Born to be yours

By _shawnmendess__

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Cris è una ragazza a cui non piace dare a vedere tutto quello che prova: preferisce nascondersi dietro un fas... More

Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30 - Andrew
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Informazione importante
Capitolo 50
Capitolo 51
Epilogo
Curiosità
Sono tornata!!

Capitolo 27

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By _shawnmendess__

L'ultimo giorno trascorso a Los Angeles fu malinconico. Quando al mattino mi svegliai, mi resi conto che, ancora una volta, il giorno seguente avrei dormito in un altro letto. Avevamo il volo nel primo pomeriggio, per cui metà della mia mattinata la trascorsi nel preparare le valigie, cercando di mettere in ordine le cose, per quanto mi fosse possibile.

Perché quando partivo riuscivo ad infilare tutte le cose in valigia, ma al ritorno sembrava non entrarci più niente? Quello era il mio dubbio esistenziale.

Dovevamo essere in aeroporto per le due, motivo per cui corsi a lavarmi prima che potesse farlo mio fratello. Mangiai una cosa al volo, pregando con tutta me stessa di non ritrovarmi un altro bambino iperattivo nel sedile posteriore.

Subito dopo pranzo, sentimmo il campanello suonare. Mia madre sembrò innervosirsi di colpo, portandosi una ciocca dei capelli perfettamente lisci dietro l'orecchio. La guardai torva, lei guardò me con un sorriso nervoso. Mio fratello, che invece guardava entrambe, dopo essersi reso conto che non saremmo andate ad aprire, si sbracciò al cielo e sbuffò. Il campanello suonò ancora.

"Arrivo, arrivo." Borbottò Carter, infastidito, e si avviò alla porta.

Mia madre si sollevò in piedi, non seppi esattamente per quale motivo lo feci anche io. L'unica cosa che sapevo era che mia madre, in quel momento, era terribilmente nervosa, così tanto da non rendersi conto di picchiettare insistentemente con le sue unghie laccate di nero sul legno lucido del tavolo nella cucina.

"Cosa nascondi, madre?" Le chiesi, sollevando un sopracciglio. Lei sembrò rinsavire per un momento, scuotendo la testa e tornando a guardarmi.

"Credo che dovremmo raggiungere tuo fratello." E velocemente si avviò verso l'ingresso. La seguii a ruota, e trovai Carter, la porta aperta, e un uomo oltre la soglia. Se ne stava fermo, con un sorriso imbarazzato e un mazzo di fiori tra le mani.

"Sta cercando di invitarmi al ballo?" Mio fratello disse verso l'uomo, mia madre si irrigidì d'un colpo.

L'uomo aveva due profondi occhi cristallini, non era molto vicino ma potevo vederli benissimo. Erano così di ghiaccio da sembrare quasi bianchi. Quasi non si distinguevano dal resto dell'occhio, se non fosse stato per il contorno estremamente blu della pupilla. I suoi capelli erano castani, leggermente tirati all'indietro.  Indossava una camicia bianca di lino, arrotolata fino ai gomiti, e un pantalone elegante blu notte.

Tirò un sorriso verso mio fratello, poi puntò lo sguardo dapprima verso mia madre, poi verso di me. Deglutì visibilmente, il suo pomo d'Adamo si mosse.

"Dico davvero, serve qualcosa?" Mio fratello richiese, e fu allora che mia madre si intromise.

"Vieni, Steven. Accomodati pure."

Mio fratello si voltò velocemente verso di lei, l'uomo entrò in casa e si rifugiò vicino al fianco di mia madre.

Dapprima confusa, vidi successivamente uno sguardo che si scambiarono. Un semplice sguardo che fu sufficiente, per me, a capire. Mio fratello, invece, beata la sua ignoranza, guardava i due con aria scombussolata.

"Non ero sicura che fosse un bene fare questo passo ora, ma c'è un bambino nel mezzo, e voi state per partire di nuovo per il college..." mia madre disse. Si toccò la punta del naso, nervosa e imbarazzata. Mi rividi così tanto in lei che quasi mi spaventai.

Grazie a quella frase, Carter capì. Chiuse la porta principale, ponendosi al mio fianco: sembrava quasi una scena di guerra, due contro due.

"Lui è Steven." Mia madre continuò, con voce traballante. "Il-il mio... il... lui è..."

"Il padre del bambino, abbiamo capito." Dissi io, incrociando le braccia al petto.

Non sembrava una cattiva persona, ma era la stessa cosa che le persone, al di fuori di questa casa, dicevano di mio padre. E lui si era rivelato tutto fuorché una brava persona.

Steven deglutì ancora, era nervoso forse il doppio di mia madre, per ovvie ragioni.

"Si, è lui." Mia madre mormorò, afferrando istintivamente il fianco dell'uomo, che a sua volta, le circondò le spalle con un braccio. "Io volevo semplicemente farvelo conoscere, prima della vostra partenza."

Steven aveva ancora quel sorriso tirato sulle labbra, il suo nervosismo trapelava ormai chiaramente. Feci un passo verso di lui, quasi come se volessi studiarlo meglio, lui deglutì ancora. Sembrava quasi non avere più saliva.

"Se la rendi felice, per me va bene." Dissi. Lui sospirò di sollievo, quasi volle parlare, ma io lo bloccai alzando un dito. "Ma se anche tu le farai del male, sarà meglio che non ti faccia più vedere in giro."

"La amo da oltre venti anni." Steven finalmente parlò, stringendo istintivamente il mazzo di fiori che ancora aveva tra le mani. "Sogno questo momento praticamente da una vita. Non potrei mai farle del male."

Mia madre sembrò commuoversi, e cercò di mascherare il sorriso che lottava per comparire sul suo volto. Mi girai allora verso Carter, che se ne stava ancora ad osservarlo, a braccia incrociate. "Quello che ha detto lei." Disse poi, facendo un cenno verso di me col mento. "Merita la nostra fiducia."

"Lo farò." Steven disse, porgendo la mano verso di lui. Carter la osservò attentamente, poi sospirò e la strinse. "È in buone mani."

[...]

Quando arrivammo a New York, era mezzanotte inoltrata. Il volo di ritorno, per fortuna, era stato tranquillo, ed io ero riuscita a non chiudere occhio, avendo già calcolato l'orario di arrivo. Speravo solo di non avere problemi con il jet lag, sebbene fossero solo tre ore di differenza.

"Sono stanchissima." Cher disse, stiracchiando le braccia al cielo. Carter le scompigliò i capelli e poi le diede un bacio sulla testa. A volte, quando li guardavo, ancora non riuscivo a credere che fossero diventati una coppia a tutti gli effetti. Mi sembrava ancora di rivedere la bambina che, la maggior parte delle volte, veniva a casa solo per poter incrociare mio fratello. Ero così felice che finalmente, dopo tutti quegli anni, era riuscita a raggiungere il suo obiettivo. Non l'avevo mai vista più felice di così.

"Già, a chi lo dici." Mormorai, sbadigliando.

Dopo aver recuperato le nostre valige, ci avviammo verso l'uscita dell'aeroporto. Iniziai a guardarmi intorno, cercando un taxi, quando puntai lo sguardo su una massa di capelli ricci e scuri, appoggiato a braccia incrociate alla sua Range Rover rosso fuoco, con una bionda accanto.

Li riconobbi al volo, e fui felice di sapere che Aiden fosse venuto a prendermi. Di Swan un po' meno, visto che ovviamente non era lì per me, ma me lo feci andare bene. Nonostante quella sera fossi ubriaca, avevo ormai capito che Andrew non mi era indifferente affatto, e che quel brutto pizzico allo stomaco che provavo tutte le volte che lo vedevo insieme a Swan, era pura gelosia. Tuttavia, ero riuscita a restare ferma sui miei punti, e a non cedere. Alcune volte semplicemente avevo una voglia matta di prendere Andrew e baciarlo, mi mancavano i suoi baci. Ma me lo vietavo severamente. Il suo sentimento era troppo puro per essere macchiato dal mio, al contrario, così cupo e triste.

«Merda, la mia vita è proprio terribile.» pensai. Poi Aiden e Swan ci notarono. Il ragazzo puntò i suoi occhi su di me, sorrise così tanto che credetti le sue guance potessero strapparsi. Evitai di guardare Swan, che già era tra le braccia di Andrew, e corsi verso il perfetto ragazzo che mi stava aspettando da quando ero partita.

Forse potevo farla funzionare, dovevo solo eclissare tutto quello che era successo a Los Angeles, far finta di niente. Aiden mi piaceva, in fondo, ed ero sicura di riuscire presto a provare qualcosa di forte per lui. Ed Andrew, lui mi avrebbe dimenticata altrettanto in fretta. Swan era una ragazza dalla bellezza disarmante, sia dentro che fuori, eravamo il giorno e la notte. Lei emanava luminosità anche solo grazie ai suoi bei occhi azzurri e capelli biondi. Io, invece, ero sempre più convinta di essere un buco nero.

Quando fui a pochi passi da Aiden, lui spalancò le braccia e mi accolse in esse, sollevandomi da terra e stringendomi con forza. Il mio cuore si riempì e svuotò allo stesso tempo, perché non erano le braccia che desideravo davvero, ma erano quelle che mi avrebbero stretta da quel giorno in poi. E mi andava bene così.

"Finalmente sei qui." Sussurrò al mio orecchio, affondando col volto nella mia chioma di capelli scuri. Istintivamente strinsi ancora di più le braccia al suo collo, e mi lasciai cullare dal suo profumo, che mi era mancato.

"Sono qui." Lo rassicurai. Aiden si scansò solo per potersi interfacciare con me e, dopo pochi attimi, baciarmi. Glielo lasciai fare e accarezzai i suoi capelli con le mie mani. Si, mi era mancato davvero.

Quando le nostre labbra si separarono, mi lasciai stringere ancora un po' da lui, poggiando la testa sulla sua spalla. E puntai involontariamente lo sguardo su Andrew. Swan era praticamente addosso a lui, che la stringeva tra le braccia, le sue mani poggiate sulla schiena. Ma anche lui guardava me, e fu uno sguardo così intenso da mettermi i brividi.

"Forse è meglio andare." Sussurrai, improvvisamente senza voce. Aiden annuì felice, e fece posto a tutti nel suo Range Rover da sette posti. Le valige sembrarono entrarci miracolosamente, io mi piazzai davanti con lui, e gli altri sparsi nei sedili retrostanti.

"Ho fame." Dissi di punto in bianco.

"Hai praticamente svuotato un aereo e hai ancora fame?" Carter disse, dal fondo della sua posizione in auto. Lui e Cher avevano preso i due posti negli ultimi sedili.

"Pensa al vuoto del tuo cervello, non quello dell'aereo." Borbottai, incrociando le braccia al petto. "E si, ho ancora fame."

Aiden rise, fermandosi ad un semaforo rosso. "Possiamo fermarci alla Dunkin' Donuts." Disse. I miei occhi si illuminarono e mi sporsi verso di lui per dargli un bacio. "Ti adoro, ti adoro, ti adoro."

Aiden rise ancora, poggiando la mano sulla mia coscia, e partì di nuovo. Sentii il punto in cui la sua mano mi toccava andare a fuoco, ma ero sicura non fosse a causa del suo tocco. Infatti, con la coda dell'occhio, notai lo sguardo persistente di Andrew proprio in quel punto. Sembrava un cane pronto a ringhiare, la cosa sarebbe stata anche divertente se non fosse stato per il fatto che mi sentivo così dannatamente in colpa. D'altra parte, però, lui aveva Swan con cui consolarsi.

Facemmo il pitstop alla Dunkin' Donuts, e finalmente mangiai la mia ciambella piena di glassa zuccherata. Ne presi altre tre dopo, due di cui al cioccolato, mentre tutti gli altri mi guardavano così male che dovetti girarmi per finire l'ultima ciambella.

"Ti sei sfamata, finalmente?" Mio fratello sbuffò, quando mi leccai le dita sporche di glassa.

"Ho ancora un leggero languorino, ma posso aspettare la colazione domani mattina."

Mio fratello scosse la testa, ormai arreso, e ci avviammo all'auto. Nel tragitto, la mano di Aiden stringeva saldamente la mia, senza mollarla nemmeno per un attimo.

Era così piacevole l'essere tornati finalmente a New York, dopo tutto quello che era successo a Los Angeles, che quasi piansi.

Raggiungemmo il college, ognuno si rintanò nella sua stanza il prima possibile, oppressi dalla stanchezza. Io e Aiden, invece, restammo ancora un po' nel corridoio. Ogni tanto ci concedevamo qualche bacio, mentre parlammo in grandi linee delle nostre esperienze eclatanti durante le vacanze. Ovviamente non rivelai di aver ucciso mio padre a mani nude, con un collo rotto di una bottiglia di whiskey. Non ero ancora pronta a parlarne con lui, ma forse un giorno lo sarei stata.

Quando la stanchezza sopraffece anche me, salutai Aiden e rientrai. Cher si stava appena mettendo a letto, coprendosi col suo piumone viola. Prima che potesse fare alcun tipo di domanda, mi chiusi la porta del bagno alle spalle e mi feci una doccia, uscendo solo quando fui sicura si fosse addormentata; infatti, la trovai con un braccio penzolante fuori dal letto, le labbra dischiuse, e mormorii leggeri che ne fuoriuscivano. Era davvero stanchissima.

Una volta a letto, mi sistemai sotto le coperte e aspettai che il sonno mi prendesse con se, e non ci misi molto a crollare definitivamente.

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