Capitolo 6

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Passa la notte. Tra mille angosce e pensieri, tra la rabbia e il dolore, nella più completa solitudine, arriva l'alba. Collane di luce ammiccano tra gli spiragli delle tapparelle, macchiando il buio intorno a me. Nel mio mondo però c'è la più completa oscurità.

Toio mi ha tradito. Con una donna che indossa tacchi alti, si tinge i capelli e guida macchine costose. Mi ha tradito. L'odiosa parola rimbomba nella mia testa. Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, dopo tutti i momenti meravigliosi, dopo tutti i baci e le carezze.

Mi torna alla mente l'ultima volta che abbiamo fatto l'amore. Nel suo letto disfatto, tra le bianche mura del piccolo monolocale arredato con cura essenziale, sfiorati dai raggi del sole che si intrufolavano curiosi tra le persiane socchiuse, ci eravamo dati l'uno all'altra con estrema dolcezza, raccapricciante felicità. Era stata solo una mia impressione? Quella gioia immensa, quella pace soffusa che regnava incontrastata nel mio cuore, soverchiando le paure e la rabbia, era stata solo una mia illusione?

Ecco cosa succede a darsi completamente, anima e corpo, a un uomo, mi dico. Non ho imparato nulla dalla storia dei miei genitori? Che cosa ho ottenuto? Un giubbotto da motociclista, qualche scatola di baci perugina che riposa vuota nel fondo dell'armadio e un embrione di miliardi di cellule che sta crescendo inesorabilmente nel mio utero.

Il pensiero del bambino mi spaventa più di prima. È tutto ciò che mi rimane di Toio. Il desiderio di distruggerlo si fa più forte, insopportabile. Vorrei che fosse già domani. Correrò in ospedale, ignorerò qualunque critica perbenista, qualunque disprezzo assolutista, qualunque tentativo di illudermi che un figlio è una benedizione e va salvaguardato, anche a discapito della mia felicità e del mio equilibrio. Ci siamo solo io e il mio bambino. Nessuno può scegliere al mio posto. Ora come ora, a questo bambino non potrei dare nulla, né una casa, né una stabilità, né tantomeno un padre.

So che ci sono donne che portano avanti la gravidanza accettando di avere un bambino da sole. Sono le creature più forti e risolute al mondo. Io non sono come loro. Sono debole e insicura, e sono codarda.

Avere il bambino e non riconoscerlo, lasciandolo in ospedale e poi chissà dove? Costringerlo a vivere senza una famiglia? Gli darei la vita, o una tormentosa serie di duri mesi e anni costellati di solitudine e odio verso quella madre che non l'ha mai voluto ma non ha avuto il coraggio di stendersi su un lettino, chiudere gli occhi e lasciare che un medico sistemasse la questione?

Ricomincio a piangere. Se solo potessi parlare con qualcuno. Ma oggi, domenica, è giorno di riposo e di festa, i consultori sono chiusi, gli amici sono in vacanza. Mi rimane solo internet.

Molto prima delle sette del mattino, scopro un forum dedicato alle donne e ai loro problemi. Ragazze più o meno giovani che si sfogano tra loro da un capo all'altro dell'Italia, raccontano le loro vicende e cercano consolazione. Forse perché non riescono a trovarla con chi sta loro accanto, o forse perché l'anonimato e l'impersonalità garantiti dalla rete permette di dichiararsi apertamente a estranei senza paura di compromettere, come invece accadrebbe con chi ci conosce da sempre, la propria immagine costruita con anni di lavoro e pazienza.

Per un po' gironzolo tra le sezioni "cucina", "amore", "gossip", ma sono attratta irresistibilmente da "gravidanza e puericultura". Ci sono infinite sottosezioni. Una mi colpisce immediatamente. "Interruzione volontaria di gravidanza". Mi sorprendo nello scoprire quanto sia frequentata. Più di centodiecimila messaggi. Ne leggo qualcuno, e non riesco più a smettere.

Ci sono un'infinità di storie come la mia: donne di sedici, venti, trent'anni piangono disperate prendendo una decisione che, lo sanno meglio di chiunque altro, cambierà la loro vita. Quelle parole mi confortano, leniscono le mie ferite, e finisco per piangere leggendo le loro vicende.

Luna CrescenteTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon