78. La fine di tutto.

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Caleb's pov.
Venticinque minuti prima.

"Bret, dimmi che succede" andai al punto, allontanandomi dal bar. L'idea di lasciare Kylie sola con quell'uomo non mi entusiasmava, ma infondo la loro era una questione che avrebbero dovuto chiarire privatamente.

"Sono all'ufficio di tuo padre. Si sta muovendo qualcosa" disse, mantenendo la voce bassa.
"Che significa? Di che cosa si tratta?" domandai, ansioso di sapere.
"Non lo so, non sono riuscito a capire, ma ci sono persone che entrano ed escono dall'ufficio di Patrick, chiamate in arrivo ogni trenta secondi!" emisi un sospiro. "Cazzo! Se mi sta tenendo all'oscuro di tutto vuol dire che sa di me e Kylie" strinsi i capelli in un pugno. "E ha in mentre qualcosa di serio" aggiunse Bret.

"Devo andare adesso, o inizieranno a chiedersi cosa ci faccio appostato qui da mezz'ora" sussurrò, in modo da non essere sentito. "Ok, fammi sapere se scopri qualcos'altro" terminai la chiamata e decisi di tornare al bar, per assicurarmi che tutto procedesse senza problemi; ma prima che potessi anche solo accennare a muovermi, il cellulare iniziò nuovamente a squillare.

Stavolta il nome che illuminava il display era quello di mio padre. Che stava succedendo?
"Dimmi" esordii, con tono vago. Avevo un brutto presentimento.

"Dimmi? Sul serio Caleb? Sei sparito da giorni!" la sua voce gracchiante mi oltrepassò le orecchie con arroganza. "Ho avuto da fare" risposi, cercando di risultare il più calmo possibile, nonostante, in realtà, stessi morendo dentro. "Che genere di cose? Sentiamo" quel suo modo di provocarmi era estremamente raro per un tipo che, come lui, perdeva le staffe solo in casi eccezionali. Doveva essere avvenuto qualcosa di molto grave, e non era difficile capire di cosa si trattasse.

"La mia vita privata non ti riguarda" replicai a denti stretti, ripensando all'uomo che avevo ucciso poche ore prima. "So dove sei e so con chi sei. Credevo che avessi imparato che queste tue risposte evasive non funzionano con me" ringhiò. "Tu non sei il figlio che ho cresciuto" mi accusò, sorprendendomi non poco. "Mio figlio non avrebbe mai rinunciato alla famiglia per una donna!" Sibilò, pronunciando quell'ultima parola quasi con disgusto.

Merda! Pensai a cosa rispondere, a cosa dire, ma le parole rimasero incastrate in gola. Sapevo che prima o poi quel momento sarebbe arrivato, ma viverlo era un'altra cosa.
"Hai lasciato che una ragazzina mandasse all'aria tutto quello per cui hai lottato in questi mesi. Te ne rendi conto? Cosa penserebbe Melanie?"

Melanie. Gli bastava sentire il suo nome, ed il mio cervello andava in tilt.
"Penserebbe che sei solo un vigliacco"

Le sue affermazioni mi colpirono come uno schiaffo in pieno viso.
"Se davvero credi che questo è ciò che avrebbe detto, allora non la conoscevi affatto. Lei voleva soltanto che io fossi felice, e purtroppo l'ho capito tardi. La vendetta fa in modo che le ferite continuino a sanguinare. L'amore le rimargina. Io ho scelto di guarire, papà. Per una volta nella vita, ho scelto di guardare avanti e non indietro" riuscii a dire, carico di emozioni.

"Quella ragazzina di cui parli con disprezzo è il mio futuro, e non la lascerò andare per soddisfare un passato che mi ha tolto tutto" per qualche istante nessuno dei due parlò. Poi una risata isterica riempì prepotentemente il silenzio.
"Ti aspetti che mi commuova davanti al tuo sdolcinato e patetico discorso? Ti aspetti che io dica addio alla mia vendetta, alla mia rinascita per la tua stupida cotta adolescenziale?" Scossi la testa, con disappunto e delusione.
"Sai, non sei diverso da tua madre. Scappate dai problemi che non siete in grado di affrontare" serrai la mascella. "Non nominarla" tuonai. Mia madre non aveva nessuna colpa.

"Credevo che un giorno tu avresti potuto regnare su tutto ciò che adesso è mio, ma mi sbagliavo. Mi hai tradito. Hai tradito tuo padre per una ragazza che ha lo stesso sangue dell'uomo che ci ha distrutti" sputò. Non era in sé ed io avevo una paura fottuta di ciò che avrebbe potuto fare una volta terminata quella telefonata. Quella vendetta era diventata ogni giorno di più un'ossessione malata, che metteva seriamente in pericolo la sua salute mentale.

"Se le farai del male, potrai anche dire addio all'unico figlio che ti è rimasto, perché giuro che non mi rivedresti più per nessuna ragione al mondo"
I singhiozzi che percepii l'attimo dopo mi spiazzarono.
"È troppo tardi ormai" sbarrai gli occhi. "Presto sarà tutto finito" sussurrò, facendomi rabbrividire.
"Ed allora mi ringrazierai" il respiro si fece affannato.
"Papà di che stai parlando?"
la voce mi tremava.

"È tutto pronto, Caleb e tu hai la fortuna di essere sul luogo dell'evento" il cuore nel mio petto cessò di battere.
"Non scordarlo mai: tutto quello che ho fatto, l'ho fatto per noi.
Solo per noi, figlio mio. Solo per noi"

Non sentii più niente, solo la mia felicità che si sgretolava in tanti piccoli pezzi.
Corsi più veloce che potevo, e come una furia mi precipitai al bar dove si erano seduti lei ed il padre.

Non c'erano da nessuna parte.
Erano come spariti nel nulla. Centinaia di teorie affollavano la mia mente e tutte, nessuna esclusa, avevano risvolti estremamente tragici. Tornai al furgone nero, ancora parcheggiato qualche mentre più in là, nella speranza di scoprire dove fossero finiti padre e figlia. L'autista era ancora lì, mezzo addormentato, sul sedile del guidatore. Aprii lo sportello, facendolo trasalire.

"Dove sono? Il capo e la mia ragazza dove cazzo sono?" Si guardò intorno.
"Il capo ha voluto proseguire con la propria auto fino alla sua abitazione. Ha ordinato di essere lasciato solo con sua figlia, e di assicurarci che lei non..."
estrassi la mia pistola dal retro dei pantaloni e gliela puntai contro.

"Dimmi dove si trova quella casa ed esci da questo furgone" gli intimai, facendolo sbiancare.
"Questo è l'indirizzo" farfugliò, inserendo la destinazione sul navigatore.
"Ora levati dal cazzo" senza obbiettare, uscì dal veicolo, lasciando che me ne appropriassi. Misi in moto e guidai come un pazzo per le strade di Madison.

I clacson suonavano ripetutamente, i passanti imprecavano sbuffando, gli automobilisti mi dedicavano i peggiori insulti dai finestrini abbassati delle loro costose macchine, ma a me sembrava di non sentire più niente. Tutto ciò che riuscivo a percepire era il battito accelerato del mio cuore che pareva volermi balzare fuori dal petto.

Dieci minuti dopo, il navigatore mi informò di essere arrivato. C'era un'auto grigia parcheggiata lì davanti, probabilmente apparteneva al padre di Kylie. Scesi dal furgone, non curandomi di averlo abbandonato in mezzo alla strada, e con le gambe che mi tremavano, corsi fino all'entrata della villa che mi si era parata davanti. L'atmosfera calma e serena, non faceva altro che incrementare il mio senso di ansietà. La porta era aperta, così entrai rapidamente senza alcuna difficoltà.

"Kylie!" gridai, facendomi strada tra i corridoi di quell'immensa casa. Trovarla non sarebbe stata un'impresa facile.
"Kylie dove sei?" Chiesi in preda al panico. Tutte le stanze che avevo perlustrato erano vuote, maledizione.

"Ky, esci subito da questa casa!" la supplicai, seppur non sapessi se lei potesse sentirmi. Quasi piansi dalla disperazione.
Urlai un'ultima volta, con tutto il fiato che avevo in gola:
"Ky, cazzo, esci da questa casa!"

Fu il mio ultimo avvertimento.
Non ebbi il tempo di realizzare:
la casa esplose, e noi con lei.

La tempesta che mi ha travolto.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora