Capitolo 29

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Ma certo che sì. Cento volte sì. 

Mille volte sì. Un milione di volte sì.
Anche se sarebbe stato come fare cento,
mille o un milione di sbagli in uno.
Sapevo perfettamente che il nostro era uno sbaglio.
Ma un bellissimo sbaglio. Lo sbaglio migliore del mondo..
  «Sì.» Ansimai quasi. E lui continuò. Le sue mani finirono il suo lavoro, e ne iniziarono un altro. Ci stendemmo sul letto e mi misi su di lui. E affondai le mani nei suoi capelli respirandone forte il profumo. Lui mi strinse a se. «Piccola..» Mi sussurrò, contro la mia bocca. Con quelle labbra deliziosamente carnose e calde. Fece scivolare le mani sulla schiena e mi strinse ancora una volta.
  “Oh..” Sentivo il calore del suo corpo concentrato in una sola parte. Lo sentivo sotto di me. In tutta la sua potenza.
  «Ti voglio.» Mormorò.
“Anche io, Justin. Anche io.”
 E ci liberammo subito dei nostri vestiti, sentendo la necessità di essere una cosa sola. Sentendo la voglia improvvisa di essere posseduta, legata a lui, nell’unico modo più soddisfacente che esisteva. Il calore del suo copro contro il mio, era come la droga. Droga, droga pesante quella che ti danneggia dentro. Justin l’aveva fatto. Mi aveva danneggiato. Ero tutta per lui, solo per lui. Ero nata apposta per questo. Il mio destino era questo. Stare con lui, per sempre. Ero diventata masochista a causa sua. Avrei preferito sopportare il dolore per lui, avrei sopportato la morte per lui.
  “Oh il mio Justin.”

Le sue mani mi impugnavano stretta la vita, le mie gambe erano avvolte alla sua vita, erano ben salde. Per accoglierlo completamente dentro di me. Fino in profondità. Lo strinsi più forte e nel farlo, nella gola di Justin fuoriuscì un ringhio di piacere. E questo non fece altro che eccitarmi. Scivolava, in ogni sua spinta.
  «Più forte..» Farfugliai con il fiatone e lui mi accontentò.
E dentro esultavo: “Sì.. così..”. Strinsi ancora le gambe, come se in qualche modo potesse entrare anche la sua anima dentro di me, unirsi alla mia, e fare anch’esse l’amore. Le mani di Justin mi tennero stretta a se, scivolando sotto la schiena, e alzandomi il bacino. Lui si mise in ginocchio, per aumentare la potenza delle spinte. Fregandomi deliziosamente quella parte sentibile del mio corpo. Contro il suo.
   «Oh Selena, la mia Selena..» Le sue mani, mi accarezzarono il volto, mentre quell’ultima e possente spinta ci portò a entrambi nel mondo del puro piacere. Arrivammo entrambi, con un ringhio soffocato dal bacio subito dopo. Justin mi aveva afferrato la bocca subito in un leale bacio passionale, soffocando le mie grida di piacere e strozzare anche le sue.

Quando riaprii gli occhi nella mia stanza c’era buio. Ed io avevo caldo. Justin era aggrappato a me, coprendomi il seno con un braccio possessivo. Lui era coperto solo fino al bacino, lasciando praticamente tutta la sua schiena scoperta. Mi liberai della sua stretta e andai in bagno. Accesi la luce e socchiusi la porta, per non dare fastidio a Justin. Quando mi specchiai mi venne voglia di piangere.
  Mi resi conto che ero di nuovo, in qualche modo, sul punto di partenza. Non avevamo risolto niente.
Forse non dovevo andare da mio padre, questo avrebbe solamente peggiorato le cose. Sarei scappata via dai miei problemi anziché affrontarli. E questo era errato.
  Ritornai in stanza e mi avvicinai al pacchetto che aveva portato Justin. Accesi la bajour sulla scrivania e aprii il pacchetto.
  Il contenuto al suo internò mi mozzò in fiato.
Era il segno dell’infinito, che formava in qualche modo un cuore. Era una collana. La più bella che avessi mai visto, girai il ciondolo e notai che dentro c’erano incise le nostre iniziali. Mi portai il ciondolo alle labbra e lo baciai.
  «Ti piace?» Sentii un brivido lungo tutta la schiena, sentendomi improvvisamente come una ladra nella mia stessa camera. La voce di Justin mi aveva colta alla sprovvista.
  «Lo amo.» “Ti amo.”
Lo sentii sorridere. E scendere dal letto fino ad arrivare a me, le sue mani calde mi accarezzarono il collo e poi mi sfilarono da mano la collana, per poi farmela scivolare lungo il petto e chiuderla attorno al collo. Poi Justin si abbassò per arrivare all’altezza del mio petto e mi diede un bacio, proprio dove ricadeva il ciondolo, poco sopra lo storco dei seni.

Il mattino seguente mi strappò da tutto.
Dall’incredibile felicità che avevo provato improvvisamente restando tutta la nottata nuda rannicchiata vicino Justin, dalle sue braccia, dal calore e la comodità incredibile nel mio letto e dalla mia felicità.
Justin era ritornato un cubetto di ghiaccio appena si era vestito e aveva abbandonato la mia casa. E inevitabilmente contemporaneamente io avevo abbandonato me stessa.
Quando andai a lavoro, non si fece sentire per tutta la giornata.
Jamie non mi aveva nemmeno lui degnato di uno sguardo, e da parte sua, questo era un bene. Ma quando ritornai a casa Ariana mi aveva detto che Justin era passato, ma aveva avuto un improvviso impegno quindi era ritornato via. A quell’informazione dovetti richiedere maggiore sforzo per non elaborare ipotesi, inerenti al suo impegno. Anche se la voglia di sapere mi stava sbranando le budella.
  Ariana mi scrocchiò due dita davanti agli occhi, quando mi resi conto di essermi persa in uno dei miei viaggi mentali rimanendo con la forchetta a mezz’aria fissando il vuoto.
  «La pasta ormai è fredda.» Disse Ariana, guardandomi.
  «Ah? Eh..» Ritornai in me e diedi un occhiata al piatto che era praticamente intatto davanti a me. «Solo che.. non ho fame.» Mugugnai.
  «Come va con Justin?» Chiese lei,
  «Domanda di riserva?» Scherzai leggermente.
  «Beh almeno scovi il lato scherzoso della cosa..» Disse lei.
 «Non ho altra scelta. Ariana.» Mi alzai dalla tavola. «Non ho altra scelta dal momento in cui non posso far altro che piangere.»
  «Ma ieri sera mi sembrava di.. sentire.. che andava tutto bene.»
  «Anche a me sembrava così.» Dissi.
«Ma ti ha regalato una collana.» Mi fece notare.
  «..sì.. probabilmente non è niente.» Feci un respiro profondo e scagliai la bomba, con la speranza che tutti, tranne lei, si sarebbero fatti del male. «Io vado via, Ariana.» Comunicai, lei sbiancò.
  «Cosa?» Si alzò anche lei dalla tavola. Avvicinandosi un po’ a me, con uno strano guardo e uno strano comportamento come se fossi un animale selvatico, pericoloso. Che lei doveva assolutamente addomesticare. Rabbrividii.
   «Vado da mio padre, per un po’.. io..»
 «Per quanto tempo? Quando? Perché?» Chiese.
  Non potei non ridere, «Eh mi chiedi perché?!» sbottai. Lei si incupì.
   «Serena scappare via dai problemi non è una soluzione.» Disse lei, stringendo i pugni, rimanendo sulle difensive, sfoggiando la sua saggezza. 
  «Lo so, ma non ho altra scelta. Non posso andare avanti così.» La mai voce era incredibilmente impassibile, metteva i brividi persino a me stessa.
  Ariana, fece gli occhi lucidi.
  «Farai soffrire anche me..» Balbettò quasi. «Mi sento anche io parte dei tuoi problemi.. io..» La avvolti in un abbraccio.
Lei non era per niente, lei non faceva per niente parte dei miei problemi. Lei di solito era quella che mi aiutava a risolverli.
  «No, non devi sentirti così. Sono io il disastro qui.»
  «Quindi hai deciso? Sei sicura?» Singhiozzò lei.
  «Sì, Ariana. Io devo andare.»

Il ragazzo che aspettavo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora