𝐭𝐡𝐫𝐞𝐞

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[Dancing — Elisa]

Continuo a sentirle. Sento le loro voci da giorni; risuonano nella mia mente in modo confuso. In alcuni momenti sono lontane, in altri riesco a sentirle come se fossi vicina alla fonte, eppure io non provo niente. L'unica voce che vorrei sentire non sono in grado di trovare l'unica voce che vorrei sentire, e non so se sono io che non riesco a trovarla o se è lei a non voler raggiungere me. Continuo a cercarla, ancora e ancora, ma non c'è.

Sono seduta accanto alla finestra della mia camera, non so da quanto tempo. Fisso ciò che dovrebbe esserci oltre, ma non vedo. È come se ci fosse soltanto un vuoto, una voragine che non fa altro che trascinarti fino a farti spezzare il cuore contro il fondo. Ma è in questo modo che mi sento anch'io: vuota, si tratta di un vuoto incolmabile.

Improvvisamente il suono di alcuni passi mi distrae, però non mi volto. Una mano piccola si posa sulla mia spalla, riconosco il tocco. Poggio la mia sulla sua.

«Non vieni?» mi domanda, la voce flebile e rauca a causa di tutte le lacrime versate. Quelle stesse lacrime che io non sono ancora riuscita a lasciare andare. È come se fossero intrappolate, eppure io mi sento prosciugata.

«Dove?» la mia voce è riconoscibile soltanto verso la fine, e io la sento per la prima volta dopo giorni di silenzio.

«A salutare la mamma» dice, e posso cogliere la disperazione che cerca di mascherare con la forza dietro le sue parole.

Mi giro, e il suo sguardo incrocia il mio. Raccolgo con le dita una lacrima caduta dai suoi occhi, e continuo a tenere la mia mano sul suo viso.

«Per favore» continua poi, poggiandosi al mio palmo. Io però non so se sono realmente pronta a tutto questo, anche se probabilmente non potrò mai esserlo del tutto.

«Va bene» cedo alla fine, leggendo la tristezza nel suo sguardo consumato e nei suoi occhi grandi.

Mi vesto lentamente, poi lascio scorrere le mie dita tra le ciocche ancora umide dei capelli. Mentre mi guardo intorno nella mia stanza mi rendo conto di quanto il tempo si sia fermato per me, ma non per gli altri. Non mi sono neanche resa conto di quanto qualcuno si sia preoccupato per me, quando io non volevo saperne niente.

Ho la gola secca, come disidratata, così mi costringo a finire tutta l'acqua presente nel bicchiere, ma questa non fa altro che portare la bile in superficie, nonostante nel mio corpo non ci sia niente.

Quando mi sposto vedo mio padre. È nella sua camera, la porta non è chiusa del tutto e ha qualcosa tra le mani. È una foto, la tiene stretta al petto e io non riesco a vedere il suo volto fino al momento in cui sposta il suo sguardo incrociando il mio. È come se in quello sguardo riuscissi a vedere il modo in cui sta cercando di non crollare in mille pezzi.

Un'ora più tardi siamo tutti nella chiesa locale. Io, mio padre e mio fratello siamo in prima fila, e dopo essere stati avvicinati da persone che in quel momento non ricordavo neanche di conoscere, il funerale ha inizio. Una bara in legno è davanti a noi, a dominare la navata centrale. La luce che filtra dalle grandi finestre la illumina completamente, mentre una voce continua a ribadire quanto mia madre sia stata una persona buona, di quelle che dalla vita avrebbero dovuto meritare di più. Io sono sicura che la maggior parte delle persone che sono qui oggi non conoscessero neanche la donna che adesso stanno fingendo di ricordare come se avessero perso la cosa più preziosa nella vita.

Il mio sguardo si sposta su un punto indefinito al di là dell'altare, catturato da quella stessa luce che riesce a farmi tenere l'attenzione su di sé. Mi alzo, non m'importa di essere vista né di quello che potrebbero pensare.

Avanzo verso il retro dell'altare superandolo e iniziando a salire le basse scale che portano al piano superiore. Davanti a me c'è una porta scura, e dopo un momento di esitazione, alla fine decido di aprirla e di entrare nella stanza. È circolare, e al centro c'è una campana sorretta da una fune che poi ricade sul pavimento. Poggiata alla parete opposta c'è una sedia, mentre dall'altro lato c'è una piccola finestra murata, priva di vetrate. Riesco ancora a vedere quella luce abbagliante attraverso la sua apertura. È lei.

Il mio istinto continua a convincermi che si tratta davvero di lei, e io devo raggiungerla. È questo ciò che vuole, è per questo che è qui adesso. Mi sta aspettando, ne sono certa.

Lascio che il mio sguardo si sposti all'interno della stanza, e quando mi rendo conto di quello che devo fare, vado verso la parete contro cui è poggiata la sedia e la prendo, prima di spostarla e di portarla davanti alla finestra. Salgo su di essa dopo aver aperto le ante in legno, e sento qualcuno che si avvicina alla porta. Sento i passi arrestarsi, poi è dentro in un istante.

L'espressione sul volto di Liam nel momento in cui mi vede è di sollievo, ma quando sposta lo sguardo sui miei piedi, adesso saldi sul davanzale e su quello che stavo per fare, si trasforma completamente. È sconvolto e mi raggiunge lentamente, non distogliendo mai il suo sguardo dal mio, come se cercasse in questo modo di tenermi aggrappata a quello, di tenermi ancorata a lui.

«Ariel» sussurra quando è davanti a me. «Cosa stai facendo?»

«Lei mi sta chiamando, Liam» gli rispondo velocemente e abbozzando un sorriso. «Io la sento

Lui mi guarda, i suoi occhi sono velati di lacrime. Mi porta una mano sul volto.

«Ti sta... chiamando?» mi domanda, e nella sua voce non c'è giudizio. Lui è così, lo è sempre stato.

«Sì, sì!» grido, e la gola mi brucia terribilmente, la sento andare in fiamme. Poi scivolo dalla sedia su cui ero ancora in equilibrio, ma le braccia di Liam mi afferrano all'istante. Le avvolge intorno al mio corpo mentre continuo a scivolare, fino a ritrovarmi ormai distesa sul pavimento. Si siede anche lui e io resto tra le sue braccia in silenzio, gli permetto di tenermi stretta a lui e di prendersi cura di me.

«Perché?» sono io a chiedere, mentre ho la testa poggiata sul suo petto. Nessuna emozione attraversa la mia voce.

Liam mi accarezza piano i capelli. «Non lo so, Ariel» mi risponde. «Però ci sono io con te.»

Aspetto le lacrime, mi dico che sono pronta anche a non raccoglierle, a lasciare che mi consumino, ma continuano a non arrivare. Così resto semplicemente tra le sue braccia, non so per quanto tempo, non so cosa abbiano pensato gli altri, e non so cosa avrebbe pensato mio padre, o Todd, se Liam non fosse arrivato e mi avessero trovato in questa stanza nel momento in cui sarebbe stato troppo tardi.

Chiudo gli occhi e mi lascio andare, mi abbandono e mi annullo completamente, ancora tra le braccia di Liam. Al resto non voglio pensarci.

🌹

Ho trascorso la mia prima notte a Nottingham continuando a fare sempre lo stesso sogno, a rivivere quel giorno e quel momento. Le prime volte mi svegliavo velocemente, con la fronte madida di sudore e i capelli umidi; adesso ho semplicemente imparato a conviverci. Fa male comunque, ma non posso fare altro.

Una debole luce filtra attraverso i vetri della finestra, illuminando lievemente la stanza. Alcuni rumori che sento provenire dalla cucina mi permettono di intuire che anche mio padre è già sveglio.

«Ti ho preparato la colazione» dice quando lo raggiungo e mi vede attraversare la piccola cucina.

Mi siedo al bancone e aspetto che lui faccia lo stesso, prima di prendere qualcosa e iniziare a mangiare. È da tre giorni che quasi non tocco cibo, e mi rendo conto di essere arrivata al limite.

«Da domani potrai iniziare anche le lezioni» mi informa mio padre mentre beve il suo caffè. «Anche se sei in ritardo di quasi un semestre, mi hanno assicurato che potrai avere del tempo per recuperare.»

«Non ho bisogno della compassione di nessuno» sostengo, ricordando il modo in cui tutti mi guardavano quando mi incontravano per i corridoi.

«E non ne avrai, Ariel» risponde mio padre. «Anche io ricomincerò domani, ma prima accompagnerò te. Cerchiamo di fare questa cosa insieme, va bene?»

«Sì» mormoro. «Va bene.»

Lo assecondo anche se so che non potrò fingere per sempre. Forse semplicemente non sono pronta per questo ennesimo inizio, ma forse è tutto ciò di cui ho davvero bisogno per poter ricominciare.

𝐅𝐈𝐗 𝐀 𝐇𝐄𝐀𝐑𝐓 [𝐇𝐀𝐑𝐑𝐘 𝐒𝐓𝐘𝐋𝐄𝐒 𝐀𝐔]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora