Capitolo 2

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Dopo quel breve dialogo in mensa con Miller, avevo trascorso le ore successive con una strana sensazione allo stomaco.

Da una parte mi chiedevo se durante il corso della settimana avrei avuto altre lezioni in comune con lui, ed ero certa che questo fosse un pensiero di molte mie compagne dato che ogni volta che vedevo un gruppetto stavano parlando di lui.

Ma dall'altra parte dovevo accettare il fatto che volesse tenerci tutte e tre alla larga, per cui non potevo che abbandonarmi al fatto che se anche avessi avuto modo di frequentare corsi in comune con lui, non avrei potuto rivolgergli la parola.

Questo non sarebbe dovuto essere un problema ma il mio cervello mi diceva che lo era perchè in fondo volevo il contrario.

Una volta terminata quella giornata, pensai che tortura fosse finita ma in realtà doveva ancora iniziare perchè quel pomeriggio a casa mia si sarebbe svolta una sessione sportiva.

Che schifo.

Dato che Donna avrebbe dovuto riprendere nella settimana successiva gli allenamenti di cheerleading voleva far soffrire anche me e Malcolm con qualche esercizio fisico.

Io non ero dell'idea di allenarmi. Ero una persona molto sfaticata. L'unica attività fisica che avrei accettato rientrava nell'essere nudi da qualche parte. Attività mai provata prima d'ora ma che speravo di provare al più presto.

Il non voler fare attività sportiva rientrava anche nel fatto che non mi interessasse più di tanto voler migliorare o tenere in forma il mio fisico perchè Madre Natura era stata più che generosa con il mio aspetto fisico e, grazie a dio, con il mio metabolismo veloce. Avevo ereditato il fisico a clessidra da mia madre. Non mi ero mai lamentata del mio corpo, mi piaceva. Anche se avrei fatto a meno della taglia super abbondante del mio seno, che l'unica cosa che mi procurava era difficoltà e isterismo nel trovare vestiti e commenti osceni della popolazione maschile, e la mia misera altezza, infatti, non raggiungevo neanche il metro e sessanta.

Proprio perchè avevo la possibilità di sfondarmi di cibo senza ingrassare più di tanto, l'intenzione di fare attività fisica la lasciavo agli altri psicopatici.

Purtroppo quel giorno ero obbligata a farlo.

Dopo le lezioni, tornammo a casa mia con la macchina di Donna. La famosa Range Rover bianca.

Ancora mi chiedevo come avesse potuto vedere la sua macchina. Aveva delle telecamere dirette sulla strada?

Era meglio non pensarci. Era meglio dimenticare tutto e fare finta che niente fosse successo. Ognuno per la propria strada.

Di solito casa mia era sempre piena di gente. Non tanto perchè si invitasse gente esterna, ma proprio perché eravamo tanti in famiglia. Non nuotavamo nell'oro, anzi, il più delle volte si faticava ad arrivare a fine mese, ma per un assurdo motivo i miei pazzi genitori avevano deciso di mettere al mondo dieci figli.

Si, esatto, dieci. Da pazzi.

Io ero stata la prima femmina dopo tre maschi. L'ordine era: Ethan e Jaime gemelli di ventiquattro anni; Dave venti anni; la star, cioè io; Gabriel sedici anni; Vivienne e Charlotte gemelle di undici anni; Connor e Tyler gemelli di otto anni e infine Ashley di tre anni.

Jaime e Ethan erano ormai all'ultimo anno di college. Dave aveva scelto un community college perciò viveva ancora con noi, e per fortuna, perché così poteva aiutarmi a badare alle cinque pesti quando i nostri genitori erano a lavoro. Gabriel, detto Gabe, era ormai grande da potersi badare da solo, inoltre era quasi sempre fuori casa o dai suoi amici o agli allenamenti di calcio.

Ogni volta si chiedeva loro perché avessero deciso di fare così tanti figli, loro rispondevano perché era bello essere in molti.

Io dicevo che fosse perché a loro piaceva scopare come conigli.

It's a ClichéWhere stories live. Discover now