69. La più grande delle bugie.

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Ky? Ho bisogno di te Ky.
Dove sei? Dove sei, angelo mio?
Aiutami, ti prego.
Aiutami a portarmi da te.

La sua voce esplose nella mia testa, come la più potente delle bombe.
Quelle parole, supplicate in un sussurro, mi riportarono in vita.
Ma il mio cuore era gelido, e lui non poteva essere lì con me.

Lottai con tutte le forze che possedevo per aprire gli occhi.
Le palpebre mi facevano quasi male.
Ero stordita, completamente stordita da quel dolore acuto che mi martellava la testa. Cercai intimorita di muovere le mani, ma i polsi iniziarono a scontrarsi contro qualcosa di ruvido.

Abbassai lo sguardo, e con quel poco di lucidità che possedevo, mi accorsi di come questi fossero strettamente legati ai braccioli di una sedia, tramite delle corde.

La realtà mi piovve addosso all'improvviso, facendomi gelare il sangue, come un temporale turbolento in piena estate. Cercai invano di regolarizzare il mio respiro.

Qualcuno mi aveva rapita. Qualcuno mi aveva rapita. E no, non era l'ennesimo film.

Secondo dopo secondo, le immagini apparivano sempre più nitide nella mia testa, ma non ero davvero così sicura di voler vedere ciò che i miei occhi mi mostravano.

Mi guardai intorno titubante, il mio corpo era scosso da brividi di terrore.
Non avevo idea di dove mi trovassi. Riuscivo soltanto a distinguere le pareti in legno di quella stanza buia, illuminata a sento dalla luce fioca di una vecchia lampadina.

Inspirai profondamente, cercando di rallentare i battiti del cuore che sembrava volermi uscire fuori dal petto.

"Kylie Bennet"
Ebbi un sussulto. Qualcuno aveva pronunciato il mio nome, quasi come fosse un peccato.
Sapeva chi ero, forse avevo qualche possibilità di uscire viva da tutta quella storia. Sentii il rumore dei passi dell'uomo farsi sempre più vicini.

Calma, Kylie. Calmati e andrà tutto bene.
Continuavo a ripetermi.
Eppure tutto mi diceva che sarebbe accaduto esattamente il contrario.

Chiusi gli occhi per qualche istante, e quando li riaprii mi ritrovai di fonte una figura massiccia, che la mia mente collegò immediatamente ad una serie di eventi distinti. Aron.

Il ragazzo che poco tempo prima mi si era avvicinato minaccioso fuori da quel locale, dove ero stata salvata da Jacob, lo stesso ragazzo che era stato quasi ucciso da Caleb e che aveva interrotto il nostro primo bacio.

Le sue labbra si incurvarono, formando sul suo volto un ghigno funesto che sembrò paralizzarmi.
La paura mi attanagliò, stringendomi in una morsa da cui non avevo scampo.

"Ti ricordi di me, dolcezza?"
Trattenni il respiro. Si aspettava davvero che avrei iniziato una conversazione piacevole con lui?
"Certo che ti ricordi" si rispose, decifrando il mio sguardo nel silenzio.

"P-perché sono q-qui?" balbettai, nel mancato tentativo di non lasciar trapelare troppo il terrore che quella situazione mi incuteva.
"Non fare domande, ragazzina" replicò, con tono duro.
"Ora che ti sei svegliata, è il momento di iniziare a lavorare" assottigliai lo sguardo.
Che voleva dire?

La porta della stanza si aprii, ed un altro ragazzo fece il suo ingresso.
Doveva avere poco meno di trent'anni.
Capelli neri come la pece, ed occhi altrettanto bui.
Somigliava dannatamente all'uomo che mi stava di fronte, di età più avanzata rispetto a quest'ultimo.
Ero quasi sicura che fossero fratelli.

Avanzò nella mia direzione, con lo stesso luccichio negli occhi che avevo intravisto in Aron.
"Finalmente ho il piacere di conoscere la stronzetta di Caleb Moore"
esordì, lasciando vagare il suo sguardo perverso su tutto il mio corpo. Dio mio.

Solo allora mi accorsi di cosa stesse stringendo nella mano destra.
Deglutii faticosamente.
Aveva intenzione di usare quella pistola?

"Hai fatto quello che dovevi fare, Bryan?" chiese Aron, spostando l'attenzione su altro.
"Sì, fratello. Non saranno in grado di rintracciare il luogo da cui proviene la chiamata" confermò.
"Bene"

"C-che avete intenzione di fare?" domandai, con tutto il coraggio che ero riuscita a racimolare.
"Giustizia." scossi la testa, confusa più che mai.
"Per tua sfortuna, due gran figli di puttana ti hanno coinvolta in tutta questa merda" Affermò il maggiore.

"La vita è ingiusta, angelo" alzai lo sguardo. Che intendeva dire?
"Non so di cosa tu stia parlando"
sbuffò una risata. "
Tuo padre ti ha insegnato a dire cazzate quasi meglio di quanto sappia fare lui"

Mio padre? Come faceva a conoscere mio padre?
"Che c'entra con tutto questo?"
si lanciarono un'occhiata divertita.
"Sei più stupida di quanto pensassi" aggrottai la fronte.
"Per tutto questo tempo non hai saputo guardare oltre le menzogne di quel viscido" schiusi le labbra per lo stupore.

"Tuo padre è il capo di una delle due organizzazioni criminali più potenti di Chicago"
per qualche istante, smisi di respirare.

Quel castello di carte, la mia idea di figura paterna, già di per sé fragile, crollò, spazzata via da una consapevolezza che da tempo si era insediata nella mia mente, ma che il mio cuore rifiutava di accettare.

Sapevo che fosse immischiato in giri poco raccomandabili, ma certo non mi sarei mai aspettata che fosse il capo di una così grande gang clandestina.
Per tutti quegli anni, il nostro rapporto era ruotato attorno ad una bugia, la più grande che mi avessero mai raccontato.

"Lui è Gloomy. L'uomo che due anni fa ha incaricato noi ed altri uomini di sparare alla macchina di Caleb, affinché uccidessimo almeno uno dei due fratelli" quelle parole affondarono come una lama affilata nel mio cuore, squarciandolo una volta per tutte.

Gli ha rovinato la vita, per sempre.
Mio padre ha ucciso una ragazza di sedici anni, distruggendo l'esistenza della persona che amo di più al mondo.

Centinaia di domande presero a vorticare nella mia testa, due in particolare:
Caleb sapeva chi ero? Sapeva che ero la figlia dell'uomo che aveva strappato la vita a sua sorella? E mia madre? Lo sapeva anche lei? Dannazione ero sul punto di svenire.

"La piccola non sapeva proprio niente" sogghignò il ragazzo che avevo scoperto chiamarsi Bryan.
Aveva davvero il coraggio di ridere, mentre il mio cuore si frantumava in mille pezzi?

"Lavoravo per lui, e un giorno quel verme, sospettando che fossi una talpa, ha quasi ucciso mia moglie" continuò Aron.
Mi morsi l'interno guancia, per non scoppiare in un pianto disperato.
Per mesi avevo condiviso la casa con un mostro.
"E adesso tutto ciò che voglio è che lui paghi per ciò che ha fatto" ringhiò.

"E pagherà anche quel pezzo di merda del tuo fidanzato" aggiunse, facendomi rabbrividire ulteriormente.
"Lui non ha fatto niente!" gridai, con le poche forze che possedevo.
Caleb era l'unica persona che amavo, tutto quello che avevo, e non avrei lasciato che qualcuno gli facesse del male. Potevo solo immaginare ciò che stava provando in quel momento.
Tutto ciò che desideravo era poter intrecciare le sue dita con le mie, urlargli il mio amore.

"Ha indotto Gloomy a pensare che lo stessi tradendo, mettendo in pericolo la vita di chi amo!"
sbraitò, facendomi trasalire.
"Ha sempre pensato di essere il più furbo, come suo padre, ma adesso capirà che madornale errore ha commesso nel sottovalutarmi" scossi la testa impaurita.
"Sei pazzo"

Rise. "Può darsi, tu spera solo che abbia il coraggio di sparare dritto al cuore di tuo padre, perché è esattamente quello che dovrà fare"

La tempesta che mi ha travolto.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora