Capitolo 3

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Mi alzai in ritardo, erano le 8:00 e la campanella sarebbe suonata alle 8:20, improvvisamente divenni flash, mi lavai in un secondo e mi vestii. Non feci nemmeno colazione, salutai mio padre e schizzai fuori. Non volevo fare tardi, però.. arrivai fuori scuola in ritardo, grazie ad un traffico immenso. Quindi i cancelli erano chiusi.

  «Cazzo!» Mormorai. «Hey Thomas, puoi aprire?» Domandai al bidello che stava fuori all’ingresso. Lui scosse la testa.
  «Scusami, ma la campanella è già suonata da un pezzo.» Enunciò, entrando dentro. Ero costretta ad entrare alla seconda ora, meglio così avrei saltato la lezione di greco.
Andai un po’ al parco, mi sedetti su una panchina e incominciai a guardare il cielo. Era cupo, le nuvole erano nere.
  «..penso che fra un po’ pioverà.» Abbassai istintivamente la testa, era Justin. Era di fronte a me con le mani in tasca e il ciuffo abbassato.
  «Sì..sì,infatti.» Confermai la sua ipotesi.
  «Perché non sei a scuola?» Chiese,
  «Potrei farti la stessa domanda.» Risposi. Lui sorrise,
  «La mia sveglia mi ha tradito.» confessò sedendosi accanto a me.
  «Wow, si è messa d’accordo con la mia allora!» Scherzai.
Io non riuscivo a capirlo, era un bipolare del cazzo. Perché adesso sembra così cortese con me? Mi sorrideva e parlava con una voce serena.. mentre di solito mi insultava e diceva volgarità.
  «Che pensi?» Chiese fissandomi.
Non risposi. Continuavo a fissare a terra, era strana quella domanda. Io stavo pensando lui. Com’era possibile? Avrei dovuto dirgli la verità? No, assolutamente avrebbe pensato che mi stesse incominciando a piacere quando invece non era assolutamente vero!
  «Hey guardami.» Ordinò.
E lo feci, perché sinceramente non mi era mai stata fatta richiesta migliore. Solo che avevo paura.. dei suoi occhi. Così profondi e intensi, lo guardai e quel colore si mescolò con il mio. Sentivo il suo sguardo nel mio. Mi persi nuovamente in esso. “Basta” Pensai, ma intanto non toglievo i miei occhi dai suoi.
  «..ho dimenticato di portarti la giacca.» Sussurrai, distraendomi o almeno ci provavo. Lui fortunatamente guardò altrove, e quindi mi liberai da quelle catene immaginarie che mi bloccavano ogni volta.
  «Oggi passo da te a riprendermela.» Propose,
  «No. Non venire.» Risposi, lui mi guardò corrucciando la fronte.
  «Oggi andrò a correre, ci rivedremo qui.» Dissi, lui annuì e si alzò.
  «Vado a farmi un giro, ci vediamo oggi.»
  «Non entri alla seconda ora?» Chiesi, lui scosse la testa.
  «No, non mi va. Oggi mi sento particolarmente bene e se entro a scuola mi intossico. Comunque stai attenta a Miley. Vuole ammazzarti di botte.»
  «Uh, che novità!»
Lui rise: «Ha saputo che stai con me.»
  «Ma noi non stiamo insieme, almeno non veramente.» Mormorai subito, lui alla mia risposta sembrò innervosirsi.
  «Lo so, lei non sa che è tutto finto. Non dirglielo, lo dirà in giro.» Andò via, lasciandomi con un nuovo peso addosso. Mi sarei dovuta occupare anche di Miley, cosa le avrei detto? Si capiva che io e Justin non stavamo assieme! Io lo odiavo, lui altrettanto! Uff, mi alzai e mi diressi a scuola, mentre piano incominciò a cadere la pioggia.

Il rumore della mia faccia spiaccicata sull’armadietto fu talmente forse che attirò l’attenzione anche di chi stava nel corridoio accanto.
  «Puttana io ti ammazzo!» Miley era rossa dalla rabbia, appena mi aveva visto entrare non aveva esitato a lanciarsi addosso, mi aveva afferrato i capelli e mi aveva scaraventato sugli armadietti.
   «Non stiamo insieme!» Urlai, ma lei non la bevve.
 «Ah no!? E queste?» Dalla sua tasca cacciò il cellulare, erano delle foto. Di me e Justin, fuori al ritornante, con le mani intrecciate ed io con la sua giacca.
  «Non significano niente..» Sussurrai.
Lei rise e poi mi saltò addosso, caddi a terra di spalle. Mentre mi abbondai a quella rissa, era una battaglia già persa. Non potevo vincere. Chiusi gli occhi senza reagire, sentivo i suoi calci arrivarmi allo stomaco, le sue mani tirarmi i capelli e i suoi insulti arrivare a raffica su di me, come se anche essi fossero dei schiaffi in piena faccia. Sentii una voce femminile intromettersi ma poi.. niente.
  Molto probabilmente svenni dal dolore, perché quando riaprii gli occhi ero in infermeria. Indolenzita dappertutto.
  «Hey Jennifer.» Chiamai l’infermiera che era di spalle.
Lei si girò di scatto.
 «Signorina Selena come ti senti?» Mi accarezzò una guancia, mi scansai al suo tocco. Lei sembrò offendersi.
  «Mi fa male.» Sussurrai come per scusarmi.
  «E’ stata sospesa per 3 giorni quella stronzetta.» Su una sedia accanto a letto, che prima non avevo notato, c’era una ragazza. Si alzò e venne vicino a me, come per controllarmi.
  Era minuta e ben proporzionata. Aveva i capelli biondo scuro.
  «Oh bene.» Risposi, guardandola.
  «Io sono Ariana.» Mi porse la mano. Feci per alzare il braccio per ricambiare ma era fasciato.
  «Ma che cazz..» Sussurrai.
  «E’ slogato, non è rotto.» Rispose Jennifer alla mia domanda non espressa.
  «Cazzo..» Mormorai.
  «Tieni, sono degli antidolorifici. Ti ha ridotto proprio male..» Aggiunse guardandomi da capo a piede.
  Lo alzai piano, non lo sentivo.
  «Posso sapere perché non hai reagito?» Domandò Ariana,
non risposi. Infondo non lo sapevo nemmeno io.
  «..sarebbe finita peggio.» Scesi dal lettino e andai verso la porta, prendendo i medicinali di Jennifer.
   «Grazie.» Sussurrai, lei sorrise.
 «Ciao Ariana.» Dissi e andai via.

Il ragazzo che aspettavo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora