Il Fiore e l'Artiglio + Versi...

Por CactusdiFuoco

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[STORIA COMPLETA] Mark McWoodland è un giovane contadino che per sbarcare il lunario aiuta l'impresario di po... Más

Prologo: 1968
PARTE PRIMA
1. 1980 - Città
2. 1980 - Campagna
3. Parlando di cani
4. La maledizione dell'ultimogenito
5. Passi di topo
6. Il mangiacalzini
8. "Vendrá a ver al hombre muerto"
9. Con i morti e con i tuoi pensieri
10. L'inizio della guerra
11. Con la testa in mano al boss
12. Te ne sei accorto, ragazzo?
13. Il rospo equivoco
14. Scambio epistolare (parte prima)
15. Scambio epistolare (parte seconda)
16. Summer Spring
17. Burubullone
18. La forza di una sanguisuga
PARTE SECONDA
19. Scambio epistolare (parte terza)
20. Una lettera mai spedita
21. Il ritorno
22. Che razza di sogni, bambina mia
23. Denti
24. Una piccola rivelazione
25. Istruzioni per contrabbandare droga
26. La scoperta del boss
27. Le aquile
28. Guardare in faccia i problemi
29. Al lavoro in fattoria!
30. Un pericoloso ospite inatteso
31. Mark contro tutti
32. Catturato
33. La tortura
34. Salvataggio
35. Un solo bacio
36. La telefonata
37. Giocare al gioco
38. La notte e l'Italia
39. Le parole dei poliziotti
40. Andrà tutto bene
41. Un accordo oscuro
PARTE TERZA
42. Golden killer
43. Odori
44. Scambio epistolare (parte terza)
45. Lingua ruvida
46. L'ultima lettera
47. Ultimi attimi prima della libertà
48. Belle sorprese
Epilogo
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7. Per noia

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Por CactusdiFuoco

L'indomani, Mark si svegliò prima di tutti gli altri come ogni mattina per condurre la mandria al pascolo. Era appena l'alba.

Sara invece si svegliò alle dieci. Si lavò, si vestì, scese di sotto e si unì per la colazione a Oliver che era l'unico rimasto in casa.

«Ciao!» La salutò lui «Ben svegliata!»

«Ciao?» Sara si guardò intorno «Dove sono finiti tutti?»

«Sono andati al lavoro»

«Ah. E tu non lavori?»

«Sì, lavoro, certo. Ma non alla fattoria» l'uomo sorrise «Sono computista per un'azienda. E oggi ho un giorno libero»

«Computista?»

«Significa contabile. Sono quello che tiene conto dell'avvenuto addebitamento o dell'accreditamento o...»

«Lo so cos'è un contabile, Oli».

L'uomo sorrise ancora e tacque, tornando a concentrarsi sulla sua colazione.

Oliver era il secondogenito di Brody McWoodland e il suo figlio preferito. Aveva più soldi di tutti gli altri fratelli McWoodland messi insieme ed era ufficialmente fidanzato con una ragazza di nome Jenny che Sara conosceva di vista e di fama. Aveva lineamenti più regolari dei suoi fratelli, con un naso dritto e labbra carnose, era discretamente alto e atletico e persino in pigiama sfoggiava una particolare grazia.

Sara non aveva alcuna voglia di parlare con lui. Di cosa avrebbero potuto discutere? Lui era di almeno sette anni più vecchio di lei ed era una specie di banchiere. E stava con la ex del suo ragazzo.

«Timothy mi ha detto che la splendida Mustang qui fuori è del tuo ragazzo» Le disse lui, dopo aver preso un lungo sorso di succo d'arancia «Chi è lui? Lo conosco?»

«No, non lo conosci» rispose laconica la ragazza, spalmandosi il pane di marmellata

«Come si chiama?»

«Si chiama "il Ragazzo di Sara"».

Oliver rise. Aveva le fossette, come un bimbo: unite alla sua abbronzatura, quella splendida che è tipica delle carnagioni olivastre, facevano un effetto-bravo-ragazzo incredibile. Sara lo guardò senza contenere il disgusto.

«Voglio solo fare colazione» Gli disse «Non, sai, parlare del mio ragazzo»

«Guarda che non devi vergognarti! Era solo così, per fare conversazione...».

Sara non voleva fare conversazione, voleva mangiare in pace la sua dannata colazione.

Il pane era insipido, forse troppo mancante di sale. La marmellata, invece, era ottima anche se non si capiva bene di quale frutto o di quale mistura di frutti fosse composta e non c'era nessuna etichetta che lo rivelasse.

Sara mangiò lentamente, ascoltando sovrappensiero Oliver che le parlava delle azioni governative di Jimmy Carter, di una possibile crisi diplomatica e di John Lennon. Mentre fingeva di essere attenta, pensò a Richard e al cartello messicano del Precio de Sangre, chiedendosi se si fossero già incontrati e se stesse andando tutto bene.

Era frustrante non poterlo sapere immediatamente. E se Richard fosse morto mentre lei era lì, a non fare niente con quella manica di bifolchi? Se al suo ritorno in città avesse scoperto che il loro regno era finito, che lei non era più la regina di Austin, che non era nessuno, e che per giunta l'uomo che amava non l'avrebbe mai più baciata? Quel pensiero le risultò doloroso, ma non lo scacciò. Impregnò ogni angolo di sé stessa di quel dolore, finché non divenne come una sorda pulsazione senza significato. Aveva imparato che a scappare dalla paura non ci si guadagna niente, che l'unico modo per batterla era provarla, sbatterci la testa contro, finché non se ne era pervasi e allora si capiva che quella paura non poteva ferirti più di così.

Al confronto dell'idea di perdere Richard, di perdere sua madre e suo padre, di perdere tutto ciò che aveva guadagnato duramente in quegli anni, un misero incubo notturno non era niente.

Sara aveva spesso incubi, non era una cosa strana per lei. All'inizio, quando all'età di quindici anni e dopo un particolare accadimento erano cominciati, ne aveva avuto così tanta paura da limitare le sue ore di sonno. Stanca, la ragazza aveva ciondolato per casa, aveva visto il suo rendimento scolastico crollare miseramente, i divertimenti allontanarsi. Aveva perso il suo fidanzatino dell'epoca, anche.

Poi il tempo era passato e gli incubi erano continuati. Qualcun altro al posto suo sarebbe crollato, ma non lei. Lei escogitò un sistema: si fece piacere i suoi incubi.

Iniziò ad assaporare l'adrenalina che le davano, iniziò a contrattaccare gli uomini e i mostri. Presto i suoi incubi non poterono più farle del male, perché era lei quella che feriva gli incubi e non viceversa.

Anche la sua vita cambiò quando cercò di avvicinarsi a tutto quello che un tempo le avrebbe fatto paura. Iniziò a recarsi sulle scene del crimine, a fare sopralluoghi agli incidenti stradali, ad accompagnare suo padre al lavoro per guardare dritta nelle ferite. Scoprì così di amare il sangue, di apprezzarne il colore scintillante, l'odore ferroso, persino il sapore.

E quando scoprì di amare il sangue, i suoi incubi divennero persino piacevoli.

Una volta, pochi mesi prima, lo aveva confessato a Richard Maverick e lui l'aveva guardata negli occhi, aveva sorriso e le aveva detto

«Questo è essere masochisti. Ma a me sta benissimo, non sono un moralista». Poi l'aveva baciata, non lasciandole il tempo di replicare che lei non era masochista, perché alla fine vinceva sempre lei nei sogni, ammazzava sempre l'assassino, il mostro sotto il letto, l'ombra oscura.

Sara non aveva paura della paura e questo è quanto di più coraggioso un essere umano possa fare.

Tuttavia durante la notte che era passata, era successa una cosa strana: quell'incubo era stato stranamente vivido, così tanto da spingerla a sparare al topo. Erano ormai almeno due anni che non faceva un sogno così. Che fosse un segno di sventura? Che qualcosa di terribile stesse per succedere?

«Tu non parli molto, non è vero?» Le chiese Oliver «Quando ti vedo a spasso per Austin stai sempre zitta e anche adesso...».

Sara gli lanciò un'occhiata e non rispose. Lei era tutt'altro che una persona taciturna, ma in questo momento non le sembrava il caso di spiegare a quell'uomo che se sembrava taciturna era solo perché lui era noioso e non aveva niente da dirgli.

Mark non ritornò quel pomeriggio, non mangiò a tavola con loro, e solo nel tardo pomeriggio, al calar del sole, riportò indietro la mandria. Evidentemente non c'era stato nessuno che si era rivolto all'agenzia di pompe funebri di Paul Grimm, quella a cui lavorava.

Sara lo aspettava con trepidazione: lo strano ragazzone mandriano era l'unico che la interessasse e distraesse almeno un po' in quel posto dimenticato da Dio. Forse, si disse, in realtà a mancarle erano i cani e non lui. Si annoiava a morte senza nessuno con cui giocare.

«Ehi, scagnozzo!» Lo salutò quando lo vide rientrare, andandogli incontro «È stata una bella pascolata?».

Mark lanciò il cappello sull'appendiabiti, prese un profondo respiro e annuì. Sembrava completamente esausto, quasi incapace di reggersi in piedi, e dopo averla salutata con un cenno salì le scale e si chiuse in camera sua.

Sara aprì il portoncino per fare entrare i cani, invitandoli con gesti delle mani, ma anche i due animali sembravano stanchi e in qualche misura diffidenti, perciò preferirono correre a nascondersi nella stalla.

«Divertente» Commentò ironica Sara prima di ritirarsi anche lei nella sua stanza.

Anche l'indomani il ragazzo ripeté la stessa routine e di nuovo il terzo giorno. Sara iniziò a girare da sola per i campi, catturando piccoli animali per ammazzare il tempo. Acchiappava cavallette, lucertole, topi, e poi li rilasciava osservando quanto rapidamente riuscivano a fuggire.

Lo zio Brody, come si faceva chiamare adesso, sembrava non avere che qualche istante da dedicare a lei, ma si trattava in ogni caso di istanti noiosi in cui l'uomo la interrogava sui suoi progressi scolastici, chiedendole che cosa stessero studiando e che voti avesse, e Sara si inventava di sana pianta le risposte, facendosi passare per la migliore della classe. Timothy aveva i suoi amici, il suo lavoro e i suoi hobby e non aveva tempo da dedicare alla sua "cuginetta". Oliver lavorava per la maggior parte del giorno e per quel poco che non lavorava rimaneva a casa della sua fidanzata, in città, tornando a casa solo per dormire.

"Dormisse almeno con lei!" Pensava Sara, facendosi rimbalzare in mano dei coleotteri "Ma qui son tutti frati medievali pronti per la beatificazione...".

Degli altri fratelli di Mark (contando anche lui, i fratelli erano in tutto sette, tutti maschi) non c'era traccia.

Tuttavia, scoprì Sara, c'era un altro cavallo nella stalla. L'animale era un castrone grigio, alto e massiccio, con la schiena picchiettata di macchioline bianche rotonde e la criniera tagliata così corta che da lontano sembrava assente. Era tranquillo e sonnacchioso, ogni tanto solo la coda grigia, tagliata a metà lunghezza, si muoveva per scacciare alcune mosche.

Sara decise di cavalcarlo. Erano almeno dodici anni che non saliva su un cavallo, perciò neanche si ricordava bene della sua più recente esperienza con questi animali, ma non aveva timore. Le bestie, pensava lei, sono facili da capire: se una cosa gli dà fastidio te lo dicono e se puoi domarle facilmente lo fai, altrimenti lasci perdere per il momento.

Poiché il cavallo era incredibilmente docile e si fece accarezzare senza problemi, sembrava proprio che la parte più difficile sarebbe stata sellarlo. Sara, ovviamente, non aveva mai sellato un cavallo.

Ci mise più di un'ora per riuscire a dare una parvenza di solidità a quel groviglio di cinghie, ma non le parve comunque un buon lavoro perciò disfece tutto. Non aveva alcuna fretta, voleva fare un buon lavoro.

Il cavallo sbuffò, dilatando le froge.

«Lo so che vuoi uscire» Gli disse Sara, dandogli una pacca sul fianco «Ti lasciano qui da solo a non far niente. Come me. Magari ci divertiamo, insieme, eh?».

La ragazza si fermò a guardarlo a gambe larghe, cercando di visualizzare la sella sul dorso del cavallo di Mark e il modo in cui era stata sistemata.

Quando credette di aver capito, si avvicinò alla base del collo dell'animale e gli posò sul dorso l'imbottitura che doveva proteggere la sua pelle dagli sfregamenti, poi fu il turno della coperta che dovette essere centrata bene per assicurarsi che coprisse tutta l'imbottitura. Le parve un buon lavoro, dunque procedette ad allacciare il sottopancia e stringerlo bene. Fece muovere il cavallo, tirandolo un po' dal pomello della sella e spronandolo con la voce, poi strinse ancora la cinghia reputandola troppo larga. Infine gli mise la cavezza, trovando solo un po' di difficoltà nell'aprire la bocca dell'animale per infilare il morso.

«Eccoti qua, tutto bello bardato» Sara gli carezzò il collo «Speriamo di non aver fatto niente di strano, altrimenti son dolori, vero?».

Aprì il cancello del box, lanciando occhiate all'animale. Non sapeva come trattenerlo in maniera efficace senza fargli del male, ma non ci fu bisogno di preoccuparsi: il cavallo ruotò le orecchie in avanti e non si mosse. La ragazza afferrò le redini e con la destra girò la staffa e ci infilò il piede sinistro. Rimase un istante in quella posizione, inspirò a fondo e poi si issò per fare passare la gamba destra sopra il cavallo. Inavvertitamente tirò le redini e il cavallo girò su sé stesso di qualche grado, ma questo non le impedì di riuscire a sedersi comodamente.

«E siamo in sella» Disse fra sé, poi batté delicatamente i tacchi contro i fianchi del destriero e quello prese a camminare con una lentezza terrificante.

Le ci volle tutto il pomeriggio per iniziare a capire come "funzionava" un cavallo, come fargli cambiare andatura o direzione. Scoprì che il castrone non sopportava granché l'uso delle redini, ma che si muoveva quasi come per magia quando lei gli spingeva il collo in una direzione o nell'altra.

Verso sera aveva iniziato a divertirsi, ma anche a sentire un vago fastidio ai muscoli addominali e delle gambe. Andare a cavallo non era come stare seduti su una sedia: bisognava tenere spalle, fianchi e talloni allineati.

Dopo averlo fatto brucare per un po', condusse l'animale alla stalla e gli tolse sella e finimenti. Aveva imparato che poteva tenere per le redini il cavallo, purché non lo strattonasse, e che era piuttosto facile condurlo dove voleva lei anche se non lo stava cavalcando.

«Ti chiamerò Lumacone» Annunciò, mentre gli dava una strigliata veloce «Non è un bel nome? Ti piace, Lumacone? Ti piace che mamma ti spazzola? Potrei portarti al macello e farti diventare tante belle bistecchine, ma invece no: ti spazzolo».

Rimase con lui per un po', mentre il cielo si tingeva di un arancio intenso, quasi fluorescente, che colorava i box della stalla di improbabili tinte pastello. Lumacone chiuse gli occhi e fece ondeggiare la coda, in pace.

Quando vide all'orizzonte la linea nera della mandria che tornava, Sara decise che l'indomani mattina avrebbe seguito Mark e le sue bestie: non avrebbe certo potuto essere più noioso che rimanere da sola a rovesciare sassi in cerca di millepiedi o a vagare senza meta con un cavallo che non conosceva.

Lo precedette e si coricò prima di lui, senza neanche salutarlo. Si addormentò pensando a un modo per costringerlo a portarla con lui al pascolo e il suo ultimo pensiero fu che non aveva alcun bisogno di costringerlo, le bastava sellare Lumacone e seguirlo senza chiedere il permesso a nessuno.

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