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"Un forte rumore di ruote che stridono mi fanno voltare di scatto.
Una macchina sfreccia velocemente davanti a me.

Gian.

Chiudo gli occhi con forza. Non voglio vedere.
Un suono assordante.
Lo schianto."

Sobbalzo nel letto.
Era solo un incubo. 

Un terribile incubo.

Passo una mano sulla fronte umida, cercando anche di regolarizzare il respiro.

Tasto più volte le lenzuola e osservo gli oggetti che mi circondano.

Mi alzo dal letto e corro in bagno. Apro il rubinetto e bevo un po' d'acqua.

Passo le mani sul viso cercando di staccare i capelli che si sono appiccicati per via del sudore.

Torno in camera per controllare l'ora sul cellulare e noto che sono le sei e mezza.
Mi sarei comunque dovuta alzare tra poco, così ne approfitto per farmi la doccia.

Prendo l'intimo e i vestiti dall'armadio e ritorno in bagno, dove apro l'acqua per farla scaldare.

Lascio il doccino appeso e mi posizione sotto il getto.

Chiudo gli occhi per cercare di rilassarmi ma appena ci provo le immagini dello schianto di Gian si ripresentano.

«Dio, non posso farcela così...»

Appoggio la schiena contro le mattonelle, mentre le lacrime solcano il mio viso, mischiate con l'acqua.

Dopo un'eternità esco, avvolgendomi dentro all'accappatoio.

Gli occhi arrossati sono circondati da delle occhiaie ben visibili.

«Sei sveglia?» la voce di Diego, accompagnata da dei leggeri colpi al legno, è lontana.

Non rispondo, così sento il cigolio della porta di camera mia «Zoe?» sento il rumore dei suoi passi sempre più vicini.

«Sei qui?» il suono questa volta proviene da dietro la porta del bagno.

«Si...» la mia voce esce flebile, come un sussurro.

«Va tutto bene nanetta?»

Attimi di silenzio prima che parli ancora «Posso entrare?»

Annuisco stupidamente, come se lui potesse vedermi.

Abbassa lentamente la maniglia ed entra con fare furtivo, come se si sentisse fuori lungo «Stai bene?»

«Sono seduta sul gabinetto in accappatoio alle sette di mattina. Come potrei star bene?» il mio tono esce più acido del previsto.

Si abbassa sulle ginocchia in modo da raggiungere, più o meno, la mia altezza «Cosa succede?»

Il suo tono dolce mi placa subito «Gian... Io...» gesticolo con la mano, mentre la voce mi muore in gola.
«Avete litigato?»

Scuoto la testa e alcune goccioline d'acqua scivolano cadendo sui suoi pantaloni «Ho sognato l'incidente... Lui era...» non riesco nemmeno a dirlo.

«Nanetta, questo succede perché ti senti in colpa per l'accaduto. Ma non è così, lo capisci? Gian è vivo, sta bene ed è al sicuro a casa sua.» mi accarezza la gamba dolcemente, mentre tremo come una foglia.

«Ne hai parlato con lui?»

Sospiro «Una volta, il giorno dopo l'incidente.»
«E?» mi guarda, spronandomi a finire la frase.
«E niente perché non ci siamo detti nulla.» tiro su con il naso e mi mordo l'interno guancia.

Questione di sguardi Where stories live. Discover now