Capitolo 6

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Era sabato pomeriggio, Ariana mi bombardava di messaggi e decisi di chiamarla. 

  «Hey rompi palle!» Sorrisi per telefono, mentre mettevo a posto un libro nella libreria.
  «Hey! .. Aspetta non sono una rompi palle!» Esclamò, fingendosi offesa. «Stasera allora uscirai con quel tizio della palestra?» Domandò, la sentivo masticare qualcosa di croccante.
  «Mmh, sì..» Me n’ero dimenticata, cazzo. Però era sempre meglio che andare a quella dannata festa dove probabilmente tutti avrebbero bevuto e fatto cose sporche.
  «Che indosserai per l’occasione?» Chiese, stavolta la sentii bere.
  «Senti quando hai finito di ingozzarti come una porca per telefono ne riparliamo ok?» La sentii ridere e per poco non si affogò.
  «Passo a prenderti? Così mi aiuti a vestirmi..» Proposi.

 

Camminavo lungo la riva aspettando l’arrivo di Robert, anche se potevo cogliere la sua sagoma da lontano. Arianna mi aveva consigliato un vestito a stile impero che non sapevo di avere e degli stivali, che avevo levato sennò sprofondavo nella sabbia.
  «Buona sera!» Robert arrivò e mi baciò delicatamente la guancia.
  «Ciao!» Esclamai, ricambiando il saluto.
  «Sei.. sei fantastica stasera!» Fece un gesto per indicarmi, ed io non potei non arrossire.. anche se non confermavo il suo pensiero.
Dopo aver passeggiato per tutta la spiaggia, per tre volte, andammo a cenare.
  «Quindi tu hai origini italiane?» Domandai ingoiando un altro pezzo di bistecca. Lui annuii e bevve.
  «Mio padre è italiano e mia madre è americana.» Confermò.
 “Mmh bello, un italo-americano davvero non male.” Pensai.
  «Parlami un po’ di te, andiamo!» Sorrise. Sbuffai ormai arresa.
  «Beh.. mia madre è andata via di casa da quando avevo 3 anni? Boh, ero piccola. Vivo da sola con mio padre che si vede con un'altra donna, Sarah. Io ho 17 anni e frequento college qui in città.» Mormorai velocemente, “La mia vita è noiosa e poco interessante.” Pensai.
  «Capisco.. hai mai visto tua madre?» Chiese,
  «No.» Risposi «Non ricordo com’è, non la riconoscerei se la incontrassi.» Mormorai, finendo di mangiare.

Mi riaccompagnò a casa.
  «Grazie per la serata.» Dice sorridendo.
Lo guardai: «Grazie a te.» Era stata veramente una bella serata, piacevole e divertente. Niente a confronto a come erano state quelle con Justin, piene di ansia, paura, insulti e odio.
  «Ti va se continuiamo a vederci?» Domandò.
  «Ma certo.» Sì, ero convinta. Mi piaceva. Il modo in cui mi trattava e come mi sentivo quando stavo con lui, mi piaceva. Mi sentivo calma e rilassata. Lui sorrise, accese il motore.
  «Beh ci vediamo in palestra.» Dissi, lo salutai ed uscii dall’auto e lo guardai andare via.
Senza nemmeno il tempo di arrivare vicino alla porta due tipi vestiti in nero mi presero con violenza e mi trascinarono in macchina, coprendomi gli occhi con una benda. Non ebbi nemmeno il tempo di urlare, o di capire bene la situazione. Era stata tutta una questione di secondi.
  «Siamo sicuri che è lei?» Una voce nuova parlò con un tono irritato e nervoso. Nessuna risposta. Mi tremavano le gambe incredibilmente. Avevo una paura matta, sentivo le mie tempie pulsare, la mia gola era secca e non riuscivo a parlare.
  “Oddio!”
  «Se è per il pacchetto di gomme che ho rubato in terza media.. scusa, non volevo.» Balbettai a malapena mentre sparavo cazzare per la paura. Sentii ridere tutti.. mi spostai un po’
«Non muoverti!» Mi urlò di nuovo quella voce, ritornando seria. Mi paralizzai all’istante. Sentii un qualcosa di freddo vicino al collo e sprofondai nel sedile, realizzando cosa fosse.
  «Non muoverti se non vuoi una bella coltellata nello stomaco.» E a quelle parole divenni di pietra. Cercai di non muovermi troppo, nemmeno per respirare. E intanto quella lama fredda rimase lì. La benda mi pizzicava, volevo strofinare gli occhi ma tentavo di non muovermi. Era tutto silenzioso. Sentivo solamente i loro respiri e i rumori dei miei pensieri. Dopo un po’ il veicolo si fermò e sentii due braccia strattonarmi. «Avanti cammina!» Ordinò di nuovo quella voce. A malapena riuscii a muovermi, tremai e caddi, inciampando nel vestito lungo. Due braccia mi rialzano violentemente.
  «Ma che cazzo!»
   Mi bloccai, e sentii il rumore del coltellino automatico aprirsi, sbiancai. «Mi dispiace rovinare questo bel visitino.» La sua frase fu seguita dal rumore del tessuto lacerarsi. Mi aveva tagliato tutta la gonna e restai praticamente con le gambe scoperte e istintivamente mi coprii e sentii alcune risate soffocante.
Mi sentivo nuda, umiliata.
  “Cosa vogliono da me!?” Camminavo, mentre quella domanda mi bruciava in testa. Un braccio mi portò verso di lui e non potei non seguirlo. Tentai di non inciampare anche se adesso era impossibile. Non avevo più i tacchi. Ero scalza e camminavo su dell’erba.
  «Dove siamo?» Mi sfuggì.
 «Meno sai meglio è.» Rispose un nuova voce. Decisi di non protestare anche se la voglia di sapere mi sta sbranando viva.  Questa volta sentii il pavimento freddo, il rumore di alcune chiavi e una porta aprirsi. Venni legata ad una sedia, e mi tolsero la benda.
   Ci misi un po’ ad abituarmi. La luce forte di quella stanza così vuota mi accecò quasi. Sbattei le palpebre velocemente tentando di far andare via la vista annebbiata. Di fronte a me si rivelò un ragazzo. Abbastanza robusto con un filo di barba che gli ricopriva il mento. Mi stava guardando con un leggero sorriso sulle labbra.
   «Ciao dolcezza.» Le sue mani mi accarezzavano delicato il viso, e se a me mi girava lo stomaco. “Non toccarmi!” Vorrei urlargli, “Lasciatemi andare!” Ma avevo deciso di ingoiarmi la mia lingua lunga e stare zitta, per non complicare ulteriormente le cose.
  «Siamo sicuri allora che è lei?» Sbucò un altro ragazzo, con una cicatrice sulla guancia. Quello di fronte a me annuì.
  «Bene. Adesso lo chiamo e gli do la bella notizia.» Disse il tizio con la cicatrice, mentre si allontanava e chiudendo la porta.
“Chiamare chi!?” Mi sentivo la gola bruciare per le lacrime che stavo trattenendo. “Non piangere.” Mi ripetevo, per non dare la soddisfazione allo stronzo che mi ritrovavo di fronte.
Lui prese una sedia e si sedette.
   «Sei davvero bella..» Disse. Una volta che eravamo da soli, «Bieber se le sa scegliere le ragazze..» aggiunse con disprezzo.
  “Justin? Lui centra con tutto questo?”
  «Non sono la ragazza di Justin!» Mi affrettai a dire, come se questo potesse salvarmi dalla situazione. Lui mi ignorò. Cazzo, una parte di me sapeva che Justin centrava in tutto questo. Ma la colpa era anche mia, mi ero finta la sua ragazza non pensando alle conseguenze. Lui non era un bravo ragazzo! Il ragazzo mi ignorò e si sporse verso di me, sentii le sue mani passare dalla mia guancia alle labbra, per poi scendere fino al mio seno e sulla mia gamba sinistra. Le sue dita mi accarezzavano lentamente la pelle.
 «Basta..» Sussurrai a denti stretti. Lui sorrise.
  «Perché?» Chiese continuando la sua tortura stavolta sull’altra gamba.
Alzai la voce. «Basta, basta toccarmi!»
Lui la smise e mi fissò per un lungo tempo.
  «Sono un tipo che fa le cose al contrario.» Mormorò dopo un po’, lo guardai confusa. «Mia madre da piccolo diceva, non drogarti. Ed io lo facevo. Mio padre mi diceva non andare a puttane, ed io lo facevo. Mi piaceva l’idea di prenderli per il culo.» Continuò ancora.
  «Quindi?» Domandai respirando a fatica. Ero legata in modo stretto, avevo la corda attorno ai polsi e alla pancia.
  «Quindi?» Lui rise. «Tu mi hai detto basta. È come una sfida per me. Adesso ti faccio vedere io.» Si alzò e mi snodò piano. Poi mi alzò in modo violento e mi tolse del tutto il vestito. Restai in intimo e in un secondo realizzo la sua idea.
  «No!» Urlai, strattonandolo via da me. Ma lui si riprese subito e mi trascinò dall’altra parte della stanza. Dove c’era un letto che non avevo notato. Lo sentii ridere, mentre con una tirata di capelli che per poco non mi strappava via anche il cranio, mi fece cadere come uno straccio, proprio sul letto.
   Si mise sopra di me, bloccandomi i polsi ai lati della testa.
  «Sei una tipa dura eh?» Nel dirlo mi sputò in faccia, e per poco non vomitavo tutto quello che avevo mangiato. Tentai di toglierlo da dosso, ma non ci riuscivo e intanto la paura ritornò a paralizzarmi i muscoli dal momento in cui sentii la sua eccitazione torturarmi il ventre.
  «No! Ti prego no!» Urlai.
  «Steph!» Lui urlò un nome, e subito dopo il ragazzo di prima si precipitò dentro. Appena mi vide sgranò gli occhi.
  «Non era previsto questo Mark!» Esclamò, paralizzandosi.
«Fanculo il piano e passami la corda, leghiamo questa puttanella al letto e facciamoci vedere come siamo uomini.» Disse a denti stretti, e intanto scoppiai in lacrime, mentre implorai ancora una volta che lui si fermasse. Ma niente.
Il ragazzo esitò ma poi venne con la corda.
  Mark si alzò dal letto, dopo avermi legato stretta, e aprì un cassetto. Prese una siringa e dei preservativi. Mi paralizzai.
  Senti gli occhi bruciare dal trucco sciolto e dalle lacrime salate, la gola mi faceva male a causa delle grida forti ma inutili.
   «Non ti sentirà nessuno è inutile!» Mi aveva urlato quando con aggressività mi legava i polsi alla tastiera del letto.
  «Cosa vuoi fare?» Chiese Setph, Mark rise.
   «Guarda e impara.» Mark prense la siringa e gli diede dei colpetti, facendo schizzare fuori un po’ di quel liquido. «Spero solo per il tuo fidanzato non si arrabbi quando capirà che mi sono preso una fetta della sua torta.» Ma che metafora di merda.
  Lui si avvicinò al braccio e sentii l’ago affondare nella mia pelle.  Mark stava iniettando tutto, tutta quella merda. Improvvisamente il rumore forte della porta aprirsi gli fa cadere la siringa dalle mani e iniettare il liquido solo a metà. Justin era sulla soglia della porta, con l’aria di uno che aveva la rabbia fin nelle unghia dei piedi. Si avvicinò in un secondo a Steph e lo atterrò con un solo pugno, procurandogli probabilmente un’altra cicatrice, sul naso.
  «Mark Williston.» Disse a denti stretti. «Sapevo che c’eri tu sotto tutta sta merda.» Lui rise.
   «Justin Bieber, sapevo che saresti venuto. Non mi deludi mai.» Lasciò il mio braccio. Justin mi lanciò uno sguardo, uno di quelli con lo stupore negli occhi. Non mi aveva ancora notato in quel modo. Praticamente nuda, legata a letto e mezza drogata. Le mie palpebre si stavano facendo pesanti e mi sentivo debole, inutile. Justin riguardò Mark. Io non riuscivo ad aprire bocca.
  «Cosa le hai fatto?!» Urlò, stringendo forte i pugni.
Mark rise. «Le ho fatto vedere quanto sono uomo.» Disse, facendogli credere di avermi violentato. «Anche se è stata dura.» Ammise.
  “Bugiardo!” Volevo urlargli, ma non ci riuscivo. Sentivo pian piano la realtà abbandonarmi, gli occhi pesanti che piano si chiudevano.
  «Figlio di puttana!» L’offesa di Justin fu accompagnata da un pugno rumoroso alla bocca, Mark reagì e vidi Justin a terra che si rialzava velocemente. Poi niente. Poi buio.
Poi? La quiete dopo la tempesta.

Il ragazzo che aspettavo.Where stories live. Discover now