20.) Una notte da incubo

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La pioggia scrosciava repentina, emettendo un lieve brusio quando le gocce si infrangevano sulle vetrate per poi scivolare verso terra. Un brivido di freddo mi percorse la schiena, ed io mi strinsi ancora di più nel vestito troppo scollato, oramai fradicio. Un lampo attraversò il cielo tingendolo di viola, e un boato fortissimo squarciò l'aria fredda, un tuono. Tutto a un tratto iniziò a sollevarsi un forte vento, e i rifiuti gettati per terra presero a spostarsi. Si levò la polvere e anche l'asfalto, iniziò a riempirsi di ciottoli trasportati dall'imminente tempesta che stava per scatenarsi. Il buio era già calato su Manhattan, che in quel momento era deserta. Il silenzio tombale che riempiva le insidiose stradine era rotto solo dai tuoni e dal ticchettio della pioggia sulle pareti scrostate della moltitudine di palazzine che si eregevano ai lati dell'asfalto.

In quel momento, il buio, miscelato al silenzio e alla solitudine, fecero crescere in me, una netta sensazione di paura. Iniziai a focalizzare nella mia mente scenari da brivido. Era mio solito, alimentare la paura anzichè ridurla, poichè ero una persona follemente razionale, che tendeva a calcolare ogni possibilità, la maggior parte delle volte negativa, o probabilmente degenerativa in uno spargimento di sangue, e talvolta mi facevo guidare da emozioni contrastanti, tra le quali, prevaleva sempre il terrore. Rabbrividii, e diedi una veloce occhiata tutto intorno a me per assicurarmi che non ci fossero potenziali assassini nascosti nell'ombra. Il cuore prese a battere fortissimo quando mi resi conto di essere completamente e inesorabilmente sola, circondata da lampioni, case e gocce di pioggia. Un altro lampo attraversò il cielo tingendolo nuovamente di viola, e una folata di vento fece eco trapelando tre le chiome quasi spoglie degli alberi. La luna, era coperta da una fitta coltre di nubi gonfie e grigiastre, che minacciose, avanzavano nel cielo, lanciando miriadi di goccioline di fitta pioggia.

Ogni volta che si scaturiva un temporale, da quando ne ho memoria, mio nonno diceva che Zeus aveva spinto sua moglie giù per le scale del monte Olimpo dopo una brutta lite, e che ogni tuono corrispondesse ad un tonfo da parte della bella Era. Risi debolmente a quel ricordo, ma poi tornai a concentrarmi sulla strada deserta e silenziosa.

Ad un tratto, vidi una luce avanzare verso di me ed aumentai nettamente il passo, ma senza iniziare a correre per cercare di non destare sospetti sul fatto che la paura stesse prendendo il sopravvento. Il cuore iniziò a martellarmi nel petto talmente forte che sembrava volesse saltare fuori, e il respiro si fece presto irregolare. Fissavo il pavimento, senza mai staccare gli occhi da esso, mentre una fitta sensazione di angoscia crebbe sempre di più. Nella mente iniziarono a vorticare pensieri che mi scombussolarono, rendendo la situazione, ancor più macabra e inquietante.

Improvvisamente, le luci si fecero più forti, e udii uno stridio di ruote sull'asfalto. Mi arrestai di colpo, improvvisamente paralizzata senza riuscire a muovere un muscolo, nonostante la mia parte razionale mi intimava di iniziare a correre.

C'era un'auto nera. Non riconobbi il modello, ma era grande, lucida. Il parabrezza completamente offuscato dalla pioggia, i tergicristalli sembravano impazziti. I fari erano enormi, rotondi, ed emettevano una luce potentissima. I paraurti, erano perfettamente integri, e non riuscii a scorgere neanche un graffio. Le ruote spesse e alte, poi mi resi conto di un particolare. La targa non c'era.

La portiera si spalancò improvvisamente, e dall'auto ne uscì una figura simile a quella che popolava i miei incubi da giorni ormai. La giacca nera aderiva perfettamente alla t-shirt dell'omonimo colore, e i jeans, anch'essi neri, in poco tempo si bagnarono sotto sotto la pioggia incessante. La maschera, un reticolato di linee verticali e orizzontali, era stata sostituita da un passamontagna sfilacciato. Tuttavia la visione riportò a galla i ricordi della sera della morte di Jace, quella che mi devastò a tal punto da farmi ricascare nel baratro che mi aveva risucchiata otto anni prima.

La persona che guidava l'auto nera lasciata aperta alle sue spalle, mosse un passo, un minimo movimento che servì a far scattare la lampadina d'allarme nel mio cervello. Mi voltai, e senza esitare un attimo presi a correre. Sentivo l'adrenalina scorrermi nelle vene e il sangue pulsare forte.

Improvvisamente però mi sentii afferrare una mano da una stretta ferrea. Mi voltai e la figura mi trascinò di peso contro la parete, nonostante tentassi in tutti i modi di divincolarmi. In quel momento, con le spalle inchiodate al muro e quella persona dinanzi a me a sovrastarmi, sprofondai nuovamente nel viale dei ricordi, a quella turbolenta notte otto anni prima.

Lui era lì, dinanzi a me che mi sovrastava, e mi trafiggeva con uno sguardo fulminante e freddo. Tra le mani stringeva una pistola, la medesima che aveva posto fine alla vita della persona che più amavo al mondo.
Amare.
In quel momento sembrava una parola estranea, priva di senso e significato, come se fosse una parola appena coniata, della quale non si conosce ancora l'etimologia.
Era un concetto che aveva improvvisamente perso tutto quello che racchiudeva.

L'allucinazione terminò mostrandomi nuovamente il passamontagna.
-Tu non vuoi uccidermi-. Mormorai con le lacrime che minacciavano di scendere.
-Se avessi voluto farlo mi avresti uccisa la sera in cui hai ucciso Jace. Ero davanti a te, di spalle, non avrei potuto reagire, tu hai puntato la pistola al trove per colpire lui e non me.- la mia voce era tremante, così come le gambe che minacciavano di cedere.

Altri passi, più forti, più imminenti.
-Stai zitta- mi ordinò lui con voce piatta. Altre voci risuonarono dal salone, completamente vuoto, anzi no, non era vuoto, era semplicemente privo di vita.
Mi resi conto di essere rimasta sola, a stringere il mio piccolo fratellino Alex tra le braccia, impotente difronte al suo pianto incessante.
Mi bruciavano gli occhi, e lo stomaco
avessero iniziato a danzare sulle note tormentate di un valzer. Mi sentivo fragile, prosciugata da ogni forza di volontà per cercare di reagire, come se fosse una lotta persa in partenza, una battaglia che non avrei potuto vincere, una battaglia, nella quale avrei solo potuto ferirmi ulteriormente.
E così rimasi lì, ferma a fissare il vuoto con sguardo perso, finché altri forti boati mi fecero sobbalzare.
Gridai.

Sferrai una forte ginocchiata alla figura dinanzi a me ed iniziai a scappare. Un altro tuono rimbombò nel cielo, e un lampo lo squarciò.
La pioggia continuava a battere sulle inferriate, e l'asfalto era diventato scivoloso.
Non osavo voltarmi, avevo paura di trovare la figura alle mie calcagna e di cadere nel panico.

-Josephine-. Conoscevo quella voce. Non avrei potuto dimenticarla. Il ricordo di quella voce miscelato a quello delle iridi che per settimane avevano invaso i miei pensieri, era indimenticabile. Giorni passati a fissare fuori la finestra persa tra i quesiti a cui cercavo di rispondere. Il dolore che segnava quello sguardo in ogni sua striatura. Blake Blackwell.
Mi arrestai.

Quando mi voltai verso la fonte della voce lo vidi. Era in auto, un'auto nera ma più piccola e modesta di quella della persona che mi stava rincorrendo.
-Josephine sali!- mi incitò.
Deviai verso la sua auto, spalancai la portiera e salii.
Un forte colpo risuonò sul cofano.
La figura misteriosa aveva iniziato a sparare, vista da lontano sembrava più bassa e più goffa rispetto alla serata in discoteca.

Blake mise in moto, e iniziammo a sfrecciare nell'oscurità.
I fari illuminavano l'asfalto, e lui iniziò a perdere il controllo sull'andatura dell'auto.
-Rallenta!- sbraitai, e lui premette improvvisamente il piede sul freno.

La macchina iniziò a girare su se stessa vorticosamente, ed io venni scaraventata violentemente da una parte all'altra. Tutto ciò che riuscii a scorgere fu una specie di turbine che mi circondava. Tutto intorno a me era confuso, sbiadito, poi provai un forte dolore alla testa, e alla fine l'oscurità.

Cuore di TenebreWhere stories live. Discover now