Capitolo 18

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Forse avevo solo bisogno di un po' di normalità. Ho accumulato fin troppo stress in questi ultimi giorni. Mentre cammino fissando gli alberi alla mia destra, ad ogni passo mi pento di non aver pranzato fuori con quel bel ragazzo riccio. Probabilmente sarei stata precipitosa, non lo sono mai stata e mi viene sempre più facile dire 'No' che accettare qualcosa. Penso mi sarei divertita, perché adesso mi sento bene; probabilmente non è felicità pura, posso affermare, però, che è una sensazione molto vicina alla tanto decantata felicità. Io non sono più felice dalla morte di mia mamma, non sono più felice da quando mi sedevo sullo sgabello della veranda sul retro a colorare disegni mentre lei sorseggiava il suo tè alla rosa osservando il tramonto primaverile, da quando facevo diventare i miei vestiti verdi e pieni di fango dopo il nostro rotolarci sull'erba; non sono più felice da quando mi rimboccava le coperte ogni sera riscaldandomi la fronte con il suo bacio affettuoso. Dopo che lei mi ha lasciata, sono dovuta crescere in fretta, sono diventata la donna di casa e spesso anche l'uomo di casa, visto che mio padre ben presto cominciò a frequentare brutte compagnie, brutti giri, brutti bar. Brutto tutto. Sorridevo sì, c'erano giorni che andavano meglio di altri, ad una certa età anche un buon voto al test di matematica ti fa sentire realizzato. Ma felice, beh... realmente felice mai. Essere considerata una sfigata non ha aiutato la mia adolescenza, ho avuto qualche amica ovviamente... ma poi ognuna di loro finiva col mollarmi alla prima occasione per qualche amicizia più interessante. I genitori non vorrebbero mai che le loro figlie diventassero amiche del cuore di un'orfana di madre con padre alcolizzato. Troppi drammi e i drammi, si sa, non sono mai piaciuti a nessuno. Se non riuscivo a costruirmi delle amicizie, figuriamoci una relazione con un ragazzo. Non so proprio da dove iniziare su questo campo. Lavorare al bar, inoltre, ha accresciuto la mia sfiducia negli uomini; sentire certi discorsi e certe idee, ti fa avere una visione del sesso "forte" che non dovrebbe essere minimamente conosciuta dalle donne. La vita non la scegli, ci vieni catapultato dentro; credi di essere tu a prendere le decisioni, ma gli eventi ti investono senza che sia tu a muovere i fili. Ognuno nasce con un destino, il mio è stato questo. Persino il trovarmi in questa casa, qui, Henry. Era già tutto scritto, ci sono stata buttata come se non avessi scelta e infatti non ho scelta. Ma tutto puó cambiare. Qui non mi conosce nessuno, sono una ragazza anonima. Non ho marchi, non sono stata bollata come "diversa" perché nessuno conosce il mio passato. Nessuno sa. E questa cosa mi piace da impazzire. Ecco perché ho parlato con Harry, ecco perché mi sono comportata come una ragazza normale. Mi sono sentita più libera. Sono stata me stessa e anche se non lo dovessi vedere mai più sono felice di essere stata come avrei sempre voluto. Un soffio di vento porta parecchie ciocche di capelli sul mio viso, cerco di scostarle portandole dietro le orecchie. I miei occhi possono adesso vedere cosa ho di fronte. Accanto all'ultimo albero del viottolo è poggiato Henry, con le braccia sul petto e gli occhi scrutatori. La sua bellezza ha qualcosa di sfrontato, sfacciato, ed è un'incredibile distrazione. Quasi dimentico che sono terribilmente arrabbiata con lui, che si è allontanato stamattina, che mi ha rifiutata. Un antico detto mi ha insegnato che il maggior disprezzo è la noncuranza, decido di afferrarlo al volo. Lo sorpasso senza dire una parola, senza guardarlo; come ha fatto lui quando è rimasto immobile alle mie parole stamattina. Segnerò quello che mi ha fatto sulla mia lista nera. Lo odio.

"Lily! Fermati." Sento dei passi svelti dietro di me. Continuo a camminare. Henry ha ovviamente le gambe più lunghe. E, come al solito, me lo ritrovo davanti a sbarrarmi la strada.

"Perché non ti sei fermata?" Ha la voce ansiosa, come se trattenesse qualcosa. È strano rispetto al suo solito autocontrollo.
"Lasciami passare." Dico cercando di eliminare ogni fibra di umanità nella mia voce. Mi scosto da un lato per sorpassarlo. Mi ferma con la sua spalla e i nostri occhi si incontrano. Poggia una mano sulla mia scapola, mi sfiora appena, quasi non sento il suo tocco, ma una scarica elettrica è già stata mandata a tutto il mio corpo.
"Chi era quel ragazzo?" La voce roca, come a trattenere qualcos'altro. A questo era dovuta la sua stranezza. Sembra che lo conosco già bene quando in realtà non lo conosco affatto.
"Così questo volevi dirmi?" La mia voce è schifata e infastidita, la mia espressione probabilmente lo sta ulteriormente dimostrando. Mi scanso con un gesto più brusco, divincolandomi dalla sua presa, seppur minima. Mi avvicino agli scalini antecedenti l'ingresso. Lui mi segue incerto, lo sguardo un po' sbarrato. Probabilmente sta notando che le mie reazioni non sono quelle immaginate. Lo odio. Prima di aprire la porta mi volto indietro, è fermo sul primo scalino a guardarmi. Un fuoco si impossessa di me.

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