Capitolo 13

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"Sedicesima settimana. Non insistete nell'indossare gonne o pantaloni attillati."

Come se potessi riuscirci. I miei jeans sono perennemente slacciati, nascosti da magliette larghe e lunghe. Mi rifiuto di rifare l'intero guardaroba solo per pochi mesi, con gli scarsi soldi che ho sul conto corrente. Teo mi offre continuamente prestiti, ma prima o poi li dovrò restituire, quindi uso i suoi soldi solo per gli acquisti più inderogabili e consistenti.

Tuttavia, sono costretta ad ammettere di aver bisogno di qualche vestito più adatto alla mia nuova condizione. Quando acquisto un vestito a vita alta al mercato, il proprietario della bancarella, un cinesino che credevo sapesse dire solo sì e sì-sì, mi guarda, sorride e chiede:

«Prémaman?»

Si vede già così tanto?

Da quando hanno saputo che sono incinta, le mie colleghe sono diventate estremamente gentili e cordiali. Colgono ogni occasione per coinvolgermi nelle loro chiacchiere e mettermi al corrente degli ultimi pettegolezzi. Ieri Francesca mi ha passato una copia dell'ultimo Vanity Fair, accuratamente nascosto in una pila di cartellette di documenti di cui dovevo controllare la punteggiatura. È stato come aver superato una prova di iniziazione ed essere accolta nel loro gruppo. Non avevo idea che un bambino potesse avere questo effetto.

Si preoccupano della mia salute, domandano se ho troppo caldo o se ho troppo freddo. Già una volta Francesca si è offerta di andare a prendere i caffè al bar al mio posto, ma io ho rifiutato. Non sono malata, sono incinta. Mi stanno sommergendo di vestitini e giocattoli dei loro figli o nipoti o cugini. Mariella mi ha offerto il lettino in cui hanno dormito i suoi due figli, ma le ho detto che ci avrei pensato. Dopo dieci anni dubito che possa essere ancora sicuro e stabile come lo era il primo giorno, soprattutto considerando la vitalità dei bimbi di Mariella.

L'unico che sembra essere immune a questa febbre è Carini. Il suo atteggiamento nei miei confronti è rimasto tale e quale, e comincio a credere che non cambierà. Significa che le già scarse probabilità che possa cambiare idea e decidere di rinnovare il mio contratto sono sempre meno.

Beh, non mi sorprende. Perché mai dovrebbe tenere una persona che starà a casa almeno cinque mesi ma dovrà pagare ugualmente? È molto meglio per lui cercare un sostituto. Quante volte ho sentito di ragazze che, pur avendo lavorato sodo per anni per il proprio datore di lavoro, nel momento in cui rimangono incinte vengono licenziate o costrette a licenziarsi? La legge chiaramente proibisce tutto ciò, ma chissà come ogni volta si trovano scappatoie valide e indiscutibili.

E oltre al danno, nella maggior parte dei casi, si aggiunge la beffa: il datore di lavoro decide di assegnare definitivamente il posto di lavoro a colui che ha sostituito la nuova mamma.

Una signora anziana mi ha avvicinato in un negozio per chiedendomi perché mai le ragazze di oggi pensino più al lavoro che ai figli. Le ho risposto che rivolgeva la domanda alla persona sbagliata visto che sono incinta e presto disoccupata, e prima che lei si lanciasse in una profonda dissertazione sulla superficialità delle donne e delle famiglie d'oggi ho mollato la tutina e alzato i tacchi e lasciato il negozio.

Non è che le donne di oggi siano meno interessate alla famiglia di quelle di ieri. È che hanno la possibilità di gestire la propria vita grazie ai metodi anticoncezionali, possono scegliere quando dedicarsi alla carriera e quando alla famiglia. Ma paradossalmente, con questa maggiore libertà, si ritrovano ancora più incatenate agli stereotipi e da loro si pretende non più solo che siano ottime madri, perfette casalinghe, brave mogli e amanti piccanti, ma anche assidue lavoratrici.

"Perfino Wonder Woman avrebbe qualche problema a scalare una montagna così ardua," ho fatto notare a Marzia qualche giorno fa "figuriamoci una persona normale."

Luna CrescenteWhere stories live. Discover now