1.) Sfogare le frustrazioni su uno sconosciuto al funerale del proprio ex: fatto

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La mia chioma castana era insolitamente lucente sotto la fredda luce dei led della mia camera. La delicata pelle cadaverica era fasciata da un lungo abito nero, che metteva in risalto gli occhi verdi, freddi e glaciali. Lo sguardo era tagliente e distruttivo, reso tale dal velo di sprezzante bramosia di incutere timore.
Il volto spigoloso era contratto in un'espressione priva di emozioni, eppure all'interno, avevo un travolgente tornado in procinto di distruggere tutto ciò che intralciasse il suo cammino. 

Era il medesimo vestito che avevo indosso quando lo incontrai.
Il ricordo del suo sorriso radioso, e quello dei suoi occhi ridenti, fecero raffiorare in me, un uragano di emozioni contrastanti che avevo cercato, con tutta me stessa di reprimere.

Perché è nella natura umana cercare appigli in cose che possano colmare solchi e voragini. Ma ciò che ha generato vuoti è insostituibile. Nulla può rimarginare le cicatrici, nulla è compatibile con le voragini che lacerano l'anima. L'unica logorante via che può essere intrapresa, è la struggente attesa necessaria affinché il tempo funga da cerotto, che tutto possa mutare, e che il dolore possa lentamente diradare, fino a rendere quell'enorme solco, null'altro che un graffio bruciante.

Il mio riflesso nello specchio aveva le sembianze di uno spettro privo d'anima.
Strinsi tra le mani una catenina, la catenina che mi aveva donato lui. Quella dalla quale pendeva un ciondolo a forma di pergamena.
Lui ne aveva una uguale.
Sulla mia era inciso il principio di una frase, sulla sua il termine.
Perché noi eravamo così. Il principio e il culmine di tutto.

Varcare la soglia del cimitero di città fu come saltare da un precipizio. Il mio cuore accelerò improvvisamente. Scorsi un gruppo di persone riunito attorno ad un piedistallo con al di sopra, una grande bara in legno lucido. Improvvisamente qualcosa prese a farsi largo tra le viscere martoriate del mio stomaco.

Mi avvicinai con lo sguardo basso, e quando mi ritrovai dinanzi ad essa, a quell'imponente bara, mi parve tornare indietro nel tempo, di otto anni.
Quando quel fatidico giorno, avvolta nel mio vestito nero, scrutavo la bara dal basso, cercando invano di scacciare il pensiero del corpo al suo intero. Il suo corpo. Quel giorno otto anni prima, mi resi conto di quanto il fato potesse essere crudele, di quanto fosse buio l'oblio, di quanto incutesse timore la consapevolezza della perdita prematura.

Quel giorno, otto anni prima, tutte le espressioni che mi vidi rivolte erano compassionevoli o sprezzanti.
Per quanto potesse sembrare insolito, non versai una lacrima.
Alle persone appariva strano, vedere una bambina di otto anni, al funerale di una persona a lei così cara, non versare neanche una lacrima.
Molte persone, io sapevo, mi disprezzavano perché mi ritenevano insensibile, fredda, apatica, priva di umanità. Altre mi compativano, perché credevano che io ancora non avessi metabolizzato la perdita e che il funerale a cui stavo presenziando fosse per me, surreale.
Tutti si sbagliavano. Quel giorno, non piansi a causa di una promessa che feci a me stessa. Quella promessa che ancora mantenevo.
Ciò che le persone quel giorno non compresero, era l'uragano che avevo dentro.
La rabbia, che offuscava la mia capacità di sorridere anche a chi con me era gentile o paziente.
La frustrazione, che camuffava tutto ciò che cercavo di far trapelare.
Quella mattina tutti credevano che i miei occhi glaciali luccicassero a causa del riflesso del sole che al mattino, come fosse uno scherzo del destino, scaldava i corpi di tutti i presenti. Quello stesso sole che ardeva bruciante sulla pelle di persone, i cui cuori erano freddi, ibernati da una corazza, e neanche la calda luce mattutina di un sole estivo, avrebbe potuto scioglierli.

Scossi la testa e accantonai quel distruttivo ricordo.

Guardai la bara di Jace e con mani tremanti, scostai leggermente i fiori, e tra un girasole e una rosa, legai la sua catenina, ormai privata del suo ciondolo, la sua parte di pergamena, ora la indossavo io, insieme alla mia, i due ciondoli ricongiunti, su un unico filo d'argento.

Cuore di TenebreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora