Il divanetto di Dewey 2

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Si sedette accanto a lei.

"Senti Lapislazzuli, io..." iniziò.

Ma poi la guardò negli occhi, e allora si inerruppe, con un nodo in gola.

Quello sguardo. Quel terribile sguardo.

Lapis aveva la testa sulle ginocchia, con gli occhi che spuntavano, e che guardavano in avanti senza guardare davvero. Uno sguardo vuoto, pieno di rassegnazione.

Quella vista... era così familiare. Anzi, non la vista, ma l'emozione che vedeva che Lapis provava.

Perla prese coraggio, e ricominció:

"Sai... certe volte mi sembra di essere in una cella. Io, e basta. Con la convinzione di stare lì per sempre, e che non riuscirò mai a fuggire. E allora me ne sto lì, passiva, ad aspettare e a sopportare."

Fece una pausa, come per cercare le parole. Vide che l'altra la guardava.

"Ma talvolta mi assale un dubbio. Un dubbio atroce."

Lì lo sguardo le si abbassò, perché le era molto difficile parlare.

"Tutti mi dicono: vai avanti, sono passati quindici anni, smettila di piangere. E io ci provo, senza riuscirci. E così mi assale quel dubbio. Il dubbio che io abbia la chiave per aprirla questa gabbia di sofferenza, e che non la voglia semplicemente cercare."

Sospirò; dunque proseguì:

"Il dubbio che io abbia la capacità di lasciarmi tutto alle spalle, la capacità di smetterla di soffrire, di smetterla di piangere, e che sia io a non volerlo fare. Che questa sia una mia decisione."

Caló il silenzio, interrotto solo dal ticchettare dell'orologio.

Lapis sollevò la testa e la guardò.

"Perla..." cominciò, per poi di nuovo abbassare gli occhi.

"Anche a me succede." finì per dire, sussurrando.

Dewey fischiettava per la strada.

Quel giorno il lavoro era andato una meraviglia, le ciambelle cucinate da Lars erano state ottime e la clientela molta.

Nonostante fosse autunno, l'animo non era oscurato dalla tipica cupezza di quella stagione, che indugiava ad abbattersi su Beach City. Il cielo era limpido, e il quiete sciabordare del mare rilassante; il sole risplendeva come un brillante in vetrina, e il vento accarezzava il collo come le delicate dita di una dama.

Il suo animo era sereno, e si rallegrava ogni passo saltellante che compiva, tanto diminuiva la distanza dall'amata Lapis.

Niente in una giornata simile poteva andare storto.

Durante il beato passeggio per la città, incrociò Gesù.

Scherzavo, incrociò vari suoi compari, ovvero compare Universe, comare ora sindaco Nanefua, e compare Fryman, e li salutò tutti, come un'anima saluta gli angeli allorché giunta in paradiso.

Però il viaggio paradisiaco non lo condusse nella dimora eterna del signore, bensì all'inferno, per ciò che gli toccò vedere.

Giunto davanti alla porta, tirò fuori le chiavi, e le infilò nella serratura, notando che la porta era stata aperta. Strano, pensò. Qualcuno doveva essere entrato in casa.

Fece spallucce e varcò la soglia, dirigendosi verso il soggiorno, dimora eterna del suo angelo azzurro.

Si fermò lì, impalato sulla soglia.

E il peggio fu che le due, stese sul divanetto, neanche se ne accorsero, tanto erano impegnate a limonarsi abbracciate strette.

Sul suo divanetto di pelle preferito.

Quello ereditato dalla moglie morta di parto, che ella aveva ereditato dai suoi avi, e che era passato di madre in figlia per ben dieci generazioni, finchè non era arrivato a lui.

Ok, forse di tutta questa storia è vero solo il fatto che esso fosse il suo divanetto preferito; poichè in realtà aveva comprato il divanetto dall'IKEA il mese prima, sua moglie non era morta, ma l'aveva mollato e il divanetto non era neanche di vera pelle.

Ma essere drammatici è sempre la scelta giusta, direbbe Jaimie.

Comunque sia la scena che il suo angelo azzurro Lapis gli donò non fu particolarmente paradisiaca, anzi, probabilmente Dio non avrebbe dato il suo ok. E di certo neanche Dewey.

Egli stette lì a guardarle a bocca spalancata dallo shock per non si sa quanto tempo, mentre le due gemme si slinguazzavano bene bene.

Ciò finì quando quella bianca, il cui nome William non voleva ricordarsi, non lo intravide per uno spostamento dell'altra.

Allora sbiancò -relativamente, poichè bianco avorio lo era già di suo- e lanciò Lazzuli per terra.

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