Capitolo 32

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«Ame, è magnifica.» Marzia sussurra incantata, ammirando Luna che poppa instancabile.

«Sì, lo è» rispondo, il cuore gonfio d'orgoglio. Tutti mi ripetono che mia figlia è splendida, d'una bellezza impareggiabile, che ho fatto un capolavoro, ma io non ho fatto proprio nulla: ho prestato il mio corpo al miracolo della vita, e la natura ha fatto il suo corso senza darmi alcuna possibilità di intervenire.

«Ho incontrato tuo padre per le scale» dice Marzia, accomodandosi sulla sedia di plastica accanto alla finestra. Siamo sole, insieme a Luna, nella camera d'ospedale: la mia compagna di stanza ha appena fatto le valigie e è tornata a casa, con suo marito e il piccolo Emanuele.

«È passato a trovarmi e a vedere Luna» spiego. «Ne è rimasto folgorato. Pare che io fossi identica a lei da piccola, ma immagino che tutti i bambini di due giorni siano uguali.»

«E Sonia?»

«Non è venuta. Sospetto che voglia mantenere le distanze da me.»

Marzia intreccia le dita sulle ginocchia. «Forse teme che con l'arrivo della nipote tuo padre voglia occuparsi di te e potrebbe decidere di tornare da tua madre. Dopotutto, ha tradito una volta, perché non lo potrebbe fare ancora?»

«Non credo che mia madre lo vorrebbe» rifletto ad alta voce. Luna alza lo sguardo dei suoi occhi nerissimi su di me, senza smettere di mangiare.

Non ho detto nulla di quanto mi ha raccontato mia madre il giorno in cui Luna è nata, né a Marzia né a Toio. È una questione passata, e come tale deve restare nel passato. Ormai non importa più che cosa mia madre ha detto o fatto: ogni volta che guardo Luna posso comprendere i sentimenti che l'hanno spinta a legarsi a me con tanto accanimento.

Stamattina è passata in ospedale. Toio ha chiamato ogni persona che ha trovato nella rubrica del mio cellulare, una dietro l'altra, inclusa lei. Siccome era fuori casa le ha lasciato un messaggio in segreteria per avvertirla della nascita di sua nipote.

È arrivata all'ora di pranzo. Tornata in camera dalla mensa dell'ospedale dove non si rischia di ingrassare, ho trovato Toio che cullava Luna tra le braccia, e mia madre china su di lei che le sorrideva. Ho provato istintivamente l'impulso di allontanarla da mia figlia, ma non ne ho avuto bisogno perché Toio, comprendendomi, mi ha passato Luna con delicatezza, e l'ho tenuta in braccio per tutta la durata della visita.

Si è fermata per poco tempo, timorosa di imporre la sua presenza in un momento che temeva fosse prematuro per me. Abbiamo fatto qualche timido tentativo di conversazione, i vuoti riempiti da Toio che si presentava.

L'ho osservata in silenzio, di sottecchi, sollevata di trovarla lucida e ragionevole, disposta finalmente ad accettare il passato e il presente. Anche il suo aspetto fisico era notevolmente più curato, sta recuperando la fiducia in se stessa.

La porta della camera si apre, entra un enorme mazzo di rose e gigli, costellato di gelsomino, sorretto a fatica da Anita, che spunta accaldata dietro i petali e le foglie.

«Non sembrava così pesante quando il fiorista l'ha portato al banco d'accettazione! La prossima volta non mi offrirò più di portare fiori ai pazienti!» sbuffa posandolo sul letto. Se ne va con un sorriso, affermando che mio marito avrebbe potuto portarmelo personalmente. Pensa che sia da parte di Toio, ma io so che non può essere così.

«Chi lo manda?» chiedo, colpita dal dolce profumo dei fiori. Luna si è appisolata.

«C'è un biglietto» nota Marzia. Le chiedo di leggerlo a voce alta e lei sfila una bustina bianca dall'intrico di petali.

"Carissima Amelia, mille auguri per la nascita della tua piccola Luna! Avrei voluto portarti di persona questi fiori, ma sono a Ischia per un servizio fotografico. Verrò a trovarvi appena mi sarà possibile. Salutami Toio. Nicola."

Luna CrescenteWhere stories live. Discover now