Capitolo 30

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Il mattino seguente il cielo era grigio e cupo, il tempo fuori (per ironia della sorte) rispecchiava esattamente come mi sentivo dentro.

Quando arrivai a lavoro, Jamie mi chiamò nel suo ufficio e dovetti avere più autocontrollo delle altre volte, per non scoppiare in lacrime quando mi sfiorò il viso in una dolce carezza.
  Mi faceva male.
Una parte di me avrebbe voluto ricambiare il tutto, ma lo trovato impossibile dal momento in cui ogni pezzetto di me apparteneva a Justin. Jamie mi diede l’addio, ed io mi dimisi dal lavoro. Non sapevo con precisione quando sarei partita, ma qualcosa dentro (il mio schifosissimo sesto senso per le cose brutte) mi diceva che sarebbe mancato poco. Questioni di giorni.. o di ore.
  Quando ritornai a casa, Justin mi stava aspettando sulla soglia delle scale. Con qualcosa da dirmi. Ariana era a scuola, e non sapevo come aveva fatto ad entrare, ma mi dissi che in quel momento quello non era il problema maggiore.
  «Cosa vuoi Justin?» Gli chiesi con la voce che chiedeva pietà. Ero veramente al limite. Non riuscivo a sopportare niente. Nemmeno l’amore della mia vita, che era sulle scale con le mani in tasca, il ciuffo abbassato e una giacca di pelle –quella giacca di pelle-.
  «Mi dispiace per non essermi fatto sentire.» Mormorò.
Sbuffai. «Fa niente.» Mormorai, stanca di tutto e salendo le scale. Lo sentii seguirmi.
  «Justin ma che ci facciamo ancora insieme?» Sbottai improvvisamente. Lui mi guardò confuso e non disse niente.
  «Tu mi hai tradito, io ti ho tradito. Basta. Finiamola.» Dissi, nel sentire quella frase la sua espressione mutò.
  Aveva fatto bene ad indossare quella giacca di pelle. Perché in quel momento Justin mi sembrava perfettamente quello di un tempo.
  «Cosa?» Urlò, avvicinandosi a passo rapido vicino a me, troppo vicino. Riuscivo a sentire il suo alito caldo sul mio volto. Era diventato rosso dalla rabbia e si era formata una vena sul collo.
  «Mi hai tradito!?» Sbottò nuovamente. Mi feci improvvisamente piccola piccola, sentendomi indifesa e inutile.
  «Non..non lo sapevi?» Balbettai. “Dannazione!” In quel momento volevo veramente sprofondare nel suolo e marcire all’inferno.
  «Come facevo a saperlo? Non sono un mago, cazzo! Ma tu mi hai tradito! Come hai potuto!?» Urlò nuovamente. E quel tono mi innervosì parecchio.
  «Ma ti ascolti? Justin anche tu l’hai fatto!! Anche tu mi hai tradito!» Urlai al suo stesso tono, sentendomi scendere le lacrime ingovernabili lungo le guancie. Lui si ammutolii.
  «Basta! Basta!» Continuai «Non possiamo più stare insieme! Non possiamo se ogni volta provo dolore! Justin!» Urlai.
  Lui voleva parlare ma lo fermai con la mano. «Finiamola qua.» Mi sfilai la collana avanti ai suoi occhi, che seguivano attenti i miei movimenti, e gliela porsi. Lui non la prese.
  «Mi hai regalato una collana con il segno dell’infinito. Cosa significa?» Chiesi. «Le nostre infinite contraddizioni? I nostri infiniti tradimenti? Il mio perdonarti all’infinito?»
Lui si schiarì la gola con un colpo di tosse prima di rispondere:
  «Che ti amerò per sempre.» Rispose semplicemente.
«Questo significa.» Aggiunse.

Justin mi accompagnò all’aeroporto.
Aveva provato in tutti i modi a fermarmi. Aveva provato persino a fare l’amore con me. Ma non cedetti stavolta. Ero sicura di me.
Il significato di quella collana mi aveva spiazzato come una folata di vento. Ma mi ero ricomposta subito dopo, rendendomi conto che ormai il danno era fatto e che non potevo (ma volevo) ritornare indietro. Lo sguardo assente di Justin mi accompagnò fino allo sportello. La sua mano teneva la mia valigia mentre quell’altra stretta la mia. Aveva insistito per farlo..
  «Non lasciarmi ti prego..» Mormorò di nuovo, con la voce tremante per le lacrime che tratteneva.
  «Justin, ti prego. Devo andare.» Dissi. Lasciando nascosto in uno scatolino nella mia mente tutto il rancore.
  «No, non devi.» Ribatté lui.
  «Ne abbiamo parlato, ti prego.» Risposi di nuovo.
Cercavo di guardare dappertutto ma non verso di lui, avrei potuto cambiare idea se l’avessi fatto; sarei stata travolta dall’emozioni.
  E Justin continuava a fissarmi, ignorando il fatto di avere gli occhi colmi di lacrime e il volto pallido dal dolore.
  «Voglio venire con te.»
 «Justin io non voglio che tu venga con me.»
 «Che farai senza di me?» Chiese Justin dopo un po’.
   «Mangerò, forse di meno.»
  «E poi?»
   «Piangerò, forse di più.» Risposi, guardando i suoi grandi occhi.
Due pozze color nocciola, che mi fissavano. Dicono che gli occhi sono lo specchio dell’anima. Forse era vero, l’anima di Justin in quel momento stava male.. e stavo male anch’io.
Strinse i pugni e abbassò quei meravigliosi occhi.
  «Non avresti mai dovuto incontrarmi.» La sua voce divenne un sussurro, quasi impercettibile. «Non avrei mai dovuto innamorarmi.» Aggiunse. Non risposi e lo sentii sbuffare.
   «Ma come facevo a non innamorarmi?» La sua voce adesso era arrabbiata. E ormai anche i miei occhi stavano imitando i suoi. Stavo per piangere.
  «Dai, vai via. Non perdere il tuo tempo con me.» Sussurrai.
   «Che importa? Adesso non ho più ragione per vivere.»
Il suo tono di voce era arrogante, frustrato. Come se stesse cercando di farmi sentire in colpa e farmi cambiare idea.
Ma no, la colpa era sua!
   «E’ colpa tua.» Dissi, rivelando il mio pensiero ad alta voce.
I suoi occhi mi inchiodano, ed io mi sentii visibilmente a disagio.
Mi appoggiò le mani sulle spalle, e quel tocco così caldo mi fece stranamente rabbrividire.
  «E’ colpa di entrambi.» Disse, guardandomi dritto negli occhi.
E scandendo bene tutte le parole.
Chiusi gli occhi e ammisi che aveva ragione.
  «Allora ricordati di me quando fuori c’è il sole.» Suggerì.
 Abbassai lo sguardo, triste. “Il mio sole..”
  «Fallo anche tu, Jò.» Singhiozzai, nel mio pianto silenzioso lasciandomi sfuggire il nomignolo con cui lo chiamavo prima.
Lui lo notò e si irrigidii per poi rilassarsi.
  «Se ti bacio ricordo meglio.» Propose.
Ma mi irrigidii io. Le nostre guance si sfiorarono con le lacrime incastrate fra le ciglia, e le sue mani tremarono nei miei capelli come quando si raccoglie un oggetto prezioso caduto a terra che non si era rotto, e la sua fronte premette forte sulla mia come per schiacciarmi i pensieri. La voce metallica stava annunciando il mio volo.
  «Eccolo lì. Mi sa che devo..» Sussurrai.
Sentivo il suo respiro sulle mie labbra, e il calore che mi accarezzava la pelle. Le sue mani mi tennero ferma la testa.
    «Si. Devi..» Rispose, ansimando quasi.
Però desideravo quel bacio. Più di qualsiasi altra cosa al mondo. Sarebbe stato l’ultimo ricordo di lui. Di noi.
Ma lui si scostò, mi impedì quel ricordo. E mi diede un ultima carezza per poi fare un passo indietro e lasciarmi con la sensazione di essere abbandonata e fredda. Guardai i suoi occhi per l’ultima volta.
  «Justin promettimi una cosa..» Dissi, era la cosa migliore. Per me e per lui. Lui mi guardò ed io continuai: «Non contattarmi, non rintracciarmi. Mai più, dovrà essere come se non fossi mai esistito.»
  «Promesso.» Rispose subito Justin.«Mai ricorderò di te quando tornerò a casa e non mi sentirò più a casa senza di te.»
  Quella frase fu la goccia che fece traboccare il vaso. Le sue labbra premettero sulla mia fronte e mi lasciarono piangere.
  La voce metallica insisteva sulla mia partenza.
E per la prima volta da quando avevo preso la decisione di partite, adesso non ne ero tanto convinta. Lo vidi allontanarsi fra la folla, una ragazza guardandomi con il biglietto fra le mani mi trascinò, quasi, nell’aereo. L’avevo veramente fatto? Avevo veramente lasciato l’uomo della mia vita? Le lacrime ormai scendevano libere.  «Justin!» Urlai con tutta la forza che avevo in corpo. Per guardarlo un ultima volta prima di andare via. Si girò e mi regalò un sorriso fievole, un sorriso spento, una di quelli che ti fa salire tanta tristezza.
I suoi occhi erano gonfi e rossi. Mi accovacciai a terra facendo cadere il biglietto dalle mia mani. Guardai verso di lui.
   «Ti amerò per sempre.» Sussurrai, consapevole del fatto che non mi avrebbe mai potuto sentire. La ragazza dalla divisa verde, mi venne vicino e mi aiutò ad alzarmi.
  «Sta bene?» La sua voce squillante mi fece vibrare gli occhi.
  «Sì.» “No.”
Mi accompagnò al mio posto. E capii. Capii che avevo perso una parte di me, capii che quando sarei ritornata niente sarebbe stato lo stesso. Niente. Mi portai le ginocchia al petto, girandomi dalla parte del finestrino per ignorare le occhiatacce della gente. Mi feci ricadere apposta i capelli davanti agli occhi per coprirmi, quanto avrei voluto coprire anche il dolore che mi bruciava dentro.
   Il dolore che provavo non era assolutamente paragonabile a nessun altra cosa al mondo. “E’ colpa mia, è colpa mia, è colpa mia.” Mi dondolai sulle ginocchia. “E’ colpa mia.” Era diventata una cantilena nella mia mente. Non riuscivo a smettere di recitare quella frase.
Avevo sbagliato, mi sentivo la morte dentro divorarmi l’anima. Questa volta non sarei più stata felice. Mai più.
  Quello era l’errore più grande della mia vita. 

Il ragazzo che aspettavo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora