THE WEM

By Moon0354

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Iris sognava una vita normale, eppure dopo un tragico evento, si ritrova catapultata in un mondo del tutto di... More

Premessa
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By Moon0354

IRIS

Mi rigirai per l'ennesima volta nel mio letto d'ospedale, cercando di trovare una posizione comoda e lasciarmi finalmente andare nel mondo dei sogni.

Nulla da fare.

Quella sera Morfeo non mi voleva proprio accogliere fra le sue braccia.

Sbuffai spazientita, e mi voltai sul fianco, prendendo ad osservare dalla grande vetrata la sfrenata vita notturna della metropoli giapponese.

L'ospedale non era al centro città ma neanche troppo nella periferia.

Da qui potevo osservare le lontane luci delle macchine in coda una dietro l'altra, mentre il leggero vociare della gente si mischiava all'assordante musica.

Quel giorno ero rimasta sola tutto il tempo, nel tardo pomeriggio Luz mi fece visita, raccontandomi di come Lara sembra essersi ammalata.

Le dissi che mi dispiaceva e che speravo in una sua presta guarigione.

Non mentivo, alla fine la ragazza era forse l'unica fonte di speranza in quella casa di matti.

Oltre a questo non le parlai molto, anche perché non avevo nulla da dire.

Non mi erano ancora arrivate notizie riguardanti il video o i colpevoli del mio ricovero, ma mi sembrava inutile chiedere a Luz.

Ammetto a malincuore che dubitavo di lei e delle cose che mi avrebbe potuto raccontare se avessi posto la domanda, ed io ero stanca di essere presa in giro.

Notando il mio malumore la donna non si era trattenuta molto lasciandomi sola tra le mie miserie.

<Tra un po' verrà Axel> aveva detto prima di uscire dalla porta dopo un mio lieve annuire.

Dopo l'ultima volta, avevo sempre timore nel vederlo.

Incoscientemente passai le mani sulle mia gola.

Sospirai per l'ennesima volta sia per la noia che per la grande malinconia che quel posto mi portava.

Per carità era un luogo accogliente e ben tenuto, ma io non ero un animale da tenere in cattività, dovevo uscire oppure sarei impazzita.

Mi alzai di scatto dal letto quando la lampadina sopra la mia testa si illuminò.

Ma certo!

Uscirò da questa stanza e farò una bella passeggiata.

Erano passate quasi due settimane e tutto quello che avevo visto erano le stesse quattro pareti.

Avevo addirittura memorizzato le varie crepature e macchie sul soffitto.

In più il letto diventava man mano bollette sotto il mio estenuante peso e così era praticamente impossibile prendere sonno.

Mi misi a sedere scostando le coperte e indossando le ciabatte gentilmente prestate da Lara.

Mi alzai molto lentamente, sentendo le gambe man mano acquisire mobilità.

Un altro minuto in più in quel letto e sarei diventata una mummia.

Mi avvicinai a passo lento alla finestra e una volta davanti mi affacciai alla vetrata che avevo aperto su richiesta dei miei polmoni.

Troppa aria viziata.

Mi incantai di nuovo a guardare la movida serale.

Tokyo era davvero una bella città, peccato che sarebbe stata l'ultima cosa che avrei potuto vedere in quel momento.

Okay, forse un po' troppo drammatica.

Respirai a pieni polmoni quell'aria, pulita ma allo stesso tempo piena di smog.

Sorrisi sentendo dopo tanto tempo quell'amato sapore di libertà e di vita.

Decisi di lasciarla ancora un po' aperta, e mi diressi di nuovo a passo lento verso la porta.

Afferrai la maniglia e feci un bel respiro prima di aprirla, pregando di non trovarmi Axel davanti, oppure ciao ciao passeggiatina.

Nelle ultime sere era diventato troppo apprensivo.

Non faceva altro che avanti e indietro per la stanza, tenendo quegli occhi scuri sulla mia figura.

Anche mentre dormivo per finta, sentivo il suo sguardo su di me.

Da una parte mi sentivo messa in soggezione, tenuta a stretto controllo che solo un lieve respiro avrebbe potuto generare una catastrofe.

Ma dall'altra parte, sentivo un calore all'altezza del petto.

Probabilmente mi illudevo, ma il fatto che lui si preoccupasse così tanto per me mi faceva sentire bene.

Quasi come se stessi fluttuando tra le nuvole di zucchero filato.

Dovevo ammettere che la sua presenza mi rassicurava.

Tutte le notti dormivo profondamente sapendo che c'era lui a vegliare su di me.

Ma dovevo pur ammettere che tutta questa "fiducia" nei suoi confronti mi spaventava.

Non dovevo rilassarmi quando c'era lui nei paraggi, non dovevo lasciarmi andare così tanto da non accorgermi che la notte era passata, non dovevo desiderarlo in nessun modo.

Eppure non ci riuscivo.

Mi prendevo mentalmente a schiaffi quando mi incantavo a guardarlo.

Quello sguardo freddo, la mascella sempre contatta, le sopracciglia rilassate che si muovevano con fare arrogante, quella bocca sottile che usava solo per dire cavolate.

La camminata spavalda, e quando si fermava con le braccia conserte, i leggeri muscoli venivano messi in risalto, adornati dai colorati tatuaggi.

E la sua altezza..

Dio, mi faceva sentire così piccola, così sottomessa a lui.

Scossi la testa per riprendermi.

Perdevo letteralmente il controllo, quando c'era di mezzo lui.

Neanche con Arsh era così.

Non potevo negare che era un bel ragazzo, ma non potevo andare oltre, non potevo pensarlo in nessun modo.

Non potevo pensare ad un possibile noi.

Non avevamo parlato tanto, nella notti in cui era con me, apparte per qualche volta dove gli chiedevo di passarmi un bicchiere di acqua.

Ed era meglio così, meno gli stavo vicino, meno mi stordivo come una ragazzina.

Mi riscossi da quei pensieri e finalmente aprii la porta.

Sporsi la testa e guardai a destra e a sinistra del corridoio.

Aggrottai la fonte confusa.

Non vi era nessun omone gigante vestito in giacca e cravatta nera.

Scrollai le spalle non dandoci molto peso.

Di sicuro avevano piazzato delle telecamere ad ogni piccolo angolino.

Avanzai lentamente chiudendo la porta alla mie spalle.

Se c'era una cosa che avevo imparato dai film, era che non si doveva mai voltare le spalle.

Respirai profondamente prima di incamminarmi verso quell'immenso corridoio.

Mi presi tutto il tempo del mondo, camminando a passo di lumaca per studiare appieno quell'ospedale.

Sulle pareti vi erano tanti poster di campagne medicinali, mischiate a qualche disegno qua e là, probabilmente realizzati da bambini ricoverati.

Nel mentre gettavo uno sguardo per tutto il perimetro, per essere sicura che fossi davvero sola nella mia passeggiata.

Non vi era nessuno, e il silenzio spezzato dallo strisciare delle mie ciabatte era l'unica cosa che mi faceva compagnia.

La mia sfilata non durò a lungo, il corridoio finí in un grande atrio.

Anche qui non vi era anima viva.

Notai la reception vuota.

Mi guardai intorno, prima di avvicinarmi a passo svelto verso di essa.

Mi accomodai, sentendo le gambe stanche per averle usate dopo tanto tempo.

Presi a Girare sulla sedia girevole un paio di volte, prima di fermarmi ed avvicinarmi al bancone.

Presi a rovistare tra le varie carte, non capendo molto di quello che vi era scritto, ma almeno passavo il tempo.

Passai in rassegna la scrivania e quando i miei occhi si posarono sui timbri si illuminarono.

Li presi e li osservai prima di usarli su un foglio preso tra le varie scartoffie.

Quando ero piccola, qualche volta, insieme a Luis entravamo nell'ufficio della direttrice e ci divertiamo a farle i dispetti tappezzando tutto con i timbri.

La sua faccia quando scopriva il nostro capolavoro era appagabile.

Sorrisi tristemente al ricordo.

Luis e Coco erano sempre nella mia mente, nella mia stanza pregavo per loro davanti al crocifisso.

Chiunque fosse entrato avrebbe di sicuro pensato fossi una con le rotelle fuori posto.

Mi alzai dalla scrivania, lasciandola completamente in disordine.

Guardai ancora intorno alla stanza e i miei occhi captarono una parete completamente colorata e diversa dalle altre.

Mi avvicinai, gettando sempre un occhiata intorno.

Una volta davanti ad essa, notai che erano varie scritte in giapponese, con alcune date sotto.

Mi tirai in dietro per poter leggere nel punto più alto della parete, in cerca di un indizio ma non vi era nulla, solo tante date e tante segni.

Pur sapendo parlare fluentemente il giapponese, non avevo la minima idea di come si scrivesse.

Mi guardai attorno in cerca di un qualcosa che mi permettesse di capire cosa vi era scritto su quella maledetta parete.

Bingo.

Accanto alla parete vi era un'insegna in giapponese ma sotto di esso vi era scritto 'obstetric department' cioè reparto ostetrica.

Grazie a Dio andavo bene a scuola.

Facendo due più due quelle dovevano essere le date di nascita dei bambini, e i loro nomi, oppure quello dei loro genitori.

Sorrisi, accarezzando quelle scritte.

Non potei non pensare che forse tra quelle tante scritte c'era anche la mia.

Chissà se un giorno potrò anche io scrivere il nome dei miei figli.

Scossi la testa.

Era troppo presto per pensarci, avevo ancora una vita davanti, sperando che sarebbe stata sempre da ragazza ventenne.

D'un tratto la mia amata pace, venne completamente spezzata da dei pesanti passi, come se qualcuno stesse correndo nella mia direzione.

Sobbalzai imprecando e guardai attorno frenetica in cerca di un nascondiglio.

Purtroppo le mie gambe non mi permettevano di andare molto lontano, ancora deboli.

Tentai di ritornare dietro la reception e nascondermi lì, ma ormai la figura aveva già svoltato l'angolo entrando nell'atrio.

Mi attaccai al muro, appiattendomi sperando di passare in osservata, ma quando riconobbi quella figura, mi rilassai.

Axel era girato di spalle, e guardava frenetico a destra e a manca, affannato con le mani che si passava in maniera ossessiva tra i capelli neri.

<Axel> lo chiamai in un sottile mormorio.

Il ragazzo si voltò di scatto, e in men che non si dica, mi riappacificò con il muro, tenendo le mie spalle in una morsa quasi dolorosa.

Alzai le mani tentando di fermarlo, ma era abbastanza inutile, talmente vicino che potevo contarli i peli del naso.

Pessimo paragone.

<Iris, cristo, perche cazzo sei uscita dalla tua stanza?! Vuoi farmi morire?! E se ti accadeva qualcosa?! I farmaci ti hanno fottuto il cervello?> Parlava, o meglio, diceva solo parolacce, a raffica.

Mi scuoteva ed io lo lasciavo fare, troppo debole anche solo per parlare.

Le gambe mi dolevano, e man mano mi accasciavo, ma la presa di Axel mi impediva di cadere completamente a terra.

<Axel> sussurrai a denti stretti, tentando di riprendermi e lasciarmi andare.

Si zittì osservandomi con occhi sbaratti, e impauriti?

Ma quel suo sguardo venne subito sostituito dalla sua solita espressione neutra.

D'improvviso la testa mi prese a Girare e mi protassi indietro verso il muro poggiando la testa e tentando di fermare il senso di nausea che mi risaliva in gola.

Sentii un imprecazione, prima di essere sollevata da due braccia possenti.

Aprii gli occhi ,precedentemente chiusi, di scatto, e mi aggrappai alle spalle di Axel, non riuscendo a trattenere un leggero gridolio.

<Mettimi giù> riuscii a dire, combattendo contro il mio capo giro.

<Sta zitta! Non riesci neanche a reggerti in piedi e te ne vai in giro per questo cazzo di ospedale> ribatté acido tenendo lo sguardo avanti a se.

Camminava a passo svelto, tanto che si creava una leggera brezza.

<Sono stanca di stare in quella stupida stanza> ribattei.

Non avrei permesso di rovinarmi il momento di piccola libertà.

<Beh ci dovrai rimanere un altro po'. E vedi di fare la brava altrimenti ti lego alla cazzo di spalliera> mi minacciò.

Le sua parole dovevano intimorirmi, ma non fecero altro che farmi arrossire.

Oddio.

L'immagine delle mani di Axel che mi sfioravano, manovrando agilmente con le corde per legarmi alla testiera del letto, il suo calore che si fondeva con il mio, e strattonava le corde stesse mentre mi bruciava con il sguardo...

Scossi la testa.

Controllati.

Mi rimproverai.

<Non farai proprio un bel niente! Non capisci? Sono stanca. S-t-a-n-c-a> gli risposi.

<Non mi interessa. N-o-n m-> lo interruppi.

<Figurati! Non sai fare altro> dissi staccando le braccia dalle sue possenti spalle, e mettendole conserte.

In poco tempo eravamo arrivati davanti alla porta della camera.

Il corridoio si era riempito d'improvviso.

Infermieri, medici, e altre persone erano tutte raggruppate davanti alla porta della camera 417.

<Che succede?> Mi domandai ad altra voce.

Ci avvicinammo e tutti si inzittirono, facendo un profondo inchino.

<Tornate ai vostri posti> disse semplicemente Axel.

Tutte quelle persone canzonarono un 'si signore' prima di disperdersi nel lungo corridoio.

Axel alzò la gamba, ed io mi aggrappai di nuovo a lui per evitare di cadere.

Lui se ne accorse e sorrise di sghembo, prima di usare il piede per abbassare la maniglia ed entrare di nuovo nella mia camera d'onore.

La corrente prodotta dalla finestra fece sbattere la porta contro la parete.

Axel, tenendomi ancora in braccio, entrò nella stanza.

Sussultai quando notai un passeggino con un piccolo esserino al suo interno che guardava intorno con gli occhioni incuriositi.

<Arianna!> Gridai e la testa della bimba scattò verso di me con gli occhi sbarrati.

Fece un verso di contentezza mentre protaeva le braccia in avanti, indicando che volesse essere presa in braccio.

Mi mossi tra le braccia di Axel per fare si che mi lasciasse andare, ma lui strinse la presa.

<Fuori> disse ed io alzai lo sguardo confusa, notando solo in quel momento la presenza di un infermiere.

Quest'ultimo sobbalzò lievemente all'ordine ricevuto, e dopo aver fatto un profondo inchino, sgattaiolò fuori dalla stanza.

Una volta rimasti solo noi tre Axel mi adagiò per terra, ed io non persi tempo a correre verso la bimba.

L'abbracciai forte, prima di sganciarla dal passeggino e prenderla delicatamente in braccio.

La piccola si attaccò con le sue manine alle mie spalle, poggiandovi la testa.

Le accarezzai i capelli, dondolando su un piede all'altro per cullarla.

Il silenzio nella stanza venne spezzato da un battito di mani.

Sentii la bimba sobbalzare tra le mie braccia, prima di alzare la testa, guardandosi attorno per capire da dove proveniva il rumore.

I suoi occhi vennero a contatto con quelli del padre che le sorrideva dolcemente.

Allora sa sorridere.

Chiamò Axel con un sillabato papà, al quale il suddetto ragazzo si avvicinò ridendo e me la rubò dalle mani.

I nostri corpi si sfiorarono ma evitammo di farci caso, troppo concentrati sulla bimba.

Axel la lanciò in aria un paio di volte facendola ridere a dismisura, fino a quando non si fermò adagiandola delicatamente sul letto.

Ancora mi stupivo di come quella bimba con un solo respiro poteva fare uscire in lui un Axel completamente diverso.

Come una rosa, che aveva tante spine, ma per quanto uno si pungesse era nulla in confronto al suo profumo, che avrebbero invaso le loro narici.

E chissà se anche io avrei annusato quel suo profumo.

Axel si mosse per la stanza e frugando in una borsa estrasse un biberon.

La bimba lo guardava con quegli occhi che solo in bambino ha, e gattonava sul letto blaterando in un linguaggio bambinese.

<Oh sì sì, hai perfettamente ragione> gli resse il gioco Axel.

Ritornando dalla bimba, Axel la prese tra le braccia e sedendosi sul letto la sdraiò sulle sue gambe.

Le sorrise ampiamente mentre guidava il biberon verso la sua bocca.

Arianna si attaccò ed iniziò a cibarsi avidamente.

Mi soffermai sulla bellissima scena.

I due si guardavano negli occhi, lei intenta con grande attenzione ad ascoltare la voce di lui, che le parlava dolcemente.

<Guarda come sei bella. La luna è di sicuro gelosa di te> disse Axel, accarezzandogli con amore una guancia.

<Ma lei non può portarti via da me, eh no, non si riuscirà, rimarrai per sempre con me> continuò abbracciandola a se e strofinando il suo naso sulla guancia di lei in maniera amorevole.

Le diede un bacio subito dopo, prima di rimetterla nella posizione iniziale e lasciare che cenasse in santa pace.

Senza staccare gli occhi da lei.

<Beve ancora dal biberon?> Domandai stranita.

Il sorriso di Axel si spense, e si voltò lentamente verso di me.

<Problemi?> Chiese retorico.

E ora cosa gli prendere?

Ho posto una semplice domanda.

Scorbutico.

<Ho solo fatto una domanda> ribadii voltandomi dall'altra parte.

Ecco che doveva rovinare il mio buon umore.

<Non credere che te la scamperai così facilmente. Il tempo di addormentare Arianna e faremo una bella chiaccherata> mi minacciò riportando l'attenzione su sua figlia.

Risi incredula alle sue parole.

<Certo, ho proprio bisogno di una ramanzina dal paparino> dissi facendo il verso alla fine.

Axel non rispose e ciò mi fece salire ancor di più la rabbia.

Se pensa che me ne stia zitta e buona mentre lui mi tratta in questo modo sbaglia di grosso.

Sono libera di fare ciò che voglio, non sarà lui di certo a comandarmi.

La stanza cadde di nuovo nel silenzio, si udiva solo il rumore della bocca di Arianna che ciucciava il biberon.

Mi voltai verso la finestra sentendo la stanza ormai troppo gelida.

Mi mossi per chiuderla e notai un biglietto incastrato tra le tende.

Lo presi, gettai uno sguardo verso Axel, controllando che non mi avesse visto, e me lo infilai della tasca del pigiama.

Chiusi la finestra e mi sedetti sfinita sul divanetto poco distante.

Sbattei le palpebre un paio di volte, sentendo gli occhi sempre più pesanti.

Finalmente il sonno mi stava facendo visita, e non potei essere più felice di poter riposare anche solo per qualche istante.

Strinsi incoscientemente il biglietto nella tasca.

Più tardi mi sarei concentrata su quello.

Axel sicuro sarebbe stato preso dall'addormentare la figlia, ed io avrei avuto tutto il tempo possibile per addormentarmi a mia volta ed evitare uno scontro con lui.

O almeno così credevo.

Un forte strattone mi risveglio completamente scacciando via quella poca dose di sonno che mi era rimasta.

Grandioso.

Gettai uno sguardo ad Axel, assottigliando gli occhi per fargli capire del grande errore che aveva commesso.

<Non osare guardarmi così> disse, assottigliando gli occhi a sua volta.

<Altrimenti che fai?> Gli chiesi alzando il mento per sfidarlo.

Stette in silenzio prima di lasciare il mio braccio e allontanarsi.

Tenni lo sguardo su di lui, anche se dentro di me ero confusa sal suo allontanamento.

<Dammi quel biglietto> ordinò.

Non potevo trattenermi dallo sgranare gli occhi, ma cercai di mascherarlo grattandomi il collo e abbassando la testa.

Accidenti mi aveva visto.

Quell'individuio aveva davvero occhi sia avanti che dietro.

Va bene, manteniamo la calma.

Piano A.

<Non s-> mi inzittii quando si avvicinò d'un tratto.

Indietreggiai e lui ne approfittò per alzare un braccio e poggiarlo al davanzale della finestra dietro di me.

<Avanti, parla, voglio proprio sapere cosa ti inventi> dise con voce roca.

Deglutii, sentendo la bocca farsi secca d'improvviso.

Respirai profondamente serrando la bocca, e tentando di reagire e parlare.

Ma non ci riuscivo.

Axel mi seguiva con lo sguardo.

Quei suoi occhi a mandarla mi guardavano dal basso, nascosti dalle monopalpebre, e mi seguivano con uno sguardo divertito.

<Io..> riuscii solo a dire prima di serrare di nuovo la bocca.

Distolsi lo sguardo e percepii Axel muoversi, forse per allontanarsi, ma abbandonai quei pensieri quando sentii una fredda mano intrufolarsi sotto la sottile maglia del mio pigiama.

Sussultai, sentendo la pelle d'oca su tutta la pelle.

M'immobilizzi, non sapendo cos'altro fare, mentre tentavo di trattere il leggero tremore che le sue mani mi provocarono.

Quei polpastrelli freddi che mi sfioravano delicatamente su e giù per la schiena.

Mentre il mio corpo, bollente per la tale tensione che percepiva, si dimenava sfuggendo a quelle mani che puntualmente riuscivano a ritornare in quei punti.

<Se fai così per delle semplice carezze, non oso immaginare in altre situazioni...> Mi prese in giro sussurrando.

Riprendendo controllo di me stessa alle sue parole, mi scostai, ma fu soltanto inutile.

La mano di Axel che era poggiata al vetro mi afferrò con una salda presa il fianco, stringendolo.

Avvampai, cercando di annaspare aria che speravo arrivasse al mio cervello.

Il mio cuore nel frattempo sembrava stesse per avere un infarto.

Batteva talmente tanto forte nella gabbia toracica da sentirmelo in gola.

Vidi il volto di Axel avvicinarsi al mio orecchio, sussurrandomi.

<Dove vuoi scappare? Eh piccolina?> Sentii il suo fiato ad ogni parola che pronunciava sul mio orecchio.

Involontariamente piegai la testa verso il mio orecchio, infastidita dal leggero soffiare delle sue parole, e mi andai piano a scontrare con la testa di Axel.

Sentii quest'ultimo sorridere compiaciuto a tale gesto, prima di avvicinare le sue labbra al mio lobo.

Sentii le bagnate e calde labbra sfiorarmi dietro l'orecchio in maniera impercettibile.

Non riuscendo più a connettere mi aggrappai con tutte le forze al vetro a cui ero poggiata.

In questo modo non sarei caduta nella tentazione di aggrapparmi alle sue spalle invece.

Sentivo il caldo che aumentava, le sue forti mani e la sua dolce bocca, non facevano che farmi sciogliere.

Si staccò improvvisamente da me.

Pose fine a quella tortura.

Mi risvegliai dal trans nel quale ero entrata, riaprendo di scatto gli occhi.

Mettendo a fuoco, vidi Axel davanti a me, ma questa volta a debita distanza, che teneva tra due dita un bigliettino.

Quel bigliettino.

D'un tratto il mio corpo divenne freddo e tutta la magia svanì.

Staccai le mani dal vetro, dove si era creata una leggera nebbiolina al calore precedente, e le infilai nelle tasche del pigiama.

Erano vuote.

Riportai gli occhi su di Axel, intento ora a leggere il bigliettino.

In due secondi collegati il tutto.

<Bastardo!> Gridai lanciandomi su di lui, tentando di toglierli il bigliettino dalle mani.

Lui alzò il braccio per evitare che riuscissi nella mia impresa, un punto a sua favore data la differenza di altezza.

<Come ti sei permesso! Brutto stronzo che non sei altro!> Continuai a gridargli contro, spingendolo dal petto per cercare di fargli perdere l'equilibrio.

Purtroppo la mia forza non era abbastanza nei confronti della sua.

Dovevo andare in palestra più spesso.

<Non so di cosa tu stia parlando> fece il finto tonto, con il braccio ancora alzato e immune alle mie docili mani su di lui.

Mi fermai, giusto il tempo di lanciargli una occhiataccia per incenerirlo, al quale lui rispose con una faccia impassibile.

Ma potevo vedere gli angoli della sua bocca sforzarsi per rimanere al loro posto.

<Solo i farabutti come te utilizzano le debolezze delle donne per i loro obiettivi> sibilai.

Vidi il suo volto scrurisi ma rimase immobile.

Ed io colsi l'occasione per prendere la rincorsa e dargli un potente calcio negli stinchi.

Si piegò leggermente, non emettendo un suono.

Colpito e affondato.

Di scatto mi alzai sulle punte e afferrai il biglietto.

Lo aprii in fretta e furia leggendo il contenuto.

"Sto venendo a prenderti" c'era scritto sopra, ma prima che potessi decifrare la calligrafia, mi venne strappato dalle mani.

Axel, in maniera scaltra, tiro fuori dalla tasca un accendino, e bruciò il biglietto.

<Dobbiamo andare via da qui> disse mentre osservava la carta ormai diventare cenere.

Misi le braccia conserte, e alzai le sopracciglia in segno di sfida.

<E dove, si può sapere?> Domandai.

<A casa> disse solamente, non staccando gli occhi da quell'ammasso di colori rossi e grigi.

<Io non vengo da nessuna parte con te> replicai puntando i piedi.

Il ragazzo mi ignorò completamente e, dopo aver gettato i resti nel cestino, si diresse verso il passeggino.

Aprì la porta spingendo fuori sua figlia, vidi due mani afferrare gli estremi del passeggino al posto di Axel.

<Andiamo> mi ordinò facendomi segno con la testa di uscire.

<Non mi hai sentita?> Chiesi ironica, riferendomi alla frase di prima.

<Certo, e ti ho ignorata. Ora porta quel tuo culo qui e usciamo da questo posto> disse muovendo un dito verso l'uscita.

<Ho detto no> ripetei questa volta poi lentamente.

Forse così mi avrebbe capito.

Axel mi osservo per un istante, prima di dare ordine alla persona che aveva in mano il passeggino di incamminarsi.

Vidi i piedini della bimba sparire.

Axel mi raggiunse a passo deciso.

<Non ci provare> lo minacciai ma anche questa volta non mi calcolò, e in men che non si dica mi afferrò un braccio facendo leva su di esso per potermi caricare sulle sue spalle.

Sentii il sangue risalire verso le tempie, in quanto ancora debole per le medicine prese in quei giorni.

<Tu....non puoi pretendere di farmi quello che vuoi!> Riuscii a gridare, prima di accasciarmi sfinita di combattere contro un muro.

Mi concentrati sui piedi di Axel, che percorrevano svelti il corridoio.

Mi issai sulla sua schiena, e guardai per, forse, l'ultima volta quel reparto, prima che le porte dell'ascensore sul quale eravamo saliti si chiusero.

Quando l'ascensore iniziò a muoversi, instintivamente mi aggrappai di più ad Axel.

Avevo sempre avuto paura degli ascensori, ma ora che ero a testa in giù sembrava che stessi per morire.

Il ragazzo si mosse, infastidito dalla mia forte presa.

Ben ti sta.

<Dio quanto sei rompicoglioni> si lamentò.

<Sei tu che mi provochi> ribattei.

<Devi sempre rispondere?> Domandò spazientito.

<Sempre> conclusi la conversazione.

La discesa non durò molto, e in poco tempo fummo al piano terra.

Axel mi fece scendere, tenendo però la sua mano sul mio braccio, in questo modo non sarei potuta scappare.

Strabuzzai gli occhi.

Il mondo che mi apparse davanti era completamente diverso.

Infermieri e pazienti andavano da una parte all'altra indaffarati.

Continuai ad osservare quella scena caotica non riuscendo a capire perché il mio piano era completamente vuoto.

Axel mi trascinava mentre io mi godevo lo spettacolo.

Il vento freddo della notte mi risvegliò dal meraviglioso mondo del lavoro.

Mi fermai di scatto, costringendo Axel a fare lo stesso.

Si voltò pronto a gridarmi contro, ma si trattenne quando vide i miei occhi grandi e incuriositi guardarsi attorno.

Tokyo vista da qui sotto era tutta un altra storia.

Tutti quei colori, la gente che cammina veloce, la-

<Hai finito?> Chiese Axel, rovinando ancora una volta il bel momento.

Gli gettai uno sguardo atroce.

Se non lo uccidevo oggi non lo uccidevo più.

<Hai finito tu?! Mi sposti da una parte all'altra come un sacco di patate. Per tua informazione sono ancora in pigiama e sto morendo di freddo> dissi stringendomi tra le braccia.

Era avvenuto tutto così in fretta che non sapevo neanche se avesse preso le mie cose che avevo in camera.

Il ragazzo sbuffò prima di togliersi la giacca e mettermela sulle spalle, rimanendo con una maglietta a maniche corte.

Non dissi niente, non me la sentivo di ringraziarlo, anche se gli rivolsi un leggero sguardo di ringraziamento.

Riprendemmo a camminare questa volta l'uno accanto all'altra.

Lo seguii fino al parcheggio sotterraneo dell'ospedale.

Si avvicinò ad un'auto blu, e bussò al finestrino.

Lo sportello si aprì e ne uscì un ragazzo.

M'irrigidii riconoscendolo.

Leo.

Lui guardò Axel e poi mi rivolse un leggero sguardo, che subito abbassò stringendo le spalle imbarazzato.

Rimasi in silenzio non sapendo cosa dirgli.

Lo avevo accusato di aver commesso l'omicidio dei miei due fratelli, e sinceramente ancora non avevo avuto la prova contraria.

<Vogliamo aspettare fino a domani mattina?> Gridò Axel al posto del guidatore.

Scossi la testa, ormai avevo perso le speranze.

Oggi era più nervoso del solito.

Salii sul sedile posteriore mentre Leo si accomodò al lato del passeggero.

Indossai la cintura e notai il seggiolone con la piccola dentro.

Dormiva ancora beatamente, ed io non la disturbai, guardando fuori dal finestrino.

Il viaggio non durò tanto, anche perché Axel corse come un matto, ed io feci un impresa per non essere sballottata da una parte all'altra dell'auto.

Di sottofondo ci accompagnò una delle canzoni rap anni 2000 che piacevano ad Axel.

Mi stiracchiai, sentendo i muscoli del corpo dolere.

Guardai Arianna, ma trovai Axel intento a slacciarla dal seggiolone e prenderla in braccio.

Non mi degnò di uno sguardo e richiuse di colpo la portiera, quasi in contemporanea con la mia, che si aprì.

Mi voltai verso Leo, che mi faceva segno con il braccio di uscire.

Gli sorrisi lievemente per ringraziarlo del gesto e feci come richiesto.

Mi guardai attorno, notando la casa che mi aveva ospitato quei primi giorni del mio grande viaggio.

I miei pensieri vennero interrotti quando andai a sbattere contro un corpo.

<Mi perdoni> sentii dire dal ragazzo che si stava inchinando in segno di scuse.

Quando si rialzò potei guardare la sua faccia e riconoscere il ragazzo che si era infatuato di Lara.

<Figurati!> Gli dissi sorridendo.

Sgranò gli occhi, boccheggiando.

<Tutto bene?> Chiesi confusa da tale reazione.

Il ragazzo non fece tempo a rispondere che Axel ci fu subito accanto.

<Non perdere tempo. La mia moto dev'essere pronta per stasera> ordinò duro.

Il ragazzo annuì un paio di volte e sgattaiolò via con la coda tra le gambe.

<Dove vai stasera?> Domandai prima che potessi mordermi la lingua.

Axel alzò un sopracciglio.

<Affari miei> rispose.

Sospirai scuotendo la testa.

<Ancora mi chiedo perché continuo a parlarti> mormorai tra me e me, anche se ero sicura che anche lui mi avesse sentito.

Lo sorpassai senza aggiungere altro.

In poche falcate arrivai alla porta, e la varcai molto lentamente.

Ora quella casa di dava una strana sensazione di ansia.

Non che preferissi l'ospedale.

A proposito.

<Perché il mio reparto era vuoto?> Mi girai di scatto sui tacchi per chiedere ad Axel il mio dubbio.

Peccato che dietro di me trovai Leo.

Rimasi un attimo interdetta, mentre lui mi guardava con uno sguardo intimorito, come se avesse paura a parlarmi.

Nonostante questo mi rispose subito.

<Lo abbiamo sgomberato per la tua sicurezza>.

Mi ripresi e annuii assente, prima di rigirarmi e dirigermi nel salotto, imbarazzata.

<Iris, aspetta> gridò afferrandomi per il polso.

Guardai la sua mano, e poi lui.

Mimò le mie azioni e quasi come bruciato mi liberò dalla sua presa.

Sospirò affranto mentre io aspettavo qualsiasi cosa volesse dirmi.

<Possiamo parlare?> Domandò quasi sussurrando.

Rimasi in silenzio, pensando se avevo davvero il coraggio di potergli parlare oppure no.

A mala piena riuscivo a guardarlo in faccia.

Non so perchè, forse mi vergognavo della mia ultima scenata, oppure era il suo atteggiamento stesso che mi metteva in imbarazzo.

Fatto sta che riconoscevo anche io la necessità che provavo di risolvere la situazione.

E forse avrei potuto ricevere anche informazioni.

Ora o mai più.

<Va bene> acconsentii.

<Ma non qui> aggiunsi, non volendo nessun disturbo.

Gli feci segno di seguirmi.

Lui rimase piacevolmente sorpreso dalla mia risposta positiva, prima di annuire e seguirmi al piano di sopra.

Salimmo le scale e a metà di esse venimmo interrotti da una voce che ormai conoscevo bene.

<Dove andate?> Chiese il ragazzo moro.

<Affari miei> risposi prontamente afferrando la mano di Leo e continuando il mio cammino.

Specchio riflesso, Axel caro.

Ci lasciammo il ragazzo imbronciato e arrivammo al piano di sopra.

Mi diressi nella mia stanza e aprii la porta, lasciando la mano di Leo, facendo finta di niente.

Mi sedetti a peso morto sul letto, sentendo la stanchezza investirmi come un treno.

Leo se ne accorse.

<Se vuoi parliamo un altra volta> propose.

In risposta scossi la testa.

<No, tranquillo> risposi e dopo tanto tempo alzai lo sguardo per incrociare il suo.

Ci guardammo in silenzio.

Nessuno sapeva come iniziare la conversazione, ed io non sapevo come chiedergli scusa.

Nonostante questo, feci il primo passo, non riuscendo più a sostenere il peso di tale tensione.

<Scusa per l'ultima volta. Io ecco, non so di chi fidarmi> ammisi con le guance rosse.

Lui, poggiato allo porta chiusa, mi guardo comprensivo, annuendo.

<Non ti devi scusare, é comprensibile> disse prima di far ricadere di nuovo la stanza nel silenzio più totale.

Beh il primo passo lo avevo fatto, ora toccava a lui.

<Non sono stato io Iris> disse d'improvviso.

Io rimasi in silenzio, aspettando un suo continuo.

<Quella sera andai da quel ragazzo, ma il video non é da tutte le angolazioni. Dietro di me ci fu qualcuno che sparò> raccontò.

<Lo hai visto?> Chiesi, nella speranza di trovare il colpevole e mettere fine a questa storia.

Avere la mia vendetta era il mio obiettivo principale, ma a dirla tutta non penso che questa storia avrà una fine tanto vicina.

<No, era troppo buio, e la persona fu molto scaltra> ammise abbassando gli occhi dispiaciuto.

Annuii, almeno aveva confessato.

Eppure questa storia non faceva che creare buchi nell'acqua.

Doveva aiutarmi e invece ero punto e a capo.

Mi passai una mano sul viso stanca da tutto quel che girava intorno a me.

<Abbiamo dei sospetti, però> disse, e la speranza si riaccese in me.

Mi sedetti più dritta, e aprii le orecchie, metaforicamente, per ascoltare tutto quel che sapeva.

<Il video te lo ha mandato un uomo che appartiene alla famiglia dell'Argentina. Per colui che ha sparato, ancora nulla>.

<Perché?> Mi limitai da chiedere.

Leo scrollò le spalle.

<Il tuo posto da erede> rispose semplicemente.

La sua risposta sembrava troppo vaga.

<Non gli credi?> Domandai.

Leo mi guardò, l'indecisione li si lesse sul volto.

<É molto probabile che stia dicendo la verità> si limitò a dire, ed io non lo forzai, anche perché sarebbe stato inutile.

Non ci scambiammo più nessuna parola, ma percepivo che la storia non si sarebbe potuta concludere in quel modo.

<Allora io vado, sarai stanca, meglio che ti riposi> disse, infilando le mani nelle tasche e voltandosi versi la porta.

<Grazie per avermi raccontato qualcosa> gli dissi sinceramente.

<Grazie per avermi creduto> rispose.

Per alcuni potrebbero sembrare poche parole, ma non so per quale motivo, mi provocarono un magone che buttai giù.

Era riconoscente di una cosa così, piccola.

Era davvero un ragazzo dal cuore d'oro.

Lo guardai mentre aprì la porta, e una ondata di altre persone lo sovrastarono, facendolo cadere sul pavimento.

Riconobbi Lara, T, ed anche Axel dietro di loro con le braccia conserte che guardava i tre sul pavimento con sguardo divertito.

Era incredibile come in mezzo a tante persone, il mio sguardo puntava sempre su di lui.

Come una calamita.

<Quanto siete pesanti> si lamentò Leo tentando di togliere i due corpi da sopra di sé.

Lara si fermò, prima di aprire la bocca e tirare la testa indietro, come se stesse quasi per-

<Achò>.

Starnutire.

In faccia a Leo.

Tutto si fermò.

<Scusa> disse Lara mentre si teneva la tempia,  probabilmente ancora malata.

Non mi trattenni e scoppiai a ridere nel vedere la faccia schifata di Leo.

Tutti mi guardarono, ma io continuai con le mie risate.

Tutti seguirono a ruota, chi più e chi meno.

Forse non è così brutto essere tornata.




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