24. In trappola

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È meglio evitare l'esca

che dibattersi nella trappola.
John Dryden

Taylor

Ci sono tanti modi di sprofondare, sistemi contorti mentali che ti ingabbiano e non ti permettono di trovare vie d'uscita. Ogni tassello della mia vita si è incastrato in modo completamente errato, come se fossi collegata a dei fili e un burattinaio stesse conducendo le redini del mio destino.

Agisce nell'ombra, muove le corde e mi conduce verso sentieri inesplorati. Spesso, quelle funi si trasformano in catene, diventano pesanti e sono costretta a trascinarle con le poche forze che mi restano. Graffiano la pelle, corrodono lo spirito e portano alla distruzione.

Ripenso ancora a quel giorno, mi sono sentita umiliata per aver mentito, nascosto e agito d'impulso. Se dovessi trovare le sembianze della delusione, porterebbe il nome di Taylor Evans: piccola, indifesa e senza un briciolo di forza per prendere una posizione.

Dopo il divorzio non mi è rimasto nulla. Sono ritornata a casa, ma sentendomi inadeguata, ho tentato di andare via il prima possibile. I miei genitori sono sbiancati quando hanno visto le mie condizioni: l'occhio nero e i lividi viola su entrambi i bracci.

Mi sono chiusa nel silenzio, hanno cercato più volte di farmi parlare, ma dopo vani tentativi, hanno deciso direttamente di mandarmi in cura. Ho rifiutato sempre; sono ricaduta nel baratro, quello che mi ha condotta a un gesto avventato.

Una domenica mattina, mentre mia madre era intenta a preparare il pranzo, rimasi in camera mia. La lettura era l'unica consolazione, mi permetteva di alleggerire il peso delle mie colpe. Presi un libro dalla scrivania e, accidentalmente, la collanina che mi aveva regalato Christian, cadde per terra. Rivederla mi provocò dei brividi, un senso di nausea attaccò la bocca del mio stomaco.

Il dolore che gli ho causato, bussò alla mia porta. Lo vidi palesarsi davanti a me e afferrarmi dalla gola. Il respiro diventò debole, le palpitazioni crebbero sempre di più e, senza accorgermene, mi ritrovai in piedi sul davanzale della finestra. Come ero finita lì? Il demone continuava a incitarmi, cercò di convincermi a saltare; avrei ritrovato la pace.

Mi suggerì che solo così sarei riuscita a riconciliarmi con mia nonna. Inoltre, ogni sofferenza sarebbe sparita. Mi disse anche che avrei smesso di ferire le persone e il mio cuore si sarebbe alleggerito. Il vento invernale accarezzò il mio viso, tremando allungai una gamba; lui, soddisfatto del suo operato, sogghignava.

Il suo scopo era quasi raggiunto, quando all'improvviso una mano afferrò il mio braccio e mi trascinò via. Jessica era terrorizzata, non mi aveva mai visto compiere un atto del genere. Mi abbracciò, pianse, rimase in silenzio. Priva di emozioni, restai inerme.

Non aveva più senso continuare a vivere, la sofferenza era troppa. All'improvviso un giramento di testa le provocò delle vertigini. Svenne su di me e fu in quel momento che mi risvegliai. La presi delicatamente e la poggiai sul mio letto, corsi da mio padre e chiamai aiuto.

Mentre cercò di soccorrerla, mi passò il cellulare supplicandomi di chiamare il medico. Tremai perché ero a conoscenza che il suo caso complesso era stato affidato al primario Christian Owen. Digitai il numero in preda all'ansia, rispose e risentire quella voce fu come una lancia che mi colpì in pieno petto.

Dopo un respiro profondo, gli raccontai quello che stava accadendo e lui mi assicurò che si sarebbe mosso tempestivamente. Avrei voluto accertarmi che stesse bene ma non feci in tempo, riattaccò all'istante. Fu l'ultima volta che lo sentii.

Dopo circa una settimana venni ammessa a un corso di biotecnologie presso Yale, così decisi di andare via. Per poter ricostruire la mia vita disastrata, avevo bisogno di creare un distacco dal mio passato.

Dark TruthsWhere stories live. Discover now