Capitolo 12

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"Tredicesima settimana. Se avete sofferto di nausea al mattino, questa si sarà dileguata."

Dovrebbero multare chi scrive fesserie del genere. Io continuo a soffrire di nausea, ogni odore me la provoca. In ogni bar l'aroma del caffè mi stringe impietoso lo stomaco. Un panino al tonno mi istiga conati indescrivibili. Perfino il detersivo per pulire il forno, che secondo l'etichetta sgargiante sulla confezione profuma gradevolmente di limone, rischia di farmi correre in bagno e avere una lunga profonda discussione con la tazza del water.

Lo faccio notare alla dottoressa, che mi sta visitando tastandomi la pancia. Lei ridacchia e dice di portare pazienza, che questi malesseri passeranno presto, lasciando spazio agli altri disturbi: acidità di stomaco, pesantezza, mal di schiena, gonfiore e ritenzione di liquidi, senza dimenticare la possibilità che si presenti il diabete gestazionale.

Magnifico.

Questi particolari della maternità vengono saggiamente taciuti dal mondo intero finché una donna non ci si ritrova in mezzo.

A volte ho la sensazione di essere stata imbrogliata, a cominciare dalle pubblicità degli abbigliamenti prémaman, dove le mamme sono felici e sorridenti nonostante un pancione che impensierirebbe perfino l'omino Michelin. La gravidanza fa provare una gioia infinita e indescrivibile, ma anche fastidi e dolori sconosciuti, eppure la società sembra volerci ricordare solo la prima e costringerci a dimenticare i secondi. Sono convinta che siano degli uomini a disegnare quelle pubblicità. Uomini che non hanno mai avuto a che fare con donne incinte.

«Arriverà il giorno in cui starò di nuovo bene?» chiedo alla dottoressa. Sdraiata a pancia all'aria sullo scomodo lettino ginecologico, fisso il soffitto grigiastro pensierosa.

Avevo sperato che la visita di oggi consistesse in un'ecografia, ma il sistema sanitario ne passa solo tre in tutta la gravidanza. Una ecografia a trimestre. Devo aspettare ancora prima di rivederlo. Vorrei tanto sentire di nuovo il suo cuore.

La dottoressa, Diana Marini, sorride come a una bella battuta. «Di solito, il secondo trimestre è il migliore, perché la pancia non è ancora ingombrante ma i disturbi del primo trimestre sono passati. Nel suo caso, temo dovrà aspettare ancora un po'.»

La mia solita fortuna.

Sbircio nella direzione della dottoressa. È visibilmente felice di rivedermi. Si ricordava molto bene di me, e quando l'infermiera mi ha accompagnata nella saletta dove lei mi aspettava, mi ha regalato uno dei sorrisi più belli che io abbia mai visto e mi ha stretto la mano con calore. Non ha fatto parola dell'interruzione di gravidanza che volevo portare a termine, ma mi ha fatto capire che se ne ricordava, e che è contenta che il mio bimbo sia ancora qui.

«Va tutto bene?» mi azzardo a chiedere. Ho sempre paura che qualcosa stia andando storto. Insomma, dentro la mia pancia si sta formando un essere umano: pelle, occhi, mani, piedi, fegato, cervello, polmoni, cuore, organi complicati che devono funzionare all'unisono, mi sembra impossibile che un miracolo simile stia filando liscio.

«Tutto benissimo» assicura la dottoressa. «Se vuole, può portare suo marito ad assistere alle visite. È permesso l'ingresso di un accompagnatore. Mi sorprende che lei venga da sola, di solito dobbiamo allontanare parenti che vorrebbero entrare tutti insieme.»

«Non ho marito.»

Dannazione, perché tutti me lo ricordano? Perché una donna che aspetta un bambino deve per forza avere un marito o un compagno?

La dottoressa Marini mi lancia una rapida occhiata, poi si siede davanti al computer e comincia a riportare l'esito della visita. Dopo qualche momento di silenzio estrae da un cassetto alcuni ricettari e comincia a compilarli, prescrivendomi gli esami di controllo per il mese prossimo. Poi mi allunga un dépliant con un numero di telefono scritto in grande sul fondo della pagina. Ottocento, quattrocento, ottocento.

Luna CrescenteOù les histoires vivent. Découvrez maintenant