Capitolo 33

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Mi distendo meglio sul divano. Osservo il telecomando non molto distante da me, ma abbastanza lontano affinché riesca a prenderlo. Sento il motore di una macchina. È Henry. Sono terribilmente preoccupata per lui, non l'ho lasciato in buone condizioni; mi auguro con tutto il cuore che abbia trovato una soluzione insieme a RJ. Credevamo di passare una serata tranquilla, anche se a casa di quell'arpia, ma gli eventi ci hanno sopraffatto. Sono successe troppe cose brutte in quella casa. Prima Amanda, poi Sean che ha giocato sporco e non riesco a capirne ancora la motivazione.
Il portoncino si spalanca e un Henry per nulla sorridente entra in salotto. Mi fissa per un secondo, con gli occhi ridotti a una fessura.

"Chi era quello?" Mi domanda, infastidito, evitando il mio sguardo.

Posa una valigetta sulla poltrona bianca.

"Parli di un ragazzo riccio?" Forse ha visto Harry andare via. Cerco il suo sguardo.

"Sì, quello con la camicia da coglione." Mi incendia. È su tutte le furie; perfetto.

"Ah. Quello è Harry, il mio amico." Spiego con nonchalance.

"Il tuo, ehm, amico?" Chiude l'uscio con un rumore secco.

"Sì, te ne ho parlato." Non sto capendo questa reazione. Non gli ho mai nascosto niente.

"Lo so che me ne hai parlato. Ritengo più opportuno ti trovi altri amici; e con amici intendo amiche femmine." Inizia a sbottonarsi i primi bottoni della camicia. La sua voce è stata gelida.

Piego la testa di lato non capendo il suo umore. Non avrà intenzione di scaricare il suo nervosismo su di me spero!

"Henry, perché stai facendo così?" Cerco di essere più dolce possibile.

"Perché sei nella mia casa e io non tollero oltre che frequenti quel tipo. Cazzo." Urla. È furioso.

Non l'ho mai visto così.

"Ti sei sentito? Le tue parole sembrano quelle di un genitore apprensivo, non quelle di un fidanzato!" Alzo il tono della voce.

"Non me ne fotte un emerito cazzo di cosa sembro! Decido io quello che devi fare." Continua ad urlare.

Prego interiormente venga Ezra a farlo smettere, ma niente. È ancora nei pressi dell'ingresso che cammina avanti e dietro lanciandomi sguardi infuocati di rabbia. Mi sento piccola e impotente, costretta a restare seduta per colpa di questa maledetta caviglia. Vorrei solo correre nella mia stanza.

"Henry, cosa ti prende?" La mia voce è già impastata dalle lacrime che rigano le mie guance.

"Affermo solo ciò devi fare. Hai dimenticato perché sei qui, per caso?" Le sue urla mi investono completamente facendomi spalancare gli occhi. Lui si è bloccato come se si fosse realmente reso conto di ciò che ha detto.

Mi alzo di scatto e urlo di dolore al peso del mio corpo sulla caviglia, ma lo ignoro e comincio a correre verso la mia stanza. Henry mi segue dopo un attimo di esitazione. Ma io ho già chiuso la porta a chiave dietro di me.

"Lily, apri questa porta." Il tono supplichevole.

Non mi incanta più. Basta. Fiumi di lacrime incontrollabili lasciano i miei occhi mentre mi lascio cadere sul pavimento.

"Lily, per favore." Bussa la porta. "Lily, ti prego. Non volevo dire quelle cose." Bussa ancora.

"Vattene via!" Ho la forza di urlare, non sono riuscita a mascherare il mio dolore. "Lasciami in pace!" Il mio viso incontra il pavimento, mi distendo su di esso come se fosse l'unica cosa esistente a cui aggrapparmi.

Un rumore di passi sempre più lontano è l'unico suono che mi lascia. Si è arreso subito, un paio di frasi smorzate dall'imbarazzo dietro una porta di legno. Non valevo la pena di un ulteriore tentativo. È vero che ci si accorge di quanto si tiene ad una persona nel momento in cui ti fa soffrire. È la causa della sofferenza e allo stesso tempo l'unica cura esistente. Quanto siamo deboli noi esseri umani! Quanto sono debole io! Lo sono sempre stata. Come faccio a capire adesso? Come esco da questo schifo? Qualche ora fa mi stava implorando perdono e abbiamo fatto l'amore. Sono solo io a provare sentimenti per lui? Lo ha fatto per vivere meglio questa situazione? Per tenermi docile e accondiscendente? Voglio scappare via. Per la prima volta da quando sono qui mi sento realmente prigioniera. In gabbia. Una gabbia d'oro marcia dentro. Il dolore alla caviglia è ricominciato, ma quasi non ci faccio caso. Porto le ginocchia al petto e le circondo con le braccia. Sto tremando. Troverò il modo di fuggire da questa maledetta casa, fosse l'ultima cosa che faccio.

Gabbia d'oroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora