Nel frattempo giungiamo all'Espirit. Pago il tassista contando impacciata le banconote e scendo. Davanti a me si staglia un portone a cassettoni in legno di noce, sormontato da un arco in finta pietra, che risalta lungo i muri del vecchio edificio incastrato tra alti condomini degli anni Trenta. L'arco riporta il nome del locale inciso in sottili caratteri arzigogolati, mentre un cartello su un treppiedi accanto al portone ricorda che sta avendo luogo un evento per soli soci e invitati.

L'esclusività che fronteggio mi incute un timore reverenziale. Entro nel locale, mi inghiotte la penombra di un'anticamera tappezzata di rosso illuminata appena dalla luce azzurrognola di un acquario che corre lungo una parete. Minuscoli pesci tropicali multicolori nuotano leggeri e incuranti della mia presenza.

«Buonasera.» Mi accoglie un alto uomo di colore in un completo gessato. Mi scruta attentamente, prima di dichiarare:

«Lei non è uno dei soci. Posso vedere il suo biglietto?»

Glielo porgo perché possa esaminarlo, rigirandoselo tra le mani come un banchiere che controlla se la banconota che tiene tra le dita è vera o falsa. Poi mi rivolge un sorriso abbagliante.

«Benvenuta all'Espirit. Se vuole darmi il cappotto e la sciarpa, la mia collega Le indicherà il posto.»

Scosta una tenda rossa e fa un cenno. Compare una donna stretta in un tubino nero che mi sorride sotto un velo fiammante di rossetto. Lo chauffeur le mormora dove dovrò sedermi e lei mi invita gentilmente a seguirla oltre il tendone, nel cuore del locale.

Accediamo in un vasto salone dalle pareti di pallido color salmone, riscaldate dalla luce artificiale di piccole lanterne di vetro sparse negli angoli. Scorgo un bancone di lucido ebano, ingigantito dal riflesso di enormi specchi appesi alla parete retrostante. Mille bottiglie di liquore di varie forme e dimensioni mi osservano dai ripiani tra gli specchi. Due baristi stanno agitando shaker e preparando cocktail con rapida maestria, alla fioca luce del locale. Schierati in bell'ordine lungo il bancone stanno vassoi e piatti carichi di spuntini, salatini e macedonie di frutti esotici.

Un brusio giunge dalla sala in cui ci stiamo dirigendo, separata dal resto del locale da tendoni carminio e un gradino di marmo. Una scintillante passerella si allunga nel retro, intorno sono schierate ordinate file di sedie di caldo legno di ciliegio, già quasi interamente occupate. Seguendo ubbidiente la mia guida, mi rammarico di dover assistere alla sfilata da una delle file più lontane.

Il pubblico è prevalentemente femminile. Donne eleganti, accuratamente truccate, sfavillanti di preziose collane, pesanti orecchini e tacchi prodigiosi. Mi sento notevolmente fuori luogo.

«Questo è il suo posto, signora. Prego.»

Con mio grande stupore scopro che si tratta di un posto in prima fila, contrassegnato da un'altisonante annuncio "Riservato – Reserved". Mi faccio strada imbarazzata, tramortendo le ginocchia di una signora magrissima e biondissima che mi guarda in tralice prima di tornare a scrivere un messaggio sul suo Vertu nero. Prendo posto, sistemo la borsetta sulle ginocchia e mi guardo incuriosita intorno.

D'improvviso le luci calano. Scorgo gli occupanti della mia fila trafficare per armarsi di candidi block-notes e penne. Le scarpe di vernice riflettono nervosi lampi dorati.

Un elegante uomo in un completo grigio perla prende posto dietro un leggio di fronte alla passerella, inforca un paio di occhiali dalla montatura di coccodrillo e spiega una serie di fogli davanti a sé.

«Cari soci e graditi ospiti.» La voce amplificata dal microfono raggiunge ogni angolo del locale. «Benvenuti alla nostra annuale sfilata invernale. Inizieremo con la moda femminile, saremo onorati di mostrarvi alcune delle più nuove creazioni dei migliori stilisti. Seguirà un piccolo rinfresco e proseguiremo con la moda maschile.»

Luna CrescenteWhere stories live. Discover now