22.) Scappare dai brutti sogni

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Blake

Lei era lì tra le mie braccia. Esile e fragile. Avevo quasi il timore di farle del male con un tocco troppo brusco. Avrei scommesso oro che non avrebbe lasciato che la sollevassi di peso, la vedevo come ostentava disprezzo alla sua figura riflessa nelle vetrine, mentre con un libro tra le mani girava tra le strade trafficate, sussultando ogni singola volta che il ronfo assordante delle auto le passava accanto cogliendola di sorpresa e distraendola dalla musica che ascoltava perennemente.
Lei aveva una luce diversa nello sguardo per ogni singola persona che guardava. Aveva sempre il sorriso stampato sul volto, tanto che le due fossette ai lati della bocca carnosa erano più scavate del dovuto.

E in quel momento era lì, inerme tra le mie braccia, distrutta, vulnerabile. Avevo colto la sua pelle candida arrossire sotto i led colorati ore prima alla festa, mentre avanzavo verso di lei, e in quel momento era pallida, cadaverica.
Sentire le urla strazianti dall'altra camera mi aveva segretamente salvato dai miei incubi.
Le avevo promesso che non l'avrei lasciata, e avrei mantenuto quella promessa anche a costo di morire io stesso.

Al sol pensiero di quello che le stavo facendo lavorando per lui, sentivo il ripudio verso me stesso crescere. Lui era crudele, e lei non meritava che quell'uomo tornasse nella sua vita, indipendentemente dalle sue intenzioni verso di lei. Dovevo proteggerla. Sentivo il bisogno di proteggerla. Dietro quella corazza di forza incontrastabile, celava la fragilità.

Rimasi sorpreso quando mi lasciò restare. Era lontana su quel letto che sembrava un'oceano, voltata di spalle e rannicchiata, con un cuscino stretto tra le braccia. Chiusi gli occhi anche io.

Altre grida, forti, struggenti. Il bambino accanto a me prese a piangere. Le lacrime solcavano il suo volto pallido e rotondo senza fermarsi. Era nascosto dietro la colonna bianca ad osservare i due adulti lottare ancora una volta.
-Ti stai distruggendo. Mi stai distruggendo.- urlò la donna. Lei aveva smesso di piangere, le sue riserve di lacrime erano ormai aride, la donna aveva terminato le lacrime, ne aveva versato una quantità spropositata, e tutto ciò che restava, era una vulnerabile vittima corrosa dall'acido della crudeltà.
-Stai zitta puttana. Io non ho distrutto un bel niente, sto cercando di salvare questo schifo di famiglia che stai mettendo su.- sputò crudele l'uomo caricando rancore bruciante in ogni parola.
-Smettila! Ci stai portando alla deriva con te!- sbraitò lei al culmine dell'ira.
Poi l'uomo spalancò il marsupio consumato che portava.

-Blake.- il volto di Josephine annullò quella scena, pose fine a quel ricordo.
-È passato. Sei sopravvissuto, sei qui e sei al sicuro. Io non me ne andrò.- sussurrò accarezzandomi con dolcezza il viso.
-Sono esattamente le parole che avevo bisogno di sentire.- bofonchiai.
-Lo so. Lo so perfettamente. Me le ripeto ogni notte da quando...- si fermò.
-Da quando?- chiesi al culmine della curiosità.
-Qualcuno me le disse.- si limitò a spiegare.

-Blake posso farti una domanda?- chiese poi lei con voce flebile, lo sguardo perso nel vuoto.
-Se non vuoi rispondere non farlo.- mi raccomandò. Io annuii.
-Chi è James?- l'unica domanda che non avrebbe dovuto pormi. James era morto, era un fantasma, un'ombra appartenente al mio passato, un'ombra che dovevo tenere lontana prima che tornasse a perseguitarmi. Non lui. Non James.

-Nessuno.- tagliai corto io bruscamente.
-Perché lo chiedi?-
-Non hai fatto altro che urlare il suo nome in modo straziante, sembrava stessi ripetendo il richiamo di qualcun altro. Sembrava ti facesse soffrire.- avevo urlato il suo nome. Josephine ora conosceva una piccola parte di quella che era la mia più grande paura, il mio più oscuro segreto, un'infima parte del mio travagliato passato. Ma d'altra parte glielo dovevo, io di lei, sapevo più di ciò che avrei dovuto sapere.

-Nessuno di importante.- mentii spudoratamente, e lei se ne accorse, ma lasciò correre, fomentando la mia gratitudine nei suoi confronti.
Mi ristesi sul materasso, e lei semplicemente, senza pronunciare neanche una parola, si chinò verso di me, poggiò la testa sul mio petto, e avvolse con delicatezza le braccia intorno al mio collo.
-Per stasera ci proteggiamo a vicenda dal dolore, domani mattina torniamo ad odiarci.- sussurrò sulla mia gabbia toracica.

Si stava prendendo cura di me, stava rimettendo a posto i cocci della mia corazza scalfita, mi stava proteggendo dallo tsunami che minacciava di travolgermi, e lo faceva perché anche lei era malata di quel dolore generato dalla perdita, perché non era mai guarita davvero, e sentiva il bisogno di curare chi secondo lei, aveva ancora speranza. Era speciale.
-Sei speciale.- le sussurrai tra i capelli, inalando il suo profumo dolce.
-Lo sei anche tu Blackwell.- sorrise sprigionando le fossette.

Quando ero bambino qualcuno mi disse che le fossette erano generate dai solchi lasciati dai baci degli angeli. Quella ragazza aveva fatto si che iniziassi a credere a quell'assurda leggenda. Lei era il mio angelo custode, e ancora non lo sapeva.

Cuore di TenebreWhere stories live. Discover now