Capitolo 42

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 "Sai sei cambiato molto in questi anni" disse il generale Carter rivolgendosi Dave.

Dopo che Jane se n'era andata, nessuno dei due aveva voluto andare a dormire. Sarebbe stato inutile, il sonno non sarebbe mai arrivato e così erano rimasti seduti al tavolo della cucina, uno di fronte all'altro, con una tazza di caffè in mano, cercando di trarre forza e conforto dalla reciproca compagnia.

Dave aveva sempre avuto difficoltà a esternare i propri sentimenti, a dare voce ai propri pensieri. Ci era riuscito solo con Emily, che con la sua dolcezza e la sua determinazione, poco a poco aveva valicato il muro di finta indifferenza che lui si era costruito e che lo faceva apparire freddo e scostante.

Con lei si era aperto, si era lasciato andare e con stupore aveva scoperto che parlare, confidarsi lo faceva stare bene e lo aiutava a vedere le cose sotto una luce diversa.

Adesso avvertiva quella necessità farsi sempre più impellente e si lasciò andare.

"La prima volta che vidi Emily fu quando andai da Foster per chiedergli perché io, perché tra tanti agenti dell'FBI aveva voluto che fossi io a proteggere sua figlia" cominciò a raccontare. "Lui mi disse perché non ero stato capace di salvare Susan, poi mi portò alla finestra e mi indicò Emily, intenta in giardino a disegnare, e disse che lei era tutto ciò che gli rimaneva. Quando lo lasciai e uscii dalla casa, lei sollevò la testa e mi guardò... Fu il momento esatto in cui mi innamorai di lei, ma non lo capii... E quando accadde non volevo accettarlo, perché tutte le persone che avevo amato se n'erano andate: prima mia madre, poi Kate e infine mio padre. Non avrei sopportato di perdere anche lei. Ma Emily mi ha insegnato che non possiamo sempre controllare tutto, che il destino è più forte della nostra volontà e che contrastarlo non ha senso. Così ho abbassato le mie difese e le ho aperto il mio cuore e non me ne sono mai pentito. Alla fine del processo, è entrata nel programma di protezione testimoni e io l'ho lasciata andare, dicendomi che era per il suo bene... In realtà non eravamo ancora pronti, io più di lei. Ma la vita ci ha dato un'altra possibilità e ora siamo di nuovo insieme. Adesso, più che mai, capisco cosa intendeva Foster quando mi confidò che Emily era tutto ciò che gli restava. Anche per me è cosi: lei è ciò che da valore alla mia vita, senza di lei non mi rimane nulla..."

Dave smise di parlare e abbassò lo sguardo sulla tazza del caffè ormai freddo. La prese e la portò alle labbra. Bevve un piccolo sorso, poi la ripose sul tavolo e alzò gli occhi sul generale Carter che lo stava osservando.

"Ti sbagli", disse quest'ultimo "tu hai Tommy e hai una responsabilità verso di lui. Non puoi lasciarti andare in questo modo."

"Una responsabilità dice?" replicò Dave "Come posso guardare negli occhi mio figlio sapendo di non aver fatto abbastanza per proteggere sua madre? Perché è questa la verità: io non ho fatto abbastanza, come non l'ho fatto per Susan, per mia madre, per Kate... Non ho mai fatto abbastanza..."

"Non darti colpe che non hai. L'hai detto tu stesso: non possiamo controllare tutto, e ancor meno possiamo prevedere quello che accadrà. Quello che possiamo fare, invece, è vivere il presente e non perdere neppure un attimo di quello che la vita ci offre, compreso il dolore perché è vita esso stesso."

"Mi sembra di sentir parlare Emily..."

Il generale sorrise. "Emily l'ha provato sulla sua pelle, ma ha lottato per non lasciarsi sopraffare e sono certo che anche adesso sta lottando per tornare da te e dal suo bambino. Fai altrettanto: lotta per riportarla a casa. Piangersi addosso non serve a nulla se non a fare il gioco di Castillo!"

Il suono improvviso del campanello li riscosse e li fece tornare al presente. Si era fatto ormai giorno e non se n'erano neppure accorti! Dave si alzò e andò ad aprire. Sulla soglia c'era sua madre.

"Mamma!" esclamò.

"Ho preso il primo volo disponibile... Spero non ti dispiaccia."

Lui la guardò per un breve istante, poi spalancò le braccia in un chiaro invito: "Sono contento che tu sia qui!" rispose semplicemente.

Margaret lo abbracciò cercando di trattenere la commozione; non era quello il momento di lasciarsi andare alle lacrime, al contrario doveva mostrasi forte e fiduciosa.

"Andrà tutto bene... Ne sono sicura" disse, scostandosi da lui e guardandolo negli occhi. Non gli stava mentendo, credeva fermamente in quello che stava dicendo. Aveva fiducia in lui, nelle sue capacità investigative e soprattutto nell'amore che lo legava a Emily ed era convinta che proprio grazie a esso quella brutta vicenda avrebbe avuto un lieto epilogo.

"Dov'è Tommy? Sta dormendo?" chiese.

Dave scosse la testa: "Ieri sera l'ho lasciato con i genitori di Julie. Ha passato la notte con loro...Non ero in grado di occuparmi di lui" rispose in tono colpevole. "Ma oggi voglio riportarlo qui con me."

Sua madre sorrise rassicurante: "Se me lo permetti vorrei rimanere a darti una mano..."

"Ne sarei felice."

Poco dopo arrivò anche l'agente Donovan, sul viso i segni evidenti di una notte insonne.

"Buongiorno!" disse "Purtroppo dal filmato delle videocamere non è emerso nulla che ci possa aiutare, tranne la conferma che l'uomo che ha portato via Emily è proprio Andrew Castillo... Ecco guardate voi stessi."

Jane posò sul tavolo alcune immagini tratte dalla registrazione e le mise a confronto con delle foto segnaletiche di Castillo. I tecnici del laboratorio erano riusciti a fare un lavoro sublime e, nonostante Andrew avesse cercato di mascherare il più possibile il volto, era innegabile che si trattasse di lui.

Dave osservò con estrema attenzione quel viso, che gli ricordava vagamente qualcosa, ma non capiva cosa. C'era una certa somiglianza con qualcuno che aveva già visto da qualche parte, ma dannazione, non riusciva a ricordare né dove, né quando...

IDENTITA' NEGATAWhere stories live. Discover now