Capitolo 24

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Come un automa sfilo la giacca e la appendo all'attaccapanni. Alla fine il dottore, terminato un cesareo urgente, si è ricordato di me, che ancora ero in ospedale ad aspettare il suo responso, è entrato nella camera, mi ha chiesto come mi sentivo e ha decretato che potevo tornare a casa. Sono stanca, è mezzanotte passata.

Teo chiude a chiave la porta d'ingresso. Ora è calmo e posato, quello di sempre, ma poche ore fa era in preda a un'ansia furiosa il cui unico pregio è stato dimostrarmi che anche lui può avere reazioni da essere umano.

È entrato nella stanza come un ciclone, senza cravatta, la giacca dell'inamidato completo gessato aperta in modo poco professionale. Marzia, ancora con me, gli ha spiegato che avevo avuto qualche contrazione ma nulla di grave, e Teo ha tirato un sospiro di sollievo. Un attimo dopo ha soffiato una lunga serie inarrestabile di rimproveri perché non ero voluta andare prima dal medico.

«Ci tengo a te e a mio nipote» ha concluso con le sopracciglia aggrottate.

In circostanze normali avrei messo il muso, ma gli ormoni della gravidanza hanno avuto la meglio, addolcito il cuore nei confronti di mio fratello Teo e mi hanno fatto abbassare la guardia: ho commesso l'errore di rivelargli che il bambino che pensavo di aspettare è in realtà una femmina. Da allora Teo non fa che prendersi gioco di me e delle mie scarse qualità di veggente.

Ma non mi arrabbio: ho bisogno di ridere al punto che perfino la sua ironia si trasforma in allegria se metto un po' da parte l'orgoglio.

Consumiamo uno spuntino di mezzanotte in cucina, a tenerci compagnia il cinguettare delle forchette contro i piatti. Non ho voglia di parlare, Teo rispetta il mio silenzio.

Marzia gli ha accennato del mio incontro con Toio prima che lasciassimo l'ospedale, e benché sia incuriosito da quanto accaduto tra noi, Teo non ne fa parola.

Nello stesso silenzio pensieroso e impaurito resto immersa nei giorni successivi. Il futuro mi fa paura, il presente mi inquieta. Per la prima volta in vita mia sento che sto affrontando problemi più grossi di me. Talvolta mi sento oppressa da un cumulo nero soffocante che affonda artigli di terrore attorno al mio petto e mi mozza il respiro. Un pensiero tamburella ossessivo nel fondo della mia mente: non ce la farò, non ce la posso fare... cosa faccio, cosa devo fare?

Che cosa succede? Non ho mai dubitato del mio amore per Toio. Anche quando giuravo di odiarlo, poco dopo aver scoperto l'esistenza di Mikaela, ero perfettamente cosciente di amarlo più di ogni altro essere umano al mondo. È bastato Nicola perché smettessi così in fretta di essere innamorata di lui? È una guarigione, o una scappatoia?

«Stai pensando troppo, Ame.» Marzia vanta una lunga esperienza di delusioni d'amore. «In amore non serve il cervello, serve il cuore, e se pensi troppo, se ti chiedi se lo ami e soprattutto perché lo ami, allora temo che di questo tuo amore per Toio non resti più molto.»

Le sue parole suonano terribilmente veritiere e fanno paura. Per tre anni ho amato Toio: se questo amore è finito, ho perso una piccola parte di me, invisibile forse, ma indispensabile.

Afferro un cuscino del divano, in cui affondo il viso con un gemito.

«Perché altrimenti non hai risposto a Toio in ospedale? Era venuto a porgerti il ramoscello d'ulivo, e dici di non essere riuscita ad accettarlo. Questo significa che non vuoi tornare con lui.»

La sincerità di Marzia è una verità affilata che trafigge il cuore. Nascondo di nuovo la faccia nel cuscino.

Marzia tenta di incoraggiarmi. «Forse se smetti di uscire con Nicola puoi avere un po' di tempo per raccogliere le idee, e magari la soluzione ti si parrà davanti senza che tu la cerchi tanto disperatamente come stai facendo ora.»

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