Capitolo 34

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Il mattino seguente, carica di ottimismo e di energia, sono davanti agli uffici della Naturale, che occupano un intero prestigioso palazzo in pieno centro, dalle nove e mezza. Sarei arrivata anche molte ore prima, tanta era la mia paura di tardare per qualche motivo imprevedibile, ma Toio, che mi ha accompagnato con Luna, si è rifiutato di alzarsi alle cinque del mattino.

Faccio un cenno di saluto a Toio, che si è appena seduto al tavolo di una gelateria all'aperto a qualche metro di distanza e ha sistemato Luna nel passeggino accanto a sé. Lui mi risponde alzando il pollice.

Basta indugiare. È giunto il momento di entrare.

Le porte scorrevoli si spalancano davanti a me e mi lascio inghiottire nel vasto, lucido salone di marmo che accoglie i visitatori della Naturale. Un soffice divano è sistemato al centro della sala, candido e accogliente, sotto i rami di un'alta palma verde. Uomini in giacca e cravatta e donne in costosi tailleur saettano da un capo all'altro del salone, scomparendo oltre misteriose porte o apparendo da silenziosi stracolmi ascensori. Non avevo idea che alla Naturale lavorasse tanta gente.

«Desidera?»

Dietro un bancone di marmo nero, una ragazza in un'elegante distinta giacca scura da cui spunta l'inamidato colletto bianco di una camicia attira la mia attenzione. Porta una sottile cuffia con microfono attorno al collo. Dev'essere la centralinista. Mi avvicino con fare deciso e professionale, che cerco di imitare dagli impiegati che sfrecciano accanto a me, coinvolti in chissà quali importanti lavori.

«Buongiorno sono Laici. Ho un appuntamento con la signora Cantoni.»

La centralinista mi squadra incerta. Il calibro delle usuali visite di Paola Cantoni deve essere ben superiore alle mie apparenze. Involontariamente stringo la cartellina di plastica nuova di pacca che custodisce la presentazione del mio progetto.

«Un attimo, prego.» Infila la cuffia, preme un bottone su una tastiera dietro il bancone e attende. «Sì,» dice a una voce senza volto che le parla nella cuffia. «Ho qui una certa Laici. Sì. D'accordo.» Abbassa di nuovo la cuffia e si rivolge a me:

«La attende. Al settimo piano, quando esce dall'ascensore l'ufficio di fronte.»

Il telefono accanto suona, la centralinista risponde con un sorriso, dimenticandosi immediatamente di me.

Procedo col cuore in gola verso gli ascensori di cupo metallo dall'altra parte del salone.

Mi unisco alla folla di impiegati e progettisti già in fila davanti alle porte, e quando queste si aprono mi ritrovo catapultata in mezzo a loro nel gabbiotto di lucido ottone. Sono talmente emozionata che il viaggio mi sembra infinito.

Scopro che il settimo piano è l'ultimo, e nessun altro deve raggiungerlo. Esco dall'ascensore con uno strano senso di nausea alla bocca dello stomaco.

Respiro a fondo, mentre attraverso un lungo, luminoso corridoio tappezzato di rosso fino alla stanza in fondo: sull'ampia porta di legno, senza maniglie né appigli, un'incisione in caratteri liberty dichiara "Arch. P. Cantoni. Presidenza".

«Sì?»

Trasalisco. Dietro di me è apparsa una donna elegante, con lunghi capelli castani, in una fine gonna a tubo e un'impalpabile camicetta di raso. Dev'essere uscita dal secondo ascensore, giunto al piano pochi attimi dopo quello che ho preso io.

«Sono Laici» spiego. «Ho un appuntamento con la signora Cantoni.»

Si ammorbidisce. «Ah, sì. La annuncio.»

Entra in uno degli uffici laterali, spalancando la porta a vetri e dirigendosi alla lucida scrivania. Rotoli di progetti riempiono un cestino accanto alla sedia, lo schermo piatto di un computer attende roteando all'infinito il logo della Naturale.

Luna CrescenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora