Capitolo 31

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Il parcheggio dell'ospedale si sta svuotando. L'orario delle visite è finito, parenti e amici si affrettano a tornare a casa lasciandosi alle spalle l'odore di disinfettante e malattia.

Toio e io raggiungiamo il piano del reparto ostetricia scambiandoci occhiate nervose e incredule. Temiamo eppure desideriamo ciò che sta per accadere, impazienti e forse spaventati ci stringiamo la mano. Il mio cuore è immerso in una miscela di gioia, aspettativa e terrore. I dolori sono fastidiosi ma non insopportabili, in un anfratto sconosciuto della mente mi domando quanto e quando diverranno più forti.

Percorriamo il corridoio del reparto sotto scadenti luci al neon. Sembra essere stato abbandonato. Al banco dell'accettazione non c'è nessuno. Toio e io ci guardiamo sperduti, chiedendoci dove possiamo andare. Poi lui mi prende per mano e mi conduce oltre una porta spalancata, in un altro infinito corridoio su cui danno le stanze di degenza.

Camminare mi dà sollievo, vorrei che il corridoio fosse più lungo. Appena mi fermo sento l'intensità famelica della nuova contrazione che si sussegue alla precedente.

«Scusate.» Toio si è infilato in una stanza dal consolante cartello "infermeria". All'interno, due giovani ostetriche che stavano chiacchierando si voltano a guardarlo. Mi scorgono oltre le spalle di Toio, si avvicinano con sorrisi sulle labbra e dichiarano che mi porteranno a fare un monitoraggio.

Monitoraggio? Oddio, ci siamo proprio.

Lascio la borsa e la giacca a Toio, seguo una delle ostetriche in una piccola saletta bianca, mi accomodo su una poltroncina reclinabile e mi lascio avvolgere la pancia con una cintura a strappo. Fili neri serpeggianti la collegano a un gabbiotto di plastica che emette un fastidioso ronzio. Non mi dà molta fiducia: questo apparecchio ha qualcosa di antidiluviano.

L'ostetrica, Daniela, litiga per qualche momento con un rotolo di carta quadrettata che infila nella bocca della macchina, poi picchietta su alcuni tasti finché compaiono due numeri di cristalli liquidi sul led in fronte al cardiotocografo. D'improvviso ecco che un suono ritmico, basso, continuo giunge dal macchinario. È il battito cardiaco di Luna, una splendida melodia che mi ipnotizza come le onde del mare intrappolate in una conchiglia. L'ostetrica mi allunga un piccolo telecomando collegato alla macchina, dicendomi di premere il pulsante ogni volta che sento un movimento del bambino.

«Resterai qui un pochino, appena arriva il dottore ti visitiamo» e se ne va.

Trascorre mezz'ora. Insieme a Toio non faccio che osservare ammaliata i numeri che scorrono sui led del cardiotocografo, ascoltando la canzone del cuore di Luna.

Comincio a essere scomoda, imbragata dalla cintura e dai cavi della macchina. Con sollievo sento la voce dell'ostetrica oltre la porta: Daniela entra, toglie le mani dalle tasche della divisa, sorride, domanda come mi sento.

«Come prima, non provo nulla di nuovo» rispondo.

Daniela strappa il papiro su cui il cardiotocografo ha tracciato fedelmente una serie di picchi e pianure che dovrebbero in qualche modo rappresentare le mie contrazioni. Le chiedo ansiosa cosa legge, ma lei si limita a dire:

«Va tutto bene. Adesso la dottoressa ti visita.»

Sì, ma io voglio sapere se ci siamo. Se il dolore resta così per tutto il parto, posso farcela. Toio non resiste e comincia a telefonare. Chiama Marco, Marzia, Teo, mio padre e, prima che io me ne accorga, perfino mia madre. È impazzito tutto a un tratto?

«Vado a prendere un caffè» dichiara al termine dell'ennesima telefonata. Esaurirà il credito prima ancora che Luna sia nata, e non avrà un centesimo per avvertire tutti della sua nascita.

Luna CrescenteWhere stories live. Discover now