1. Il Mago

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New Orleans, estate 1933

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New Orleans, estate 1933.

Il circo arrivò all'alba, in un torrido sabato di fine giugno.

Il convoglio su cui viaggiava – un serpentone di vagoni rosso scarlatto e ruote dipinte a raggiera – apparve su un binario alla periferia nord della città, annunciato da un violento stridore di freni e da una nube di fumo grigio.

Nella viscosa luce del giorno, che si faceva via via più intensa, tutti i portelloni si spalancarono fragorosamente; ne emersero una dozzina di uomini sporchi che, dopo aver imprecato, sputato per terra e acceso qualche sigaretta, circondarono il treno calando giù pedane e guidando per le briglie enormi cavalli da tiro.

Nel giro di un paio d'ore, quell'inconsueto movimento aveva attirato una gran folla, accorsa per vedere la stupefacente città mobile che prendeva forma sotto i loro occhi,

i più piccoli ansiosi di scorgere una proboscide, gli adulti qualche giarrettiera.

A Maurice O'Malley quella gente non piaceva. A dire il vero, erano ben poche le cose al mondo che gli andassero a genio, ma tra tutti i fermi con cui aveva avuto a che fare, i fermi di città erano quelli che tollerava meno. Sembrava che ormai nulla sortisse il loro interesse: perché sborsare venticinque cent per vedere una bestia feroce quando ce n'erano a dozzine esposte ogni giorno allo zoo? Quale acrobazia poteva reggere il confronto con gli effetti speciali di un film? I fermi di città erano spavaldi, cattivi. E lo erano diventati ancora di più con i tempi che correvano...

Il Paese che li aveva accolti con sfolgoranti promesse di fama e ricchezza – "Se puoi sognarlo puoi realizzarlo!", non diceva così Mr. Walt Disney? – ultimamente se la stava passando male. Erano già trascorsi quattro anni dal Martedì nero e ancora i suoi effetti non cessavano di farsi sentire: salari da fame, attività fallite, intere famiglie in mezzo alla strada. Lo sconforto, peggiorato solo dalla carenza di alcol, aleggiava ovunque come una cappa malsana. e rendeva i fermi ancora più diffidenti del normale verso quelli come loro, i dritti, stranieri e senza fissa dimora.

O'Malley sospirò profondamente e scosse la testa, facendo oscillare il gibus di vernice aperto sul fondo come una scatoletta; mentre attraversava il piazzale pullulante di attività, si fermò per cedere il passo a una coppia di Lipizzani bianchi diretti al serraglio e riprese il cammino, brontolando fra sé.

Si sforzava di non pensarci – dal direttore ci si aspettava risolutezza! – ma nelle sue vecchie ossa irlandesi lo sapeva, lo sentiva. L'epoca d'oro del circo stava tramontando.

Le grandi compagnie venivano smembrate una dopo l'altra, costringendo i saltimbanchi a vagare alla ricerca disperata di un impiego, che fosse arrampicarsi sull'impalcatura di un grattacielo in costruzione o infilarsi nei cunicoli bui di una miniera. La verità era che il mondo stava cambiando troppo in fretta. E quando questo succedeva quelli come loro erano i primi a essere lasciati indietro...

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