Capitolo 5

1K 34 0
                                    

Sono le sei e dieci. Stanno partendo, non è il momento giusto per chiamarlo. E questo genere di notizie non si può dare per telefono. Avrei dovuto impedirgli di partire.

Però, un giorno o due in più che cosa cambia? Ho già deciso. Lunedì vado in ospedale e metto fine a questa tortura.

Nel profondo del mio cuore, tuttavia, alberga una strana emozione: ho ancora due giorni per stare con mio figlio.

Mi giro nervosamente nel letto.

Non è possibile, non sta succedendo a me. Si parla di figli quando si è grandi, maturi, realizzati. Io non mi sento niente di tutto ciò. Il cuore mi rimbomba nelle orecchie. Questo pensiero ossessivo mi tortura senza darmi tregua un istante. Aspetto un bambino. Io. Amelia Laici.

Cosa faccio? Cosa faccio?

Le mie mani sfiorano il ventre. È arrotondato. Impercettibilmente, ma io conosco il mio corpo, so che c'è qualcosa di strano, di nuovo. E poco più su, il seno è turgido, in alcuni momenti addirittura fastidioso. Ieri ho indossato un reggiseno che possiedo da mesi, si è voluto allacciare solo tramite i gancini più esterni. Sono solo all'inizio del terzo mese, e già il mio corpo è cambiato. Si sta preparando, ubbidendo a leggi di natura mute quanto indiscutibili, all'evento più semplice eppure più straordinario. E questo mi fa ancora più paura: io non sono pronta, non mi sento per nulla preparata!

Mi rigiro di nuovo, disperata. Avrei tanta voglia di chiamare Marzia, ma è in Turchia con i suoi genitori. Le ho già mandato due messaggi. Beh, forse anche quattro o cinque, uno di seguito all'altro, perché dopo che Toio mi aveva liquidato così sbrigativamente dovevo parlare con qualcuno. Marzia non mi ha ancora risposto. Mi sento sola. Sola e abbandonata. Perché nessuno mi aiuta?

Come sono finita in questa situazione? Beh, probabilmente alcuni severi custodi della morale direbbero che sono l'unica responsabile, perché il famoso salto della quaglia, altrimenti noto tra i letterati e i colti come coitus interruptus, ha un'efficacia contraccettiva stimata intorno al cinquanta per cento. Il che significa, estrapolando la realtà dalla statistica, che una volta va bene, e l'altra... ci rimani.

E io ci sono rimasta. Forse non mi devo lamentare, visto che è accaduto per la prima volta in tre anni.

«Amelia!» La mamma sta per entrare in camera. Devo sforzarmi di sorridere. «Come ma sei tornata a casa così presto oggi?»

«Me l'hai già chiesto. Ho finito prima.»

«Potevi chiamarmi, sai che sto in ansia.»

«Non avevo soldi nel telefono» mento.

«Ti darò dieci euro per ricaricarlo.»

Solo ora me ne rendo conto. L'amore per mia madre limita la mia storia con Toio da tre anni. E lui è stato meravigliosamente paziente, ma non posso dargli torto se ora si è stancato. Chiunque altro avrebbe mollato il colpo, e me, già da tempo.

Per l'ennesima volta prendo il cellulare, premo il tasto di chiamata rapida e il numero di Toio viene composto automaticamente, sullo schermo lampeggiano uno dietro l'altro tre-quattro-nove-uno...

E di nuovo, per l'ennesima volta, una gracchiante falsa voce registrata annuncia:

«Messaggio gratuito, la persona chiamata non è al momento raggiungibile...»

Chiudo il cellulare con una smorfia. Possibile che siano ancora in viaggio?

«Amelia, guardiamo un po' la televisione?»

Oggi fatico a sopportarla. Non so cosa si possa provare quando tuo marito ti lascia dopo trent'anni per una donna più giovane, ma comincio a credere che niente possa giustificare quasi quattro anni di depressione. Una vocina stridente dentro di me sibila che è colpa sua se ho litigato con Toio oggi.

Luna CrescenteWhere stories live. Discover now