Capitolo 4

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«Perché adesso hai reagito in quella maniera?» Quando entrai a scuola c’era Ariana, che aveva visto la scena.

  «Perché sono stanca.» Risposi seria, continuando a camminare. Presi un fazzolettino dalla tasca e mi pulii le gocce di sangue.
Lei mi seguì.
  «Senti Sel..»
  Mi fermai e mi voltai verso di lei. «Non offenderti ma.. mio padre ha una palestra qui in città, potresti iscriverti al corso di autodifesa.. sai non si sa mai.» Disse cordiale.
  “Mmh.. non era una cattiva idea.”
  «Potremmo andarci insieme..» Proposi, abbandonando la serietà.
Lei sorrise e annuì: «Dammi il tuo numero, ti contatto.»
Mentre mi avviavo in classe sentii la voce metallica rimbombare nel corridoio: “La signorina Gomez è pregata di venire in presidenza.”

  «Cosa!!» Esclamai e la mia voce si alzò di qualche ottava, guardavo il preside come se fosse uno scherzo della natura. Mi aveva appena detto che avevo preso una nota negativa in comportamento perché avevo usato la violenza a scuola.
  «E Miley? Justin?! A loro non li chiamate in presidenza!?» Stavo per alzarmi e schiaffeggiare anche il preside, sentivo praticamente la rabbia crescermi dentro.
  «Loro ricevono note tutti i giorni.. non posso chiamarli in continuazione in presidenza.» Rispose lui a mo di spiegazione.
  Lo guardai torva, «Sapete che usano la violenza anche su di me?» Sputai acida. Lui annuì. «Ed è per questo che abbiamo sospeso la signorina Cyrus.» Spiegò nuovamente. “Wow, mi ha aiutato parecchio proprio.” Pensai sarcastica.
  «E comunque il signor Cyrus, il padre della ragazza è un imprenditore importantissimo, e soprattutto colui che ci fornisce gli attrezzi scolastici, come lavagne e banchi.» Aggiunse.
  “Ah ecco.” Perciò Miley non veniva mai bocciata o richiamata, era una raccomandata del cazzo e sicuramente raccomandava anche Justin.
  Strinsi i pugni.
  «Posso andare ora preside?» Chiesi.
Lui annuì: «Se si ripeterà un caso del genere, sarò costretto a riferirlo ai tuoi genitori, signorina Gomez.» Enunciò: «Buona giornata.»

Uscii dalla presidenza, e improvvisamente tutta la mia rabbia si trasformò in tristezza e repulsione per me stessa.
Non potevo diventare da un giorno a l’altro ‘quella dura’. Quella che sapeva tenere testa a quelli come Justin.. no. Non potevo.
Era una cosa più potente di me e soprattutto non adatta a me.
 Come infatti, entrai nel bagno e piansi fino a consumare le lacrime. Ero di nuovo ritornata ad essere quella fragile, quella che se la tocchi come un dito si spezza e non fa rumore. Io non potevo essere quella forte.
Io ero fragile dentro.  

Era domenica mattina, mio padre mi aveva a malincuore svegliato presto. Il motivo? Avremmo pranzato da Sarah. Non mi aveva ancora detto chiaramente che era la sua ‘fidanzata’. Ma dal modo in cui si comportavano pensavo proprio di si.
  «Indossa quel vestitino a fiori, ti si addice molto.» Disse mio padre, mentre emozionato si abbottonava la camicia.
  «Okay.» Lo tirai dall'armadio, era casual e mi piaceva. Indossai i tacchi e finii di prepararmi. Mio padre bussò alla porta.
  «Sei pronta? Forza dobbiamo andare!»
Mi passai un velo di lucidalabbra e scesi giù.

  «Allora ci sarà anche la sorella, non la conosco voglio fare bella figura quindi.. si gentile.» Aveva i nervi a mille.
  «Sono mai stata scortese?» Domandai leggermente offesa.
Lui sorrise: «Mai, però sai.. volevo avvisarti.»

Prima di andare da Sarah, passammo per un enoteca, mio padre aveva pensato che andare lì a mani vuote non fosse un bella cosa. Così comprò un ottimo vino.. Abbastanza costoso. Disse che era il preferito di Sarah. Arrivammo, nell’isolato in cui viveva era circondato da ville, e anche la sua casa poteva definirsi tale. Aveva un giardino bellissimo, con rose ovunque. Sulla veranda aveva un altalena, mi venne voglia di sedermi lì a sorseggiare cioccolata calda e magari a leggere un libro.
  «Forza, andiamo.»

  Scendemmo dall’auto ed entrammo.
Sarah era impeccabile, indossava un vestito azzurro, i capelli lunghi gli ricadevano in un lato, portava tacchi color panna abbinati a gli orecchini.
  «Ciao tesoro.» Sarah con un sorriso smagliante baciò a stampo mio padre, poi mi baciò una guancia. “Ok, sono fidanzati.” Pensai. «Da questa parte, vi presento mia sorella.»
  Entrammo in cucina, era di spalle. Indossava un vestito aderente, rosa chiaro, con dei sandali. Sembrava l’avessi già vista da qualche parte. Quando si girò.. riconobbi subito chi fosse.
 “Ti prego, pavimento!! Apriti e ingoiami adesso!!” Urlai mentalmente. Ero paralizzata. “Sono fottuta!”
  «P-Pattie.» Sussurrai fra me e me, lei sorrise e venne vicino,
  «Oh, Selena! Tutto bene?» Chiese, avvolgendomi in un dolce abbraccio, rimasi spaesata.. “Oh merda.” Pensai, quindi c’era anche Justin con lei. Mi maledii mentalmente per essere venuta, anche se mio padre non mi aveva dato altra scelta. Ma adesso lei avrebbe detto a mio padre che ero la ragazza di Justin, dal modo in cui Pattie mi aveva abbracciata significava che Justin non le aveva detto che era finita tutta quella messa in scesa.
  «Vi conoscete?» Chiese Sarah, guardando mio padre.
  Annuii piano.
 «E’ la ragazza di mio figlio.» Enunciò dopo un po’ Pattie con così nonchalance, mio padre mi sgozzò con lo sguardo, e intanto il pavimento non si apriva..
  «La ragazza di suo figlio?» Mio padre non voleva crederci, aveva lo sguardo di uno che aveva appena visto un fantasma.. o tipo, mi guardava di tanto in tanto e pian piano mi ammazzava con quei occhi. Pattie sorrise:
  «Sì, a proposito adesso lo chiamo. Comunque piacere, io sono Pattie.» Porse la mano a mio padre, che con così tanta delusione (che solo io potevo captare) la strinse piano.
  «Piacere, io sono Eric.» Pattie sorrise e alzò un dito come per dire, torno subito. La vidi aprire la porta sul resto, quella che affacciava al giardino posteriore. La sentii parlare:
   «Justin, che coincidenza, la figlia del fidanzato di Sarah è la tua fidanzata.» Esclamò lei con felicità.
   «Selena è qui?»  Quando udii la voce di Justin mi girai di spalle alla porta, non volevo guardarlo in faccia, il nostro ultimo incontro era stato a scuola, quando gli avevo frantumato le palle e il naso. E quello ancora prima era stato fuori alla mia porta, quanto gli avevo detto che volevo finire tutto, finire di fare finta. Ma a quanto pare lui non gli aveva detto niente a Pattie. Non aveva messo fine a un bel niente. “Cazzo.”
  «Cavolo quant’è piccolo il mondo!» Esclamò sorridente Sarah, mentre mio padre sforzò un sorriso. Lei sembrò capire il suo disagio e infatti lo trascinò via. Sperai con tutta me stessa che Sarah avrebbe messo una buona parola contro la mia.
  «Ti mostro il griardino.» Gli disse ed erano usciti subito fuori, lei mi lanciò un occhiata come per dire ci-penso-io.
Pattie aveva preso il cellulare,
  «Io chiamo John dovrebbe venire anche lui.» Eravamo solo io e lui. Ed io ero ancora di spalle, e non volevo guardarlo. Sentivo il suo respiro dietro di me, anche lui non proferiva parola, anche lui non sapeva cosa dire. Vidi con la coda dell’occhio che Pattie ci stava spiando. Sbuffai mentalmente.
  «Non hai avvisato tua madre.» Sussurrai diventando seria e girandomi a testa alta verso di lui. “Oh mamma.” Era bello, bellissimo. Indossava un pantaloncino a tuta, bianco, con fantasie nere, una maglia bianca a mezze maniche e scritte nere, aveva un cappello e le solite supra. Portava gli occhiali da sole, e questo per me fu un vantaggio così guadarlo in faccia non sarebbe stato un problema.
  «No.» Disse «Decido io quando finirà.»
Sorrisi, «Che stronzo che sei.»
  Lui annuì come per confermare.
 «Sono un perfetto stronzo.» Sorrise.
Mi prense improvvisamente il volto fra le mani e si tolse gli occhiali. “Cazzo.” Era come se usasse i suoi occhi contro di me, come se percepiva il mio disagio di ogni volta e tutto quello che riuscivano a provocarmi quei banali occhi. Chi aveva detto che gli occhi azzurri erano i più belli? Lui li aveva castano dorato eppure non c’era di più bello al mondo. Il suo sguardo penetrò nel mio, perforandolo quasi. Aveva le pupille dilatate e questo rendeva lo sguardo ancora più ‘pericoloso’. Mi sentii bloccata al suolo, le sue dita passarono sull’incavo del mio collo, su e giù.
   Guardò la mia pelle, pallida e morbida.
  «Ogni volta che tiravo su col naso, sentivo dolore..» Confessò in un sussurro, «..e quel dolore mi ricordava te.» concluse, con un leggero sorriso nella voce bassa. «Tregua?» Chiese dopo un po’.
    «Tregua.» Sussurrai dopo un po’, soddisfatta però del fatto che  gli avevo provocato quel dolore al naso. E una parte di me era felice anche del fatto che lui mi ricordava ogni volta.
  Ero soggiogata completamente da quei due occhi. Avevo deciso di perdonarlo. Perdonare il suo essere stronzo allo stato puro, perdonare la sua violenza, ma soprattutto perdonare quei occhi che ogni volta mi ammazzavano pian piano con così tanta delicatezza che lui normalmente non aveva.
  Lo vidi piegare la testa di lato e poggiare piano le sue labbra sulle mie. Non riuscivo a muovermi, a scansarlo. Una parte di me non voleva quel bacio, mentre l’altra.. beh l’altra stava ricambiando il suo gesto. Mi baciò piano, senza lingua. Un bacio non volgare, lento e dolce. Mi meravigliai, infatti, di quella improvvisa dolcezza che mi arrivò ad ondate. La sua mano mi accarezzava il capo. Si staccò piano da me e mi guardò. Sembrava volesse dirmi qualcosa ma richiude la bocca e rimane in silenzio.
  Rientrò Pattie, seguiti da Sarah e mio padre.
 «Ho una fame da lupi.» Confessò Sarah, «Pranziamo?»

Il ragazzo che aspettavo.Where stories live. Discover now