29. Enormi bugie

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Quando dici una bugia, rubi

il diritto di qualcuno alla verità.
Khaled Hosseini

Christian

Gennaio 2022

Ore 15.00

Avete mai pensato alla sensazione che si prova dopo aver creduto a una bugia? Magari per tutta la vita? E rendersi conto che ogni certezza sia senza fondamenta? È come costruire una casa su un terreno argilloso; senza adeguate fondazioni, basta una scossa di terremoto e tutto crolla in modo catastrofico.

E io mi sentivo così, esattamente senza radici. Ho imparato negli anni a ricostruire ogni pezzo, ma mancava sempre qualcosa. Quel tipo di tassello da incastrare nel giusto punto, affinché colmasse il vuoto che mi porto dentro; sapevo con certezza che la mia vita non sarebbe mai stata completa. 

È difficile affrontare un uomo vissuto nell'ombra per ben trentatré anni, presentarsi da lui senza sapere come reagirà, mi mette in agitazione. Non ho la minima idea di quello che penserà appena toccherò l'argomento. 

Dopo tanto tempo ho davvero bisogno di sapere la verità, cosa l'ha spinto a non volermi mai incontrare. Non ci sono riuscito nemmeno con il mio lavoro, non ho mai avuto l'occasione di incrociare i suoi occhi; lo conosco solo attraverso lo schermo di un televisore. 

Ho ascoltato i suoi comizi durante le campagne elettorali, l'ho quasi ammirato per la determinazione nel portare avanti il progetto nominato "oasi verde": il ripristino di luoghi deturpati dell'uomo. 

Io mi chiedo come sia possibile che, un uomo dotato di sani principi morali, abbia avuto il coraggio di abbandonare un figlio. Il solo pensiero crea dentro di me un concentrato di emozioni che, se non avessi l'autocontrollo imposto fin da adolescente, ora sarei già esploso. 

In questo momento non so quale sentimento prevale sull'altro -rabbia, delusione, rammarico o ansia-, ho soltanto l'esigenza di sapere. Mentre aspetto che venga convocato nel suo studio, navigo con il telefono sulla rete, alla ricerca di informazioni su di lui. 

Scorrendo tra i siti, mi capitano davanti alcuni articoli. Da lì apprendo diverse notizie, tra cui una in cui si parla della sua famiglia; è sposato da circa trent'anni con due figli. Non ci sono foto dei componenti, deve essere abbastanza riservato. 

Eppure, sa cosa significa crescere dei bambini. E allora perchè ha scelto di gettarmi via, come si fa con un giocattolo difettoso? Respiro profondamente, devo riacquistare la ragione. Se lascio spazio alla rabbia, difficilmente otterrò le risposte che cerco.

Dopo un po' la sua segretaria – una donna con tailleur bianco e dei folti capelli castani – si presenta e mi dice di seguirla, spengo il cellulare e, senza indugio, afferro la mia borsa con all'interno la cartella e mi appropinquo nella stessa direzione. 

Imbocchiamo il corridoio, un luogo poco colorato. Si trova un pavimento con le mattonelle beige e delle pareti giallino opache. Inoltre, vi sono delle porte con delle targhette, ognuna possiede il nome del tipo di ufficio e di chi lavora al suo interno. 

Dopo averne superate quattro, giungiamo a quella con scritto: "Ufficio sindaco Spencer Owen". Nell'avvicinarmi a lui, cresce in me l'agitazione, però ci siamo. Ormai non si torna più indietro. La segretaria batte con le nocche- tre rintocchi- contro il legno dell'anta. 

Una voce maschile e rauca risponde, avvisa alla sua gentile segretaria di far accomodare il suo ospite. Con elegante cortesia, lei mi fa cenno con la mano di entrare e, prima di andare via, mi saluta con un enorme sorriso. 

Non appena varco la soglia, lo vedo; non è esattamente simile ai monitor. Ma noto una tremenda somiglianza, mi sento uno sciocco a non averci mai fatto caso. Ha degli occhi azzurri come i miei, contornati da delle rughe pronunciate, i suoi capelli neri sono adornati da sfumature grigie e indossa un abito elegante color blu cobalto. 

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