55. Ci riprenderemo tutto

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Un attacco di panico è la forma più totalizzante e struggente per toccare il proprio dolore con mano che abbia mai provato.

Ho imparato da mesi a gestire quella sensazione.

Da mesi ormai ho imparato a gestire i miei demoni, a rinchiuderli in una scatola in un angolo della mia mente, ho imparato a fare finta di nulla quando in realtà li sento gridare a squarciagola in ogni dannatissimo momento della giornata...

Ormai riesco a controllarli senza l'aiuto di nessuno.

Ho imparato a lasciare quell'agonia chiusa in bagno o nella mia stanza e ad uscire e comportarmi come se niente fosse successo.

So gestirli perfettamente ormai, eppure questa maledetta sensazione ancora mi distrugge.

I polmoni si chiudono ed è come se il mondo ti voltasse totalmente le spalle per qualche minuto e rimanesse soltanto l'oblio.

È come essere sott'acqua e vedere la luce e la vita che ti aspetta oltre la superficie dell'acqua ma non poterla raggiungere.

Un attacco di panico è paragonabile al sentirsi annegare, vorresti lottare con tutte le tue forze per poter respirare ma allo stesso tempo di forze per lottare non ne hai più.

La peggior lotta è quella contro la propria testa, contro se stessi.

E io questo l'ho imparato bene, sono mesi che lotto contro me stessa e contro la mia voglia di rinunciare ad essere forte.

Due cose mi hanno tenuta a galla fino ad adesso: la scrittura e il riuscire a respingere i sentimenti che mi destabilizzavano tanto.
Avevo tutto sotto controllo.

Ora non riesco più a scrivere neanche una parola e mi ritrovo a provare una strana sensazione non appena i miei occhi incontrano uno sguardo verde smeraldo e un sorriso strafottente.

Continuo a sognare di una bambina che neanche conosco. La vedo perfino da sveglia ormai e mi sembra di star impazzendo.

Le cose non devono sfuggirmi di mano, non possono.

Se lo facessero sarei finita una volta per tutte e non voglio dissolvermi nel nulla.

Mi alzo dal pavimento freddo del bagno su cui sono rannicchiata ormai da tre ore.

Non appena sono arrivata a casa mi sono ricordata di essere sola visto che mio padre è all'azienda Blue e mia madre è con lui per aiutarlo.

Per un attimo ho tirato un sospiro di sollievo, poi mi sono ricordata dello sguardo pieno di lacrime di mia sorella dopo che le avevo ingiustamente rinfacciato una cosa per lei tanto importante: "la libertà", non ne ha mai avuta ed è giusto che la brami.

Ed io le ho rinfacciato questa cosa facendola passare per una "stupida principessina viziata".
Sono stata crudele con lei solo per non affrontare l'argomento dei miei sentimenti, di Edoardo, di ciò che provo.

E che cosa provo? Non ne ho la minima idea.

Dannazione, questa è diventata la risposta ad ogni domanda che provo a pormi.

Ho sempre usato la scrittura per leggere messaggi che nascondevo perfino a me stessa.

Con una penna in mano sono capace di raggiungere ogni angolo buio e angusto della mia mente.

Da quando lei non c'è più mi viene difficile comunicare a parole ciò che provo. Forse perché quando penso a ciò che sento e provo ad aprire bocca per descriverlo tutto ciò che mi verrebbe da fare è urlare.

Urlare fino a consumarmi la voce, urlare fino a far esplodere il mondo per la forza di quello schifo che giorno dopo giorno continua a distruggermi l'anima, lo stesso schifo che giorno dopo giorno continua ad uccidere la Stella che aveva sempre un gran sorriso da donare al prossimo.

Nulla è per caso (DA REVISIONARE/ COMPLETARE)Where stories live. Discover now