l. offri il tuo cuore

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"If I lose it all, slip and fall, I will never look awayIf I lose it all, outside the wall, live to die another day

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"If I lose it all, slip and fall, I will never look away
If I lose it all, outside the wall, live to die another day..."
- The Rumbling.

"- The Rumbling

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IL PANNO BIANCO scorreva liscio sulla superficie riflettente dell'acciaio, rimuovendo i minimi grani di polvere accumulati. La lama, lunga e sottile, era alla vista estremamente delicata - e le dita della fanciulla l'accarezzavano con estrema cura. Ne teneva l'impugnatura fasciata con una mano, giostrandola davanti al viso. Nei suoi occhi si rifletteva il gioco aranciato delle candele. Si infrangeva sulla superficie del tè come il sole al tramonto, sul mare. Il placido silenzio della sera prima della battaglia venne interrotto da alcuni colpi sulla porta della stanza. Essa si aprì senza che Manami rispondesse.
«Ciao.» disse al giovane che faceva capolino dallo spiraglio. Ripose la katana nella guaina, posandola sul tavolo.
«Ti disturbo?» domandò lui, gli occhi color salvia macchiati di sfumature ambrate. La ragazza scosse il capo: «Entra.» lui lo fece e si richiuse la porta alle spalle.
«Sei stato dai tuoi genitori?» gli domandò, versando il liquido aromatico in un paio di tazzine di ceramica bianche. Colt annuì fievolmente, rilasciando un sospiro. Si sedette sul bordo del letto, le mani intrecciate fra le ginocchia.
«Sì... li ho salutati. Potrebbe essere l'ultima volta che ci siamo visti... ma ho promesso loro che sarei tornato, insieme a Falco. Sono uno stupido, se ci spero?»
La sua voce era incrinata, parlava a fatica. Fremeva da capo a piedi, giocherellava con le proprie dita e faceva saettare le pupille da un angolo all'altro della camera. Notò che era in perfetto ordine, come sempre. Manami lo osservò in silenzio, le labbra che sfioravano la tazzina da tè.
Sbuffò, lo rimproverò con sguardo serio:
«Però non riesco a parlarti normalmente, se fai quella faccia da cucciolo bastonato.»
Colt strabuzzò gli occhi, la fissò in volto. Sentì due fiammate divorargli le guance. Afferrò, a mano tremante, la bevanda che lei gli stava offrendo.
«Oh, grazie.» mormorò, deglutendo l'intero contenuto in un solo sorso. Neanche fosse stato alcool. Ogni suo gesto emanava scosse di nervosismo, i muscoli al di sotto della camicia erano evidentemente contratti, tesi, pronti a scattare. Manami socchiuse le palpebre e gli diede una seconda dose di tè. Una volta che lo vide rilassarsi, merito dello scorrere del liquido tiepido in gola come fosse stato nel suo sangue, osò parlargli di nuovo.
«Dimmi, cosa vuoi sapere?»
Colt sussultò, ma non si sorprese più di tanto. Gli venne quasi da mettere il broncio, simile a un bambino che non riesce a nascondere nulla alla propria madre. Rilassò le spalle, e trovò sufficiente coraggio per guardarla dritta negli occhi:
«La sera dell'attacco... hai detto che non era la prima volta che ci passavi... ti riferivi a quel giorno di nove anni fa a Shiganshina?»
Sentì un enorme peso sollevarsi dalla coscienza: se lo domandava da un mese, ormai. Temeva di aver osato troppo - ma non aveva più nulla da perdere. L'indomani sarebbero potuti morire. Tanto valeva farlo senza alcun rimpianto. Inaspettatamente, la ragazza non si chiuse in sé stessa.
«Non solo.» rispose, le sue parole risuonavano suadenti nelle sue orecchie, lo catturarono come un magnete. «Quattro anni fa, quando Berthold ha abbattuto il portone esterno del distretto di Trost, nel Wall Rose, io mi ero appena diplomata dal Corpo Cadetti. Io, Eren... e tutti gli altri quel giorno eravamo di servizio lì, perché l'Armata Ricognitiva era fuori città per una missione. Siamo stati noi a proteggere il distretto... è una storia lunga.» gesticolò «Comunque, è stato quel giorno che abbiamo scoperto tutti il potere di Eren, lui compreso. Il Governo di allora lo ha processato per decidere se andava ucciso, in quanto minaccia per il genere umano all'interno delle mura. Erwin Smith, il Comandante del Corpo di Ricerca, pensava invece che avremmo potuto usare il potere di Eren per riconquistare il Wall Maria.» le vennero in mente le scene del processo, quando lei stessa si era ritrovata a parlare al fianco della figura autoritaria del biondo: provò un malinconico senso di mancanza nei suoi confronti, più di quanto non avesse mai fatto con i propri compagni o Levi. Forse perché sapeva che lui non c'era più: era davvero andato all'Inferno, quel giorno. Come le aveva detto la sera prima dell'attacco. Tale parallelismo la fece rabbrividire: era esattamente ciò che stava facendo con Colt, adesso. Le si contrasse lo stomaco, le pupille si restrinsero a fessure.
«Manami...?» la richiamò lui.
Serrò le palpebre. Sentire la sua voce l'aveva rassicurata: erano insieme. Lui era lì con lei. Stavano parlando tranquillamente. Non c'era motivo di allarmarsi. Colt sarebbe vissuto. Lei l'avrebbe protetto. Ma, nonostante ciò, il nodo che aveva alla gola non si sciolse, quasi una premonizione a non abbassare la guardia.
«Alla fine ha vinto ed Eren è stato affidato alla custodia di Levi. Comunque, lui mi aveva vista combattere, e aveva deciso di volermi nella sua squadra. In breve tempo sono diventata la sua vice.» concluse.
«Quindi, tu ed Eren eravate nella stessa unità.»
«Sì, esatto.» annuì, alzando gli occhi al soffitto «Era una squadra formata da veterani, considerati l'élite dell'intero esercito... sono morti durante la spedizione di un mese dopo, combattendo contro Annie. Anche se ancora non sapevamo che era lei. Io sono sopravvissuta per miracolo, con una botta in testa, una spalla fuori uso e un po' di costole rotte...» si dovette sforzare di non immergersi troppo in quei ricordi, di non farsi risucchiare dall'aria fresca che tirava quando lei si era addormentata su quel carro a Ermina, con la giacca di Levi sulle spalle, in attesa che i loro compagni tornassero dalla battaglia contro Reiner e Berthold. «Quella è stata la seconda volta. La terza volta, se saltiamo... la parte in cui uccido esseri umani...» e sentì di nuovo il sapore viscido del sangue tiepido sulla pelle delle mani, appena pompato dal muscolo pulsante del cuore squarciato. Le dita vennero percosse da un tremito «-è stata quattro anni fa, di nuovo a Shiganshina. Sai già com'è andata quella volta dai racconti di Zeke.» disse rapidamente. Non aveva davvero voglia di ricordare quel giorno. Faceva già male abbastanza così. Per poco non le comparve un sorriso amareggiato sulla bocca: quante persone aveva perso... come foglie trasportate via dal vento che lei non era riuscita ad agguantare in tempo. E questo non avrebbe mai smesso di accadere, perché il mondo andava avanti sempre nello stesso modo... non importava se si trovava sull'Isola o dall'altra parte del metaforico mare: la morte era uguale dovunque. Dopotutto, era un passaggio ineluttabile della vita umana. Erano tutti persone. Ancora una volta, la voce del ragazzo riuscì a riafferrarla appena prima che sprofondasse nel baratro, e la risollevò nella realtà.
«Io non so che dire...» mormorò Colt, lo sguardo al pavimento. Sentiva freddo, all'improvviso. La morte aveva soffiato nell'aria della stanza, spegnendo il calore delle fiamme aranciate delle candele.
«Non dire nulla, allora.» rispose lei, rivolgendogli un'occhiata comprensiva «Adesso hai capito perché non ti ho mai detto niente, eh
Lui si strinse nelle spalle, non avendo sufficiente forza di ricambiare lo sguardo «Mi dispiace. Non sai... quanto mi dispiace...» si passò una mano fra i capelli corti, provando una fitta indicibile all'altezza del petto. Si sentiva in parte colpevole di quanto orribile accaduto nella vita della ragazza a causa di Marley. Pensò che fosse tutto sbagliato.
«Non devi, non dipende da te. È nel passato.» lo rassicurò. Quante volte si era ripetuta la medesima frase, nel corso degli anni...
Colt alzò la testa all'improvviso, e le sue iridi chiare le sfiorarono il volto sembrando docili carezze.
«Ti mancano mai, i tuoi compagni?»
Manami corrucciò le sopracciglia, ragionando. Rilasciò il bordo della tazzina, che aveva fatto ondeggiare fin ora.
«Anche se mi mancassero... non si può vivere nella speranza che il passato torni a essere presente. Bisogna farsene una ragione e basta.»
«Però, se potessi, vorresti tornare indietro?»
Non lo sapeva. Comunque era impossibile, perciò il problema non si poneva. Trovò un modo migliore per rispondergli: lo guardò fisso, una scintilla maliziosa nelle pupille, gli angoli delle labbra leggermente piegati all'insù.
«Me lo stai chiedendo per capire se avrei voluto conoscerti o meno?»
Il ragazzo spalancò di poco le palpebre. Poi strinse le labbra tra loro e drizzò le spalle.
«Perché, quale sarebbe la risposta?» domandò, con lo stesso tono di lei.
Manami scoppiò in una sommessa risata. Si coprì gli occhi con una mano, mentre le spalle si scuotevano piano e il labbro inferiore era stretto fra i denti. Colt sentì il cuore balzargli in gola, un'impetuosa ondata di tepore invadergli il basso ventre. Era la prima volta che la vedeva ridere, e si emozionò quasi nel realizzare che ne era stato lui la causa.
Manami gli puntò un indice contro.
«Questa era un bella risposta, Grice.» commentò, nel tentativo di ricomporsi.
«La ringrazio di cuore, vice-Capitano Forster!» esclamò lui, un sincero sorriso stampato in volto, portandosi il pugno destro proprio di fronte alla parte sinistra del petto. Per un istante, al posto di Colt vide l'Eren di quattro anni prima.

SUNLIGHT PUFF • levi ackermanDonde viven las historias. Descúbrelo ahora