CAPITOLO 17

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 "Tieni alta la guardia Jeff, alta la guardia se non vuoi ritrovarti col naso fratturato" gridò il capitano Wilson al giovane agente che aveva di fronte e col quale stava simulando un corpo a corpo.

Il suono insistente del suo cellulare lo fece fermare.

"Direi che per oggi può bastare Jeff. Ci vediamo, qui in palestra, domani mattina alle nove."

"D'accordo! Io e i ragazzi andiamo a berci una birra. Vuole unirsi a noi capitano?"

"Ti ringrazio ma questa sera è il compleanno della madre di Jennifer e non posso assolutamente fare tardi."

"Capisco... A quando le nozze?"

"Il prossimo mese" disse Dave, afferrando il telefono e salutando con un cenno della mano, per poi dirigersi verso gli spogliatoi.

"Dimmi cara. Che succede?"

"Volevo solo ricordarti la cena con mia madre. Sai quanto ci tenga alla puntualità" ripose Jennifer.

"Non l'ho dimenticato, stai tranquilla. Sto arrivando. Mi faccio una doccia e sono pronto."

Il capitano Wilson dopo lunghi ripensamenti aveva deciso di rimanere all'FBI, non come agente attivo, bensì come istruttore.

Il processo Foster aveva messo a dura prova la sua fiducia in quell'istituzione, ma poi si era detto che un paio di mele marce non poteva rovinare l'intero raccolto e così aveva definitivamente ritirato le proprie dimissioni. Gli piaceva insegnare a quei giovani agenti i trucchi del mestiere, quello che lui aveva imparato a proprie spese e poi ci sapeva fare con loro ed era benvoluto.

Alla fine la sua posizione, in merito alla morte di Susan, era stata chiarita. La famosa autorizzazione a intervenire era sì partita alle 17.00, ma era stata dirottata su un altro membro della squadra, che ancora non era giunto sul posto e che non aveva detto nulla per paura delle conseguenze. Le indagini interne dell'FBI avevano poi portato a smascherare altri due agenti corrotti uno dei quali era il responsabile dell'uccisione di Susan. Quel giorno faceva parte del gruppo di uomini che avrebbero dovuto liberarla, era entrato dalla finestra aperta, le aveva sparato, poi, quando Dave aveva fatto irruzione, si era nascosto, fingendo di essere arrivato subito dopo insieme a tutti gli altri.

Dal generale Carter, ora in pensione, aveva appreso che Emily era entrata a far parte del programma federale di protezione testimoni, insieme al padre, il quale era morto un paio di anni dopo, ma qualunque altra informazione era top secret e alla fine aveva dovuto rinunciare a saperne di più.

Lo consolava il fatto che la testimonianza di Aaron Foster era stata fondamentale per smantellare l'intera organizzazione criminale che controllava il riciclo di denaro sporco e altri sporchi traffici, non solo nella città, ma in tutta la contea e, quindi, il loro rinunciare a stare insieme non era stato un sacrificio inutile.

Nonostante fossero passati sette anni, ogni tanto pensava a lei e a casa, in un cassetto della scrivania conservava ancora il disegno che gli aveva regalato, insieme ad altri effetti personali.

Si augurava che stesse bene, che si fosse rifatta una vita, anche se immaginarla con un altro uomo gli procurava un sottile moto di gelosia. Era assurdo, lo sapeva, tanto più che stava per sposarsi, eppure una parte di lui la desiderava ancora come allora e non riusciva a dimenticarla.

Aveva conosciuto Jennifer alcuni anni prima, quando si era rivolto all'agenzia immobiliare, presso la quale lavorava, per vendere il cottage dove non aveva più avuto il coraggio di tornare.

Lo aveva tenuto per un po' di tempo, perché era un qualcosa che lo legava a lei e gliela faceva sentire più vicina, ma poi aveva deciso di disfarsene, perché si era reso conto che continuare a vivere nel passato non gli avrebbe mai permesso di amare di nuovo, come le aveva promesso.

Non era stato facile trovare un compratore e aveva dovuto abbassare molto il prezzo, ma alla fine era arrivata un'offerta e lui aveva accettato subito, rilasciando una procura a Jennifer, che aveva firmato il contratto per suo conto.

Con Jennifer si trovava bene; avevano molti interessi in comune e anche nell'intimità andavano d'accordo, perciò perché non sposarsi?

Lo avevano deciso insieme, una sera, mentre cenavano a casa di lei, dove lui si era stabilito in pianta stabile.

"Ascolta Dave"gli aveva detto "ormai ci conosciamo da tre anni e da due viviamo insieme... Non sarebbe più logico se tu ti liberassi definitivamente del tuo appartamento?"

"Cosa mi stai proponendo?"

"Perché non ci sposiamo? In fondo cosa cambierebbe?"

Lui la guardò per un attimo, all'apparenza indeciso, ma sapeva che aveva ragione, così rispose "D'accordo sposiamoci!"

In fondo, si disse, che senso aveva spettare? Aveva aspettato sette anni e non era accaduto niente ...

Avevano optato per un matrimonio semplice, il mese successivo: i familiari, che per Dave, forse, non ci sarebbero neppure stati, e gli amici più intimi, nulla più.

Jannifer era elettrizzata, come capita a tutte le donne, e insieme alla madre stava organizzando la cerimonia, il piccolo ricevimento che ne sarebbe seguito e l'abito, mentre Dave partecipava a tutto questo con maggior distacco, convinto che, in fondo, per lui non avrebbe fatto alcuna differenza.

Quell'idea romantica dell'amore non gli apparteneva, non più. Ci aveva creduto e l'aveva anche vissuta, ma poi l'aveva rinchiusa in quel cassetto insieme al ritratto di Emily e aveva lasciato che il tempo la trasformasse in un ricordo.

IDENTITA' NEGATADove le storie prendono vita. Scoprilo ora