica, il suo riflesso allo specchio, la sua unica verità: con Oliver, Darren e quell'Urial nei dintorni non si sentiva affatto tranquilla.

La solitudine non le faceva nemmeno molto bene ma a salvare quella sua situazione sarebbe stata una sorpresa.

Quella sera scelse di cenare con un semplice cocktail sulla terrazza, immersa nel silenzio e nella tranquillità più assoluta.

Tentativo vano: nulla era ritornato al suo posto, la mente di Cerys continuava ad essere colma di caos.

Dunque, tornó affranta in camera sua, convinta che nulla sarebbe riuscito a rendere migliore quella giornata monotona e noiosa ormai giunta al termine.

Il tempo scorreva inesorabilmente ma i problemi continuavano a rimanere purtroppo.

Si trascinó stancamente verso il suo piano, accennando dei falsi sorrisi a tutti coloro che incontrava; si ritrovó di fronte a quella porta ed esitante posó la mano sulla maniglia.

Aveva pensato spesso al vero significato della sua esistenza, alla sua reale ragione di vita...non era mai arrivata a nessun punto.

Perchè non scappare?

Perchè non approfittare dell'assenza momentanea di tutti e fuggire ancora una volta da tutti i problemi?

Che sciocchezza.

Scosse la testa e sospirando aprì la porta della camera.

Accese la luce e richiuse la porta alle sue spalle.

Ancora una volta sbuffó e seccata si avvicinó al tavolinetto vuoto sul quale adagió distrattamente la propria giacca grigia.

Legó i capelli e, chiudendo gli occhi, provó a massaggiare il collo.

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