28. Dannato portafoglio.

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Le lezioni terminarono più in fretta di quanto mi aspettassi.
Anche quel terribile lunedì era finalmente terminato, ed insieme al resto della mandria varcavo l'uscita della scuola.

Iniziava a frescheggiare, forse per via dell'autunno che ricordava a tutti noi di essere ormai giunto.
Ero sola, Chloe era stata costretta a rimanere a scuola per via del corso di teatro, e fu in quel momento che adocchiai Caleb nei pressi della moto.

Non ero sicura del fatto che nei giorni a seguire lo avrei rivisto, dato quanto Bret mi aveva detto, e fu forse questo a spingermi ad avvicinarmi.

Evidentemente ero in vena di fare qualche figuraccia, come al solito.
Sapevo di sbagliare, almeno dopo la breve chiacchierata di quella mattina, ma non potevo farci niente: era il metallo a cui io, come una calamita, avrei voluto aggrapparmi.

Tuttavia la mia improvvisa intraprendenza divenne inutile, nel momento in cui lo vidi sfrecciarmi via davanti agli occhi. Che stupida!

Sospirai, abbassando lo sguardo sconsolata, ed allora mi accorsi di un qualcosa che giaceva sul terreno.

Mi chinai per raccoglierlo: era un portafoglio nero, e doveva essere di Caleb. Probabilmente gli era caduto nell'istante in cui era salito a bordo nella moto.

Esitai qualche attimo, prima di aprirlo. Era un qualcosa di suo, e forse farlo sarebbe stato irrispettoso nei suoi confronti. Ma d'altro canto, come facevo ad avere la certezza che gli appartenesse senza esaminarne il contenuto?

Lo aprii lentamente, come se stessi commettendo chissà quale grave crimine.
Qualche banconota ed un documento:
Caleb Moore. Era chiaro che non ci fosse ormai alcun dubbio.

Feci per richiuderlo ma qualcosa attirò la mia attenzione.

Una fotografia.

La estrassi con cautela, era una ragazza, una bellissima ragazza. Chi poteva essere? Non ne avevo idea, ma aveva i suoi stessi occhi, belli come non ne avevo mai visti. Chissà, forse si trattava di una sorella, ma per quale motivo tenere una sua foto nel portafoglio?

Lasciai perdere tutte le domande che prontamente mi avevano assalito il cervello e mi concentrai su un qualcosa di più importate.

Dovevo assolutamente restituirglielo, si trattava di un qualcosa di importante e se davvero i giorni successivi non si sarebbe presentato a scuola, dovevo darmi da fare.

Riflettei qualche istante, almeno fin quando un idea, probabilmente pazza mi attraversò la mente.

Bret mi aveva parlato di un negozio durante il pranzo, forse era lì che entrambi si trovavano.
Ok, bastava solo raggiungere l'indirizzo.

La mia coscienza continuava a ripetermi che era un'idiozia, che bastava contattarlo telefonicamente, ma per il cuore, quella era semplicemente una banale scusa per vederlo ancora.

Ne avevo la certezza, ero completamente andata. Due settimane prima, il mio povero cervellino non avrebbe mai elaborato pensieri simili.

Raggiunsi la fermata dell'autobus e salii a bordo di esso non appena mi sostò davanti. Arrivai nel quartiere di Austin dopo una ventina di minuti e solo allora mi resi conto di che grande sciocchezza stavo compiendo.

Non era per niente un bell'ambiente, anzi al contrario, mi incuteva paura. Sentivo gli occhi di tutti su di me, e per una come me, suonava davvero strano.

Afferrai il cellulare; non mi era mai piaciuto molto quell'affare, lo usavo tuttalpiù per telefonare, inviare qualche massaggio, e niente più, ma forse in quel momento poteva risultarmi utile, almeno per trovare quella dannata via che Bret aveva menzionato.

Seguii le indicazioni che la voce robotica mi forniva, fino a quando non mi ritrovai davanti ad un palazzo malandato.
Al piano terra scorsi la vetrina di un negozio; mi avvicinai.

Ma dove avevo trovato tutto quel coraggio improvviso?

Mi appostai dietro la colonna del porticato che sorreggeva la struttura totale.

Sfortunatamente, il vetro mi lasciò intravedere una visione da far ribollire il sangue.

Due ragazzi, di cui uno il mio amico, stringevano tra le mani due pistole, e sbraitavano contro un signore pressoché cinquantenne.
"Non ho più tempo per aspettare!" Le grida terrificanti del ragazzo furono abbastanza potenti da oltrepassare il vetro e non solo.
"O preferisci vedere il tuo sgabuzzino di merda andare a fuoco?" Dovevo andarmene, anzi, non sarei mai dovuta essere lì.

Feci per scappare, con le gambe tremanti, quando mi scontrai contro qualcosa, o meglio qualcuno.

Oh no.

"Che cazzo stai facendo?" Latrò incendiato dall'ira, facendo sobbalzare me, ed attirando l'attenzione dei ragazzi nel negozio.

"I-io..."
"Non fiatare" ringhiò con gli occhi socchiusi, e i denti stretti.
"Kylie? Che diavolo ci fai qui?"
Intervenne Bret, uscendo dal negozio.
Aprii la bocca per rispondere ma venni bruscamente interrotta.

"Non me ne fotte un cazzo di come e perché! È qui e non doveva esserci, porca puttana!" Sferrò un calcio contro la colonna a cui ero appoggiata.

Alzai lo sguardo, aveva gli occhi rossi d'ira, e le pupille dilatate.

In che razza di guaio mi ero cacciata?

"Devi calmarti, Caleb. La riporto a casa" non disse niente, non emise un respiro. Mi lasciò andare, troppo furioso per poter contestare.

La tempesta che mi ha travolto.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora