sixtytwo

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[Me minus you - The Kolors]

Sono seduta con le gambe incrociate e la schiena premuta contro la parete sul pavimento di quest'ospedale che ormai conosco nel modo in cui non avrei mai voluto conoscerlo. Eppure mi ritrovo sempre qui.

Lo stesso odore, le stesse pareti, gli stessi colori, le stesse persone.

Il dolore, le perdite, le persone salvate, quelle arrivate troppo tardi e quelle che aspettano. Quelle che lottano, che sopravvivono, e quelle che stanno a guardare.

Ho convinto Harry a chiamare mio padre dopo la sua - ennesima - ricaduta per la fine di un ciclo.

Non so ancora come sto, cosa penso e se sta per arrivare il momento in cui non riuscirò più a sostenere il peso di tutto quello che ho visto e crollerò. Non ne ho la minima idea, allora continuo ad aspettare.

Sono qui da più di un'ora: ho guidato la macchina di Harry e lui era lì, al mio fianco, senza dire una parola e con la testa abbandonata contro il vetro del finestrino.

So che non mi voleva lì con lui, che non lo vedessi in quello stato, ma non avrei mai potuto lasciarlo lì. Non sarei mai rimasta a guardare.

Quando siamo arrivati mio padre sapeva già del nostro arrivo, e ho guardato lui e Harry avanzare fino alla fine di un largo corridoio prima di tornare qui e aspettare.

Ho paura.

Ho questa dannata paura che mi sta quasi consumando, che mi lacera piano da dentro perché, più di tutto, io sono impotente. E non troverò pace fino a quando mio padre non verrà qui a dirmi che Harry sta bene e che tornerà a casa con me.

Ho pensato tanto alle sue parole. Ho pensato alle altre volte che lui ha sostenuto non essere mai state come questa e mi viene la nausea al solo pensiero. Le immagini di Harry sul pavimento privo di forze e in tutta la sua vulnerabilità si susseguono e si ripetono nella mia mente senza mai lasciarmi andare.

Ho visto il modo in cui la sua forza ha ceduto dopo tanto tempo per la prima volta.

Le dita delle sue mani erano fredde sulla mia pelle ma il suo corpo era caldo, più di quanto avrebbe dovuto essere. I capelli gli ricadevano disordinatamente sulla fronte in umide ciocche arrivando quasi fino a coprirgli gli occhi.

I suoi occhi. I suoi bellissimi occhi smeraldo erano chiari, ma sembravano così deboli, non luminosi come quelli che ho incrociato la prima volta in quell'aeroporto di Londra.

«Ariel.» Sollevo la testa di scatto al suono della voce di mio padre.

Mi alzo velocemente e lo raggiungo, incrociando le braccia al petto. «Come sta?»

«Sta bene», mi risponde, e io chiudo gli occhi e sospiro. «È stabile, ma lo è adesso.»

Scuoto debolmente la testa. «Che significa?»

Gli occhi azzurri di mio padre sono compassionevoli, lasciano spazio all'uomo che è e non soltanto al medico che mi sta parlando.

«Non è stata la prima volta per Harry, lui ci è abituato, ma nessuno può mai sapere fino a quando il suo corpo e la sua mente saranno disposti a sostenerlo ancora.» Distolgo lo sguardo da quello di mio padre, perché so di non riuscire a sostenerlo.

Dopo qualche istante lo riporto su di lui, agitando le braccia davanti a me. «Quindi mi stai dicendo che non potete intervenire in nessun modo? Che non potete fare niente?»

«No, Ariel. Non sto dicendo questo, ma che forse c'è una possibilità.» La voce di mio padre è bassa, e le sue ultime parole sono la speranza a cui potrei aggrapparmi.

𝐅𝐈𝐗 𝐀 𝐇𝐄𝐀𝐑𝐓 [𝐇𝐀𝐑𝐑𝐘 𝐒𝐓𝐘𝐋𝐄𝐒 𝐀𝐔]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora