Epilogo: una famiglia. (pt.1)

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Quattro anni dopo.

"Micheal! Quante volte devo dirti che non puoi andare in acqua senza braccioli?!"
Lo rimproverai, alzandomi dalla calda sabbia per raggiungerlo, in riva al mare.
Quella piccola peste era un vero uragano.
"P-papà?" domandò, con quella tenera vocina che mi faceva sciogliere il cuore.

"Eccomi!" gridò Caleb, uscendo dal giardino di casa con in braccio la piccola Melanie. Quando avevamo saputo il sesso della bambina non avevamo avuto esitazioni per la scelta del nome.
Aveva appena otto mesi, ma era già identica al padre. Ogni volta che la guardavo, restavo ipnotizzata da quegli occhioni blu, profondi come l'oceano.

Caleb ci raggiunse sulla spiaggia, con addosso soltanto un costume blu.
Dopo anni, non mi ero ancora abituata alla vista paradisiaca che il suo corpo mi regalava ogni singolo giorno.

"Amore" sussurrò, sfiorandomi le labbra.
"Dormito bene?" gli domandai dolcemente, afferrando la bambina dalle sue braccia.
"Divinamente" ammiccò, facendo riferimento alle piacevoli attività che avevamo svolto la notte precedente, sul meraviglioso letto vista mare.
Era sempre il solito pervertito.

"Cal" lo riproverai, mentre le mie guance si imporporavano.
"Che c'è? Sei tu che hai proposto di fare il terzo!" scoppiò a ridere, ed io mi lasciai trascinare dal suono armonioso della sua risata.

"Papà, me lo g-gonfi?" Si intromise Michael, indicando il suo materassino gonfiabile a forma di aereo.
"Non ne avrai bisogno, piccolo" replicò Cal, scompigliandogli i capelli castani.
"P-Perché?" chiese il bambino, con una punta di delusione. Era così tenero, quando assottigliava gli occhietti azzurri, così simili ai miei.

"Perché ci sono io!" nel giro di un attimo, Caleb afferrò Michael, e lo posizionò sulle sue spalle. Ridendo come un pazzo, il mio diavoletto allacciò le braccia al collo del padre e si lasciò trascinare in acqua.

"Ci avete schizzate tutte!" ridacchiai, osservando la mia pelle e il vestitino della piccola bagnati.
"Scusateci principesse" urlò Cal, continuando a sguazzare nell'acqua con Michael sulle spalle, che fingeva di pilotare un aeroplano. Gli piaceva sognare ad occhi aperti ed in questo mi somigliava molto.

Stesi un telo sulla sabbia bianca dell'Avana e mi sedetti su di esso, con in braccio Melanie che sorrideva in continuazione con la sua boccuccia rosata. Era così bella, da sembrare una bambola.

"Ti amo, sai?" le dissi, afferrando le sue piccole manine. Loro erano il mio tutto.
Non potevo desiderare di meglio.
Ero diventata madre di due bambini, come avevo sempre sognato, e avevo accanto l'uomo che amavo alla follia.
Cos'altro potevo volere?

Osservai il mare, osservai mio figlio giocare felice con il suo papà, ed osservai il sorriso luminoso del piccolo angelo che stringevo tra le braccia.
Mio padre aveva ragione: su quell'isola, io avevo trovato la pace eterna, la libertà.

Estrassi dalla borsa la macchina fotografica e scattai delle foto alla mia splendida famiglia in una tipica giornata di sole e mare. Dopo svariati corsi e studi più approfonditi ero diventata una fotografa di professione, richiesta per numerose collaborazioni.

Caleb, invece, aveva finalmente realizzato il suo sogno di diventare medico, e con passione e dedizione curava ormai un gran numero di pazienti.
Senza contare il fatto che le sue notevoli conoscenze, erano state di grande utilità per garantire la perfetta salute dei bambini.

Mentre con il padre di Caleb, e Jacob, non avevamo più avuto a che fare, Chloe e Bret, come da promessa, erano venuti a trovarci con la loro bambina di un anno, Dora, ancora felicemente innamorati.

Anche la madre di Caleb, aveva viaggiato fino a Cuba per poterci riabbracciare, e noi eravamo stati felici di accoglierla, con due nuovi arrivati per mano.

Dopo qualche minuto passato all'insegna del divertimento, gli uomini di casa uscirono dall'acqua con i respiri affannati ed in men che non si dica si precipitarono al nostro fianco, ancora del tutto bagnati.
"Fate piano, si è addormentata" Cal, annuì, e lentamente afferrò la piccola per riportarla a casa, nella sua culla rosa, lì dove poteva dormire tranquilla.
Michael sbuffò.

"Uffa, ma Melanie dorme sempre! Non gioca mai con me" si lamentò, con il viso imbronciato. Le mie labbra si contrassero in un sorriso spontaneo.
"Tesoro, non è pronta. È ancora troppo piccola. Vedrai che tra qualche mese sarà contentissima di giocare con te" gli accarezzai una guancia dolcemente, facendo rilassare all'istante i suoi lineamenti.

"Forza, andiamo. Non vorrai mica perderti il tuo cartone preferito?" Lo presi in braccio, sollevandolo in aria, mentre scuoteva la testa divertito, e tornai in casa.

La nostra abitazione si trovava esattamente difronte al mare. Non dovevamo far altro che aprire il cancello del giardino per ritrovarci davanti la meravigliosa spiaggia. Era una casa splendida, grande e luminosa, ma soprattutto con una vista mozzafiato.

Michael corse nella sua cameretta, per accendere la tv e godersi il suo cartone animato, lasciando cadere l'acqua di mare su tutto il pavimento.
Alzai gli occhi al cielo e facendo finta di niente, raggiunsi Caleb in camera da letto.

"Dorme come un ghiro. Deve aver preso dalla mamma" esordì, sentendomi arrivare.
"Sicuramente" confermai, con il sorriso stampato sulle labbra.

"Caleb" lo chiamai, con lo sguardo serio.
"Devo dirti una cosa" i suoi lineamenti si irrigidirono.
"È successo qualcosa di grave?" si avvicinò, con fare premuroso. Era sempre così protettivo nei miei confronti.
"No, Cal. Sta tranquillo" lo rassicurai, facendo sì che i suoi muscoli si rilassassero.

"Riguarda la proposta di cui parlavamo prima" strinsi un labbro tra i denti
"Credo proprio che il mio utero l'abbia accettata" confessai tutto d'un fiato.
Per qualche secondo rimase immobile.
"S-sei incinta?" Annuii, con il cuore che pompava nel petto. Ero incinta di tre settimane ma lo avevo scoperto soltanto da poche ore.

"Oh cazzo" per un attimo crebbi che ne fosse rimasto sorpreso negativamente.
Poi però, senza che potessi avere anche sol il tempo per accorgermene, le sue braccia robuste si fiondarono sul mio corpo gravido. Mi strinse con forza, per poi sollevarmi da terra e farmi fare un giro in aria.

"Saremo genitori, per la terza volta, Cal"
realizzai, trattenendo lacrime di gioia.
Le sue labbra si impossessarono delle mie ed io lasciai che mi baciasse con tutto l'amore che soltanto lui poteva darmi.
"È meraviglioso, amore mio. Meraviglioso come te" sorrisi ancora, facendo scontrare di nuovo le nostre bocche.

"Sai cosa farò adesso, vero?" mi lanciò un'occhiata di intesa, concedendomi di perdermi ancora nei suoi occhi oceanici.
"Leggerai la lettera" sussurrò emozionato.
Come se quel pezzo di carta, scritto per il mio compleanno l'anno dopo l'arrivo a Cuba, riportasse in vita ricordi e sentimenti, anche soltanto nel nominarlo.

"Esattamente" con la vista ormai appannata dal pianto, mi avvicinai al comodino ed estrassi da esso la lettera che mi aveva segnata per sempre.

Ero pronta a versare fiumi di lacrime, ancora una volta.

Ero pronta ad annegare in tutto l'amore che mi regalava in quelle righe d'inchiostro.

Ero pronta a sentirmi viva.
Pronta ad essere libera.
Perché semplicemente la libertà, per me,
portava il suo nome: Caleb Moore.

La tempesta che mi ha travolto.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora