28.) La parata commemorativa (o una stronzata per seminare arcobaleni)

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"Non diremo nulla di quel che abbiamo visto" aveva sentenziato Shay intransigente, Beth era stata guidata dalla paura e spinta ad accettare, Abigail si era aggregata perché credeva che l'unione avrebbe fatto la forza, ed avevo soltanto annuito senza proferire parola.

La polizia era arrivata poco dopo e aveva ritirato il corpo, in seguito ad una chiamata anonima effettuata da Shay per segnalare rumori sospetti a scuola.

Il corpo docente aveva fissato una parata commemorativa, in onore degli studenti perduti a causa dell'assassino che vagava a piede libero per la città.

Io mi ero cinta attorno un'alta muraglia che non facesse trapelare il turbine che mi stava logorando dentro. Mi limitavo a rispondere a monosillabi quando necessario, e a consumare qualche pasto, quando lo stomaco implorava pietà e le viscere smettevano di contorcersi per la paura, ed iniziavano a farlo per la fame. Tutto ciò che ero in grado di fare era spruzzarmi una quantità sproporzionata di deodorante sopra il pigiama, e riguardare vecchi film senza riuscire a versare una lacrima o provare alcuna emozione.

Mia madre era preoccupata, ed io lo sapevo. L'unica persona con la quale riuscivo ad esternare un minimo di umanità, era mio fratello minore Alex, che ogni tanto entrava a controllare che fossi viva, e usciva sbuffando perché ancora non poteva prendere possesso della camera da letto più grande sbarazzandosi di me.

Quella mattina spalancai gli occhi, e per la prima volta dopo una settimana, riuscii a farmi una doccia e indossare vestiti puliti. Uscii di casa ingurgitando bruscamente un cornetto vuoto, e arrivai fuori scuola meccanicamente, senza controllo sui passi che compivo per raggiungere la meta, o le strade che imboccavo.

Il cortile della scuola era brulicante di persone, un numero ancora maggiore di coloro che erano consuetamente presenti durante le attività scolastiche. Lunghi tavoli rivestiti da tovaglie rosse e ricoperti di cesti e scatole per donazioni si stanziavano lungo la recinzione che delimitava il cortile. Affissi alle pareti esterne dell'edificio, vi erano dei grandi poster raffiguranti i volti degli studenti morti. Jace, Amber, Megan ed Ethan, sorridevano alla folla lugubre che presenziava all'evento.

-Josephine, che hai?- lui era lì. Nathan. Il mio migliore amico. L'unica persona che desiderassi davvero vedere in quel momento. Dopo la morte di Megan suo padre lo aveva ritirato dalla scuola per paura di perdere l'unico figlio che gli rimanesse. Il vuoto che però la mancanza di Nathan aveva lasciato, era diventato una voragine dopo la morte di Ethan.

-Nate, sei venuto!- esclamai gettandomi di capofitto tra le sue possenti braccia e inalando il suo profumo familiare. Il mio posto sicuro.
-L'ho fatto per mio padre. Questa "cosa" è anche per Megan- mi ricordò senza troppa convinzione.
-Mi sei mancato così tanto, la tua assenza si sente.- gli confessai poggiandomi al suo petto caldo.
-Mi sei mancata anche tu. Ho saputo di Ethan...- lasciò la frase sospesa a mezz'aria
-Non so davvero cosa dire.- mormorai nascondendo il volto nella sua maglia.
-Almeno questa volta non hai assistito.- tentò si smorzare la tensione, lui non sapeva che ero lì, non lo sapeva nessuno.
-Non ho neanche potuto dirgli addio.- tremò impercettibilmente, ed io presi a disegnare cerchi concentrici sulla sua schiena con le dita.
-Ce la faremo. Insieme- gli sussurrai.
-Insieme- ripetè lui.

-Josephine- la voce roca e profonda di un uomo adulto mi riscosse, e Nathan mollò istantaneamente la presa su di me.

-Buongiorno signor. Morrison- salutai nervosamente il padre di Nate voltandomi. Capii che era stato lui a chiamarmi, ancor prima di guardarlo in volto.
-Ancora con questa scocciatura del cognome? Dopo tutti questi anni?- rise lui.
-Buongiorno Tobias- mi corressi io leggermente più a mio agio.
-Che brutta cera!- non esitò a farmi notare l'uomo. Era piuttosto robusto e anziano, i capelli brizzolati e gli occhi del medesimo colore di quelli del figlio, azzurri,
con qualche striatura verdastra che richiamava il verde delle venature dell'iride, indossava un completo elegante, completamente nero, e aveva l'aria di un uomo in carriera, non di un vedovo fresco dalla perdita di sua figlia adottiva.
-Come sta la tua famiglia?- mi chiese cordialmente.
-Si tira avanti.- risposi vaga bramosa di porre fine il prima possibile alla conversazione con quell'uomo intimidatorio.
Fortuna volle che tre domande sul rendimento scolastico dopo, Nathan trascinò il suo temibile padre lontano da me.

-Va tutto bene?- sobbalzai colta di sorpresa e mi voltai a scrutare la fonte della voce. Blake Blackwell mi fissava intensamente, come fossi un libro scritto in codice e lui desiderasse decifrarmi.

-Non ne posso più di tutta questa malata finzione. Di questa stronzata per seminare arcobaleni. Non va tutto bene, camuffare il dolore, ricoprirlo di trucco per nascondere i solchi scavati dalle lacrime, non è la soluzione giusta per uscire dal baratro.- sbuffai melodrammatica incrociando le braccia al petto.
-Vuoi andare via?- domandò lui.
-Lo desidero più di ogni altra cosa. Vorrei soltanto sparire, rifugiarmi in un luogo agli altri sconosciuto e rimanere sola, lasciarmi alle spalle tutta questa merda.-
-E qual è questo luogo?- chiese già sapendo che non alludevo ad una metafora poetica.
-La mia duna.- borbottai con gli occhi persi nel vuoto.
-Che razza di posto è?- ribatté lui corrucciando il volto in un espressione perplessa.
-Soltanto un posto.- lasciai cadere
io.

-Come ci si arriva?- domandò poi lui cogliendomi di sorpresa.
-Blake non vorrai mica...- mi interruppe bruscamente.
-Dimmi come ci si arriva.- ordinò con un tono che non ammetteva obiezioni.
-È a un'ora e mezza da qui.- gli feci notare tra i sensi di colpa.
-Tu dimmi soltanto dov'è. Non mi importa quanto sia lontano, se può renderti felice, farò in modo di portartelo.- ed io sorrisi.

-Grazie.- risposi sinceramente.
-Non ringraziarmi, voglio soltanto adularti e abbandonarti il più lontano possibile da me così che non debba averti più tra i piedi.-
-Sei un idiota.-
-Ma ho la macchina.- ghignò lui.
-Sei un idiota patentato allora.-

Cuore di TenebreWhere stories live. Discover now