4.) Il cattivo ragazzo si materializza come il genio della lampada

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Erano trascorse tre settimane dalla morte che aveva stravolto la mia vita, e la notizia aveva fatto il giro della città. Manhattan era una città parlante.

La scuola aveva ripreso le attività in modalità "regolare".
Tre pattuglie di polizia sarebbero state poste dinanzi agli ingressi e perquisito tutti gli studenti. Era una mossa azzardata, prematura, folle. Ma le autorità erano consapevoli del fatto che le persone avevano bisogno di essere circondate dalla normalità, di vedere il mondo circostante andare avanti, forse così gli animi si sarebbero placati.

Ragion per cui ero per strada, al termine di una lunga ed estenuante giornata di lezione, diretta verso casa.

Il suono prodotto dagli anfibi che sguazzavano nei punti in cui l'acqua piovana si era accumulata, era flebile. L'aria fredda trapelava tra i vestiti. Mi maledii di non aver ascoltato mia madre riguardo al giubbino troppo leggero, e di aver sghignazzato trionfante al suo "fai quello che ti pare, ma se muori assiderata non è colpa mia".

Mi fermai per un momento. Guardai il sole fare capolino alle spalle dei vecchi palazzi dinanzi a me in lontananza, e poi mi soffermai sulle sfumature del cielo che lottavano tra loro.

La strada era deserta, già immaginavo di scorgere un rotolo di sterpaglia accompagnato dal canto dei grilli.

Presi a camminare sull'asfalto inumidito dalla fredda brina, quando nel giro di in un attimo tutto parve mutare.

Udii un grido d'allarme straziato. Un bagliore accecante mi si abbatté contro, uno stridio potente e un ronfo.
Avvertii un forte dolore al braccio e una morsa avvinghiarmi la vita.
Mi accorsi di tenere gli occhi chiusi.

Li spalancai.

Lui. Mi sovrastava.

No era impossibile. Non poteva essere davvero lui. Lui se n'era andato. Eppure in quel momento era lì, dinanzi a me.

Mi fissava con quello sguardo tenebroso e oscuro.

-Stai bene?- chiese con un accenno al fiatone. Il respiro di fece corto e lo stomaco era in subbuglio.

Perché era lì? Lui era andato via. Mi aveva abbandonata. Mi aveva lasciata sola. Ed ora eccolo, non era una visione.

Erano passati quanti? Sei anni? Di più o forse di meno. E lui era magicamente riapparso all'improvviso.

-Io credo di sì- balbettai con aria tremendamente stupida e fragile.
Si alzò lasciandomi pervasa da un freddo improvviso, da una sensazione di niente. Mi tese una mano che afferrai per farmi tirare su.

-Chi era quello?- domandò schietto e diretto.
-E io che ne so.- ribattei acida.
-Non hai attraversato nel momento sbagliato, il semaforo era rosso e lui è sbucato dal nulla e...- lo interruppi.
-Non so chi sia.- sbottai.
-Lo so che hai paura Jo, te lo leggo negli occhi- sussurrò.
-Mi biasimi?- mormorai distogliendo lo sguardo da quelle iridi magnetiche e distruttive.

-Come potrei farlo- rise amaramente con lo sguardo nel vuoto.

-La consapevolezza è la prima cosa, congratulazioni.- sputai sprezzante.

-Intendi scappare per sempre?- chiese lui tingendo con una nota di sarcasmo in ogni parola. Strinsi i pugni, scavando smaniosamente con le unghie nella carne tormentata.

-Io non voglio ucciderti, se avessi voluto non ti avrei salvato da quella macchina l'avrei guidata-. Fece un sorriso beffardo.

Cuore di TenebreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora