Capitolo 20

918 38 0
                                    

Nonostante i mille pensieri e preoccupazioni per il futuro che mi affliggono, dormo meravigliosamente. Le nausee, come aveva previsto la dottoressa, sono passate. Al corso pre-parto ci hanno insegnato alcune tecniche di respirazione e rilassamento che applico la sera per prendere velocemente sonno, e l'oblio dei sogni mi avvolge fino al mattino.

Seguo il corso una volta a settimana in ospedale, in una stanzetta con una decina di altre future mamme. Stiamo legando molto facilmente, accomunate dalla stessa condizione. Una di loro è Soeli, venticinque anni, figlia di una coppia di etiopi che gestisce un ristorante tipico in Porta Venezia. Il suo ragazzo l'ha lasciata due mesi fa, quando lei era alla ventiseiesima settimana e ormai non poteva nemmeno prendere in considerazione l'idea dell'aborto.

«Non l'avrei fatto comunque» aveva confidato alla prima lezione del corso, scrollando le sue lunghe fitte treccine d'onice.

Siamo entrambe mamme sole, l'amicizia spunta facilmente. Soeli è sicura di sé e delle sue idee. Sostiene che sia un bene che siano le donne a generare figli.

«Gli uomini non sono abbastanza forti» spiegava quando, al termine di una lezione, ci siamo ritrovate a prendere una cioccolata al bar dell'ospedale. «Non sopporterebbero che il loro corpo non fosse più solo loro, di aumentare di peso, né tantomeno di dover subire nausea o acidità di stomaco. Si lamentano tanto per un raffreddore, figurati se dovessero vomitare una sera intera! Per loro poi sarebbe impossibile tollerare il dolore del parto!»

Le chiesi se sperava mai che il suo compagno tornasse da lei.

«Sì» rispose con molta sincerità. Gli occhi scuri brillavano sotto le tristi luci al neon. «La notte, quando mi sveglio e non riesco più a dormire. Allora tutti i pensieri più cupi mi assalgono e mi sembra di non poter più respirare, né affrontare tutto da sola. Allora sono tentata di prendere il telefono e chiamarlo, supplicarlo. Ma poi aspetto il mattino. Alla luce del sole il timore e la paura scompaiono, e ricordo le sue sciocche giustificazioni il giorno in cui mi ha lasciato. "Non sono ancora pronto per diventare padre." Adesso me lo dici, che sto a metà del sesto mese?»

Soeli mi fa ridere, e mi infonde coraggio. Con lei mi rendo conto che essere mamme sole è davvero possibile, e dovremmo essere orgogliose di noi stesse. Sono gli uomini che ci hanno lasciate a dover essere oggetto di disapprovazione e vergogna.

La sua bimba dovrebbe nascere un mese esatto prima di Mirko. Questo pomeriggio quando sarò in centro cercherò qualche regalo di buon augurio da fare a Soeli.

Sono le dieci e venticinque, e sono in piedi da poco meno di due minuti. Siedo sul divano con le gambe accavallate, coccolata dal caldo pigiama felpato, tra le dita una tazza di tè bollente. Il cellulare davanti a me sta suonando nervosamente. Il nome "Toio" scintilla nero su bianco sullo schermo. Ha cercato di chiamarmi tutta la notte. In uno degli ultimi messaggi che ho ricevuto dichiarava di essere sotto casa mia (o meglio, di mia madre) e che non si sarebbe mosso di lì finché non fossi scesa.

Mi domando se ci sia stato davvero tutta la notte.

Teo ha ragione. Devo parlargli, devo spiegargli. Anche se il modo in cui era stretto tra le spire di Mikaela mi tortura.

Prendo fiato, e questa volta raccolgo il telefono. «Pronto?»

«Ame! Finalmente!» La voce di Toio mi colpisce al cuore, conosciuta, amata, odiata. «Ho provato a chiamarti tutta la notte.»

«Lo so.» Ho tolto la suoneria prima di coricarmi, ma il telefono era acceso e ha registrato tutte le chiamate perse.

«Dimmi perché. Perché quella volta davanti allo studio di design hai mentito dicendo che non eri incinta?» Il suo tono mi ricorda la lama di un rasoio affilato e assetato di sangue.

Luna CrescenteOù les histoires vivent. Découvrez maintenant