Capitolo 11

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Pov di Lily

La tappezzeria nera dell'auto è fredda al contatto con la mia pelle, mandando un brivido a tutto il mio corpo. Questo è nulla in confronto alle sensazioni che mi sta trasmettendo Henry; le sue labbra sul mio polso, così morbide e leggere, hanno mandato una scossa elettrica persino ai miei organi interni. Non dovrei farmi ammaliare così spesso. Tra qualche minuto i giornali e i blog di gossip staranno pubblicando articoli su di me come novità del giorno, la prima vera fidanzata di Henry Cavill; peccato che è tutta una recita. Peccato? Ai miei pensieri non posso imporre nulla, escono fuori per quelli che sono. Una piccola parte di me vorrebbe che ci fossimo conosciuti in un'occasione normale, ci saremmo sentiti attratti in questo modo? Non so cosa significa quando un ragazzo è attratto da me, a parte gli uomini sudici e ubriachi già alle prime ore del pomeriggio nel bar dove lavoravo, ma quella non era la realtà più che altro lo definirei squallore. Ma se penso a come potrebbe essere, è come Henry si comporta con me. Me lo ha anche confessato, quindi ne ho una specie di conferma. Io non sarò un'altra ragazza da aggiungere al libro delle sue conquiste, se mi innamorerò di lui sopporterò in silenzio ma non gli darò questo potere su di me; anche se volesse venir meno alla promessa di non complicare le cose tra noi.

Stasera anche lui è vestito di nero, ha una camicia nera, senza cravatta - lo avevo capito che le odiava - e dei jeans neri. È semplicemente mozzafiato. È seduto dal lato del guidatore mentre accende distrattamente la sua auto.

"Dove si va?" Chiedo osservandolo. Si volta verso di me e le sue iridi blu intenso mi travolgono come sempre. Sorride.

"All'Ultra Bar. Sentito mai nominare?" Alza un sopracciglio.

"Ehm, no." Sorrido imbarazzata. Ehi! Io vivevo a Bethesda! Cosa ne potrei sapere della movida notturna di Washington. Chissà come è fatto questo locale.

"Io sono convinto ti piacerà dopotutto." Si concentra sulla strada. Accelera e guida cercando di sorpassare chiunque ostacoli il suo percorso, praticamente tutte le auto. Sorrido silenziosamente. Poi, mi vengono domande intelligenti da fare, per fortuna.

"Non dobbiamo tipo montare una storia sul come ci siamo conosciuti e io ti ho letteralmente stregato?" Lo fisso sbattendo le ciglia con fare civettuolo. Lui scoppia a ridere.

"Facciamo che ci siamo conosciuti in un bar?" Praticamente il ragazzo non ha idee. Il bar puó andare bene.

"Puó essere credibile. Dobbiamo ispirarci a qualche film per venirne a capo o a qualcosa tipo lo scontro in cui tu mi versi il caffè addosso e tra una scusa e l'altra mi inviti a cena e così vissero felici e contenti." Lo osservo. Si distrae nuovamente dalla guida per fissarmi negli occhi.

"Abbiamo una storia allora. La situazione tipica da film o romanzo mi piace." Mi fa l'occhiolino e si concentra a guardare la strada davanti a noi. C'è molto traffico e spero non rimarremo ingolfati qui ad un certo punto.

"Ah! Che lavoro fai? Credo di non avertelo mai chiesto." Cavolo, potevo cacciarmi in seri problemi.

"Ma sono su moltissimi giornali, baby. Non ti sei mai interessata ad un giovane scapolo come me?" Fa espressioni da uomo vissuto e adulatore e scoppio a ridere.

"Lo prendo per un no. Gestisco una galleria d'arte, organizzo eventi culturali sugli artisti che mi ingaggiano." Spiega lentamente, cercando di farmi capire.

"E la campagna importante che devi avviare tra poco? Riguarda qualche artista in particolare?" Chiedo, maledetta curiosità. Ma in fondo è per questo che mi ha voluta qui, quindi voglio capire fino in fondo.

"Sarà la mia. La mia galleria. La mia mostra." Sorride dolcemente mentre mi fissa per una frazione di secondo, subito dopo ritorna alla guida.

Non posso crederci! Lui è un'artista. Potrebbe esserci qualcosa di più bello e profondo? Sono colta da un brivido di gioia.

"Non posso crederci. È una cosa meravigliosa!" Batto un po' le mani per cercare di mostrare il mio entusiasmo. Condividiamo una stessa passione e lui ce l'ha fatta a sfondare, a diventare un artista conosciuto nel mondo. Sono orgogliosa. E un barlume di speranza per il mio sogno si accende.

"Sean Miller, il padre di Ivy, la ragazza che è la festeggiata di stasera, era il mio capo ed è stato come un secondo padre per me. Era il mio professore al college e mi ha dato un'opportunità unica, lavorare nel suo campo e farmi conoscere ad un pubblico di sempre più ampio respiro per farmi arrivare a questo punto. Era la mia meta, capisci? Il mio primo traguardo." Continua ancora concentrato sulla strada.

"Credimi, ti capisco. E mi rendo conto anche di quanto possa essere importante per un artista tutto quello che stai per avere. Sono felice per te." Ammetto dolcemente. Sorrido verso di lui.

"Grazie, Lily." Mi guarda intensamente, le sue iridi sembrano più scure e torbide, più selvagge. È stupendo.

"Posso mettere un po' di musica?" Chiedo per alleggerire l'atmosfera.

"Certo."

Guardo fuori dal finestrino; sono le nove passate ormai. Siamo in un quartiere alla moda, c'è molta gente qui vestita per affrontare una notte selvaggia. Non mi viene un termine più educato da dire. Henry parcheggia l'auto. Scende. Faccio un respiro profondo. Posso reggere la pressione, ce la posso fare. Devo. Faccio per aprire la portiera, ma trovo Henry ad aprirla al mio posto e porgermi una mano per aiutarmi a scendere. Quasi mi sciolgo. La afferro e cercando di non fare troppa forza su di lui esco dall'auto nera e chiudo portiera. Mi porge il braccio piegato e vi infilo il mio esile poggiandolo al suo, gli sorrido come ringraziamento del gesto galante di un attimo fa. Ricambia illuminando probabilmente tutta la F Street NW di Washington DC. Cominciamo a camminare fino a quando mi appare davanti un edificio gigantesco segnato dalla scritta al neon 'Ultra Bar'.

"Eccoci arrivati, Lily. Sei pronta?" mi chiede scrutando il mio viso dalla sua imponente altezza.

"No, ma lo sarò per forza". Mostro un po' del mio panico. Ride leggermente scuotendo la testa. C'è un tappeto blu elettrico che segna l'entrata. Ad uno dei lati ci sono numerosi fotografi. Eccoci. Verrò un disastro.

"Ignora i fotografi, ci penso io." Mi sussurra all'orecchio. Facendomi sorridere per il suo tentativo di tranquillizzare il povero cerbiatto indifeso che si sta trascinando dietro. Mi concentro sulla mia vista frontale. L'insegna ultra moderna e sgargiante é in netto contrasto con l'entrata che sembra appartenere ad un antico tempio greco, ha infatti la classica forma di due colonne che reggono l'architrave, il timpano e il frontone. È di un marmo scuro, è un'entrata pazzesca. Sono curiosa di vedere l'interno. I miei piedi toccano il soffice tappeto blu e subito i fotografi iniziano a scattare e ad urlare domande ad Henry sul chi fossi. Lui non risponde, ma si abbassa verso l'incavo del mio collo per poi avvicinarsi al mio orecchio.

"Lo soffri il solletico?" Sussurra. Ma cosa cavolo sta dicendo? Mi lascia una scia della sua lingua sul collo e io rido per il contatto. Soffro il solletico e questo suo gesto mi ha fatto scoppiare a ridere. Proprio in questo momento sento tantissimi flash su di noi. Voglio entrare nell'Ultra Bar e sparire da questi uomini invadenti pieni di telecamere e macchine fotografiche. Un secondo dopo vengo accontentata.

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