Capitolo 4

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Esco dall'ospedale, di nuovo l'afa umida mi toglie il fiato e fa tornare la nausea.

Devo dirlo a Toio. Dopotutto, è il padre. Ho già preso la mia decisione, ma lui ha diritto a saperlo. In questi tre anni che siamo stati insieme ne abbiamo passate tante, non sarà certo questo a rovinare il nostro rapporto.

Raggiungo la pensilina e mi preparo ad aspettare l'autobus, in una sottile striscia d'ombra. Il caldo è insopportabile. Apro la borsa ed estraggo una bottiglietta d'acqua. Qualcosa scivola fuori e fluttua per terra. Con il braccio alzato a metà per bere, guardo il foglietto di carta, non ricordando di aver avuto niente di simile. Lo raccolgo e lo giro.

È una foto dell'ecografia. Un cono di luce bianca risalta sullo sfondo nero e lucido, e al centro di quel cono un ovale grigio, carico di prospettive, di futuro, metà me e metà Toio.

Rimetto la foto in borsa con rabbia.

Aspetto tre quarti d'ora, intontita dal caldo e dai pensieri. Mi rigiro il cellulare tra le mani, indecisa, lo apro e lo richiudo varie volte. Finalmente l'autobus spunta dalla curva, si ferma sbuffando e apre le porte. Non c'è aria condizionata, i finestrini sono bloccati per questioni di sicurezza e la temperatura è anche più alta di quella esterna. A bordo, qualche vecchietta si fa aria con un ventaglio, un signore più previdente ha con sé un ventilatore portatile. Tre ragazzi in fondo all'autobus occupano sei posti e parlano con urlante orgoglio delle loro avventure sessuali. Avrei voglia di ricordargli di usare il preservativo per non costringere le loro ragazze a trovarsi in una situazione come la mia, ma mi torna in mente la ragazzina di D&G e mi trattengo.

Finalmente arriva la mia fermata. Spintono gomiti e borse e sguscio fuori, sospirando di sollievo. Prendere i mezzi pubblici d'estate può rivelarsi un'impresa impossibile. Lungo la strada i negozi hanno le tende abbassate e le porte chiuse, all'interno i clienti sembrano cercare più il refrigerio dell'aria condizionata che merci da acquistare. Il portone della carrozzeria invece è spalancato, tutte le serrande alzate e la porticina sul retro bloccata aperta per convincere una reticente corrente d'aria a portare frescura ai meccanici nelle loro lunghe tute blu. Una radio gracchia ad alto volume, sento il vocione di Sam fare il verso a una cantante famosa.

Mi faccio strada tra le carcasse di auto che attendono pazientemente nel cortile di essere accudite. Passo accanto a un uomo in giacca e cravatta che non toglie gli occhi dalla sua Audi 5 al centro dell'officina, evidentemente incerto delle capacità del meccanico le cui gambe spuntano da sotto il motore. Forti colpi e strani rumori provengono dal ventre della macchina, a ogni rumore il proprietario aggrotta sempre più la fronte.

Raggiungo Sam e Ivan, che stanno ballando un improbabile lento armati di chiavi inglesi. Quello che mi piace di questo posto è che i ragazzi sembrano essere sempre allegri, sempre pronti a fare una battuta. Nell'ufficio dove passo dieci ore al giorno, invece, sono circondata da donne invidiose il cui argomento principale sono i pettegolezzi acidamente sibilati alle spalle di altre colleghe.

«Ciao Ame!» mi saluta Ivan. Sam si volta e mi regala un sorriso bianchissimo.

«Ciao bambolina! È un pezzo che non venivi a trovarci!» e mi scocca un bacio sulla guancia. Sam ha cinquantaquattro anni e tre figli maschi, e da quando sto con Toio e frequento la carrozzeria si diverte a considerarmi una figlia.

«Toio!» L'urlo di Sam mi fa sobbalzare. «Toio, allora!» Con tre falcate raggiunge l'Audi e sferra un calcio al carrello su cui sta sdraiato di schiena il meccanico intento alla riparazione della preziosa automobile.

Toio spunta da sotto la macchina. «Che c'è?»

«Ame. Ti do cinque minuti.»

L'uomo in giacca e cravatta si ribella all'interruzione del lavoro. «Ehi, sto aspettando da mezz'ora!»

Luna CrescenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora