46. Incursione pericolosa.

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Martedì a scuola, non lo vidi neanche per scherzo e la preoccupazione iniziò a prendersi gioco di me.
Speravo con tutta me stessa che non si fosse cacciato in qualche guaio.

Continuavo a ripetere che ciò che faceva per vivere non mi interessava, che contava soltanto ciò che sentivo quando stavo con lui, ma in realtà non mi piaceva, non mi piaceva affatto.
Non avevo neanche idea di tutti i pericoli che correva in quel circolo vizioso di droga e chissà quant'altro.

"Kylie, che ti prende?"
Domandò Chloe al mio fianco.
"Niente ero solo soprappensiero"
corrugò la fronte.
"D'accordo, vedi di rilassarti un po'. Io vado, ho la lezione di teatro" annuì e rimasi qualche secondo ad osservarla incamminarsi verso l'atrio della scuola dove Bret l'aspettava con un sorrisone sulle labbra.

Avrei voluto chiedergli dove fosse Caleb ma non volevo metterlo ancora in difficoltà.

Decisi di tornare a casa, ma non feci in tempo a voltarmi che vidi la sua figura ansiosa sfrecciarmi a fianco.
"Bret, che succede?" Rallentò la sua marcia.

"Devo andare" lo guardai confusa.
"È qualcosa di grave?" Scosse la testa.
"È qualcosa di importante" sospirai. "Vengo con te" asserii, facendo alzare i suoi occhi al cielo.

"Kylie ti prego non è il momento"
Salì nell'auto parcheggiata di fronte al cortile e fu allora che io feci un qualcosa che mi portò a dubitare forse per la prima volta veramente, della mia sanità mentale.

Aprii lo sportello e presi posto al sedile al suo fianco.

"Che stai facendo?" Chiese, esasperato passandosi una mano tra i capelli.
"Fa come se non ci fossi" pressò le labbra tra loro per poi mettere in moto.

"Mi metterai in casini seri, molto seri" esultai mentalmente.
"Ti voglio bene, davvero" mi lanciò un'occhiata torva con la coda dell'occhio ma scorsi sulle sue labbra l'accenno di un sorriso.

"Gioisci quanto vuoi tanto non verrai con me una volta scesi dalla macchina ok?" Sbuffai.
"Io voglio solo sapere che cosa succede"

"Ed io non voglio metterti in pericolo, o forse non hai ancora capito con che gente abbiamo a che fare?"
Affermò con tono duro.
"Lo so, ed è per questo che mi preoccupo, non voglio che vi accada qualcosa"

"E venire con me a cosa dovrebbe servire esattamente?" Si massaggiò la fronte.
"Ad assicurarmi che tutti stiano bene" risposi, quasi come fosse un qualcosa di normale.

"Se con tutti intendi Caleb, lui sta bene"
il battito del mio cuore rallentò.
"E qual'è il problema?"

Mi appiattii contro il sedile quando in un rettilineo il suo piede premette con forza sull'acceleratore.
Allora Caleb non era l'unico.

"Lui sta bene, l'altro un po' peggio"
lo fissai con aria interrogativa.
"L'altro?" Strinse le mani sul volante. "Quello che ha fatto la soffiata alla polizia, per il locale vicino scuola, dicono sia ridotto molto male" deglutii a fatica.

"Ed è stato Caleb?"
Parcheggiò l'auto di fronte a quello che mi accorsi era il loro palazzo.
"Non riescono a calmarlo" scese dall'auto e lo seguii.

"Adesso per favore, va di sopra, all'appartamento e non muoverti per nessun motivo" annuii.
"Non avrei dovuto portarti ma mi sono fatto convincere dal tuo finto visino angelico, quindi ti supplico, non fare cazzate, se Caleb sa che sei qui mi ammazza." mi lanciò un ultimo sguardo prima di lasciarmi sola davanti alla porta dell'appartamento.

Non riuscivo a restare calma, nella mia testa continuavano a combattere centinaia di pensieri ed io non avevo la più pallida idea di quel che stavo facendo.

Mi sedetti su un gradino ad aspettare qualcosa di cui non conoscevo neanche il nome, picchiettando il piede sulla superficie delle scale.

Sobbalzai quando le mie orecchie furono invase dal rimbombo di quello che sembrava uno sparo.

La gola mi si seccò e le gambe scattarono in piedi.

Scesi le scale rischiando più volte di cadere.

Da dove diavolo era uscito fuori quel rumore?

Mi guardai intorno, almeno fin quando non scorsi una piccola rampa in un angolo dell'atrio che percorsi senza esitare troppo.
Doveva trattarsi di una sorta di scantinato.

Una porta. Una porta con una piccola sezione in vetro.

Abbastanza grande da consentirmi di vedere il viso tumefatto di un ragazzo che riconobbi come lo stesso che era sbucato fuori alla piazzola dopo il nostro bacio.

"Devo spiegarti un'altra volta che non uscirai vivo da qui finché non mi dici quel nome?" Ringhiò una voce. Lui.
Il ragazzo scosse la testa.
"Non lo so" rispose sfacciato abbandonandosi al suolo.

"Caleb forse non è poi così importante" lo sentii sbuffare.
"Tra di noi c'è una talpa. Non ti sembra abbastanza importante?"
Replicò nervosamente.
"Come fai ad esserne sicuro?"
Farfugliò il malconcio.
"Sanno troppe informazioni"

Caleb entrò nel mio campo visivo.
La mascella serrata e i muscoli tesi.
"Non ti dirò un cazzo. Puoi ammazzarmi se vuoi, ma credo che due morti sulla coscienza siano troppi"

Che significava?

Non sentii più niente se non un estenuante silenzio, il silenzio prima della tempesta.

"Caleb! Fermo!"
Come una furia, come un leone con la sua preda, si scagliò su di lui.

Bret ed altri due ragazzi che ancora non avevo notato si fiondarono sulle sue braccia nel tentativo di fermarlo, ma niente. Fallirono, tutti.

"Dio, lo ammazzerai!"
Sbraitò qualcuno.
Quella sua rabbia mi spezzò il fiato.

Presi un respiro profondo. Non potevo starmene a guardare come fosse un film.

Spalancai la porta, incredibilmente aperta, attirando l'attenzione di tutti meno che la sua.

"Cal"

Le sue mani si fermarono, i pugni cessarono di scontrarsi contro il corpo del ragazzo, e i suoi occhi puntarono i miei. Mi avvicinai sotto lo sguardo incredulo di tutti.

"Che ci fai qui?" Tuonò, facendo tremare persino il pavimento.
"I-io er..." Mi interruppi quando il suo sguardo divenne troppo minaccioso per continuare.

Sapevo che si sarebbe arrabbiato, quanto non lo sapevo, ma lo avrei scoperto presto.

Molto presto.

La tempesta che mi ha travolto.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora